Poesie meravigliose...

  • Comunque non è Neruda... PABLO NERUDA Lentamente muore POESIA è una poesia di Martha Medeiros (settemuse.it)


    Porto dentro il mio cuore

    Porto dentro il mio cuore,

    come un cofanetto pieno che non si può chiudere,

    tutti i luoghi dove sono stato,

    tutti i porti a cui sono arrivato,

    tutti i paesaggi che ho visto da finestre o da oblò,

    o dai ponti di poppa delle navi, sognando,

    e tutto questo, che è tanto, è poco per quello che voglio.


    Ho viaggiato per più terre di quelle che ho toccato...

    Ho visto più paesaggi di quelli su cui ho posato gli occhi...

    Ho fatto esperienza di più sensazioni

    di tutte le sensazioni che ho sentito,

    perché, per quanto sentissi, sempre qualcosa mi mancava,

    e la vita sempre mi afflisse, sempre fu poco, e io infelice.


    Non so se la vita è poco o è molto per me.

    Non so se sento troppo o poco, non so

    Se mi manca lo scrupolo spirituale, il punto di

    Appoggio dell'intelligenza,

    la consanguineità con il mistero delle cose, scossa

    ai contatti, sangue sotto i colpi, fremito ai rumori,

    o se un altro significato più comodo e felice c'è per questo.

    Sia come si vuole, era meglio non essere nato,

    perché , per quanto interessante in ogni momento,

    la vita finisce per dolere, nauseare,

    tagliare, radere, stridere,

    a dar voglia di urlare, saltare, restare per terra, uscire

    fuori da tutte le case, da tutte le logiche

    e da tutte le pensiline,

    e andare a essere selvaggi verso la morte fra alberi e oblii,

    fra cadute, e pericoli e assenza del domani,

    e tutto ciò dovrebbe essere un'altra cosa

    più vicina a ciò che penso,

    a ciò che penso o sento, che non so nemmeno

    cosa sia, oh vita.


    (Fernando Pessoa)

    Aveva la coscienza pulita. Mai usata.

  • Giorgio Caproni


    Per quanto tu ragioni, c’è sempre un topo – un fiore – a scombinare la logica. Direi che tutto nel tuo ragionamento è perfetto, se non avessi davanti questo prato di trifoglio. E sarei anche d’accordo con te, se nella mente non mi bruciasse (se non mi bruciasse la mente – con dolcezza) quell’odore di tannino che viene dalla segheria sotto la pioggia: quell’odore di tronchi sbucciati (d’alba e d’alburno), e non ci fosse il fresco delle foglie bagnate come tanti lunghi occhi, e il persistente (ma sempre più sbiadito) blu della notte.

    DALI :hibiscus:

  • Fresche di fiumi in sonno

    Ti trovo nei felici approdi,

    della notte consorte,

    ora dissepolta

    quasi tepore d’una nuova gioia,

    grazia amara del viver senza foce.

    Vergini strade oscillano

    fresche di fiumi in sonno:

    E ancora sono il prodigo che ascolta

    dal silenzio il suo nome

    quando chiamano i morti.

    Ed è morte

    uno spazio nel cuore.


    (Salvatore Quasimodo)

    Non sopporto più le persone che mi annoiano anche pochissimo e mi fanno perdere anche un solo secondo di vita. (Goffredo Parise)

