Quanto vi definireste empatici?

  • Per avere il massimo dell'empatia bisogna essere sensibili, intelligenti, colti, con molto tempo libero per avere il tempo di ragionare e non farsi influenzare dagli altri né dalla fretta, bisogna essere persone molto pratiche e piene di competenze, bisogna aver studiato psicologia e aver viaggiato in tutto il mondo, bisogna conoscere almeno 7 lingue per comunicare perfettamente con il prossimo, bisogna anche saper cantare e suonare degli strumenti musicali, perché la musica unisce la gente e guarisce l'anima. Il massimo, oltre a tutto questo, sarebbe anche avere la capacità di trasformare l'acqua in vino e di resuscitare i morti.

    Sì, in quel caso vinci "4 tavole di legno e dei chiodi"...

  • Per avere il massimo dell'empatia bisogna essere sensibili, intelligenti, colti, con molto tempo libero per avere il tempo di ragionare e non farsi influenzare dagli altri né dalla fretta

    Nessuno di noi può dare il massimo sempre e comunque: siamo esseri umani con i loro limiti.


    Ma ci sono persone che tendono più di altre all'empatia e alla comprensione. Intelligenza e cultura a mio avviso non fanno la sensibilità o l'empatia, anzi, spesso tali sovrastrutture mentali peggiorano la propria capacità di comprendere umanamente perché impediscono tolleranza e duttilità. Per tolleranza intendo il capire perché una persona pensa, parla e sente in un determinato modo, soprattutto quando questo modo non è condiviso. Empatia e comprensione è lasciare gli altri liberi di essere ciò che sono senza però sottomettersi a loro con acquiescenza, e in ultima analisi, tale libertà è semplice buon senso, poiché in fondo nessuno può cambiare nessun'altro e si finisce solo con il fare una guerra con questo nell'intenzione di convincerlo o di cambiarlo.

  • In generale con empatia si intende la propria capacità di immedesimazione nei confronti di un altro (dovuta allo stare vivendo o all'aver vissuto la stessa situazione - ma non per forza) in quel momento.

    C'è da sottolineare però che questo accade alle persone che provano compassione ed empatia intanto verso sé stesse e verso le proprie difficoltà e sofferenze. Chi non è in grado di dar tregua nemmeno a sé stesso, non proverà empatia verso chi si trova in una condizione simile; l'ho visto in atto diverse volte.

    La stessa persona potrebbe comunque provare sincera empatia verso chi vive tutt'altra situazione, per qualche motivo.


    La sensibilità non è necessariamente da accostarsi al concetto di empatia; quest'ultima è immedesimazione nell'altro, mente secondo me la sensibilità spesso riguarda solo sé stessi.

  • C'è da sottolineare però che questo accade alle persone che provano compassione ed empatia intanto verso sé stesse e verso le proprie difficoltà e sofferenze. Chi non è in grado di dar tregua nemmeno a sé stesso, non proverà empatia verso chi si trova in una condizione simile; l'ho visto in atto diverse volte.

    Questa la trovo una riflessione molto interessante che conferma l'opinione di chi sostiene che l'empatia si può imparare ed allenare come anche disimparare o spegnere.

    namasté

    Love all, trust a few, do wrong to none

  • C'è da sottolineare però che questo accade alle persone che provano compassione ed empatia intanto verso sé stesse e verso le proprie difficoltà e sofferenze. Chi non è in grado di dar tregua nemmeno a sé stesso, non proverà empatia verso chi si trova in una condizione simile; l'ho visto in atto diverse volte.

    Io, pur provando dolore per gli altri e massima comprensione, sono stata invece molto severa con me stessa. È un problema da cui mi sto affrancando un po' solo ora.


    Il discorso sulla differenza tra sensibilità ed empatia è molto interessante. Spesso sono termini che vengono confusi. Io credo che la sensibilità abbia a che fare con l'interno, con ciò che "tocca" la nostra persona, mentre l'empatia tocca ugualmente noi stessi ma lo fa indirettamente perché il focus anziché sull'interno è sull'esterno.

    Anche se visto dal fondo dell'acqua appare deformato, il cielo è cielo.

    Banana Yoshimoto

  • La mancata comprensione di sé stessi e di conseguenza degli altri rende molto ampio (e del tutto diverso) il concetto stesso di comprensione: che in questo caso trascende la compassione e l'empatia (e tuttavia può includere anche queste) ma significa sapersi anzitutto "auto conoscere", quindi l'auto indagine/analisi, anche (se non soprattutto) delle proprie zone d