  • Ricordo un episodio della mia infanzia. Ero con i miei nella villa di alcuni amici di famiglia. Avevano un giardino meraviglioso e noi stavamo prendendo il tè seduti a un tavolino all'aperto. Ad un certo punto la padrona di casa strappa un piccolo fiore e me lo appunta a una frappa del vestito che indosso. Ricordo quella mano ingioiellata che si abbassa sull'erba e dà uno strattone a uno dei fiori che sono appena sbocciati in gruppo. Quella mano potrei, tuttora, riconoscerla tra un milione di mani, e quando, ancora oggi, mi capita di incontrare quella donna, non riesco a trattenermi: inizio a fissare la sua mano come Lady Macbeth dovette fissare le proprie (di solito è a quel punto che ******** mi dà uno strattone e mi riporta avanti nel tempo). Ma io ritorno a quella colazione estiva e ricordo la sensazione di orrore misto a disagio che provo nel guardare quel fiore sbilenco che sta appuntato alla frappa del mio prendisole. Orrore misto a disagio perchè io vorrei togliermelo di dosso, vorrei piangere per la sua fine brutale ma so che gli adulti mi stanno osservando e pretendono che io ringrazi. I miei insistono "ringrazia la signora" ma io, dopo inutili tentativi di trattenere i singhiozzi, scoppio in un pianto disperato. Seguono alcuni minuti di imbarazzo e vengono formulate varie ipotesi sulla mia reazione. Forse, nell'appuntarmelo, mi ha graffiato con un'unghia? Forse lo stelo ha delle piccole spine? Forse ne desidero uno di un colore diverso? Salvifico è l'intervento del giardiniere che, dopo aver assistito alla scena, si scusa per l'intrusione, si piega sulle ginocchia e, con un sorriso comprensivo e incoraggiante, finalmente me lo leva di dosso. E nel farlo pronuncia queste parole: ti è dispiaciuto per il fiore, vero? Che magnifico, impagabile sospiro di sollievo. Finalmente qualcuno che dice qualcosa che io non riesco a dire. Finalmente qualcuno che possiede, boh, non so, una luccicanza.


    Oggi lo ringrazierei dedicandogli queste parole, tratte da "Lo zen e la cerimonia del tè", di Kakuzo Okakura. D'accordo, non è una poesia, però allo stesso tempo lo è.


    "Ditemi, fiori gentili, lacrime di stelle, voi che nel giardino annuite alle api che cantano la rugiada e i raggi del sole, siete consapevoli del terribile destino che vi attende? Finchè potete, continuate a sognare, ondeggiando giocosamente alla dolce brezza estiva. Domani una mano crudele vi stringerà alla gola. Verrete strappati, fatti a brandelli, trascinati via dalle vostre serene dimore. La donna più ignobile, potrà forse passare per bella. Con le mani ancora sporche del vostro sangue, dirà quanto siete amabili. Ditemi, sarebbe questa la gentilezza? Forse il vostro destino sarà di venire imprigionati fra i capelli di una donna che sapete essere senza cuore, oppure verrete infilati nell'occhiello di qualcuno che, se foste uomini, non oserebbe guardarvi in faccia. Oppure potrebbe accadervi di venire confinati in qualche vaso angusto, con solo un pò d'acqua stagnante per spegnere la tremenda sete che preannuncia la vita che fugge. Fiori, potrebbe accadervi di incontrare un temibile personaggio armato di cesoie e di una piccola sega. Pretenderebbe di avere i diritti di un medico, e voi istintivamente l'odiereste, sapendo bene che i dottori cercano sempre di prolungare l'agonia delle loro vittime. Incomincerebbe a tagliarvi, piegarvi e torcervi in quelle posizioni impossibili che ritiene vi si confacciano. Come un qualsiasi ortopedico, vi storcerà i muscoli e vi slogherà gli arti. Per bloccare l'emorragia vi cauterizzerà con carboni ardenti, e per migliorare la vostra circolazione vi infilerà dentro fili di ferro. Vi tratterà con sale, aceto, allume e vetriolo. Quando sembrerete sul punto di svenire, vi verserà acqua sui piedi. Sarà un vanto, per lui, avervi tenuto in vita due o più settimane oltre il tempo che sarebbe stato possibile senza le sue cure. Non avreste preferito essere uccisi immediatamente, non appena catturati? Quali crimini avete mai commesso, nelle vostre precedenti incarnazioni, per meritarvi una simile punizione in questa vita?".


    Mia madre, tuttora, racconta l'episodio che, di solito, viene rigurgitato con un sorriso come prova provata alle sue amiche del fatto che io sia "anaffettiva". "Lei, purtroppo, non si affeziona alle persone, non apprezza i gesti spontanei, sembra che le gentilezze le diano fastidio. Ha perso la catenina di mio padre e non le è importato minimamente nulla. E' sempre stata così. Quella volta del fiore ***** ci rimase malissimo. Dio mio, che imbarazzo!"


    Ma io ho il ricordo del giardiniere, le parole di un libro che potrei avere scritto io (una somiglianza impressionante, magari un giorno ne parlerò) e quelle di Okakura con me, e sono un incredibile balsamo. Il regalo più bello che "l'Universo" mi abbia fatto. Un modo come un altro di dirmi "ehi, nba0, noi ricordiamo. Noi abbiamo capito."

    Modificato 4 volte, l'ultima da nba00 ().

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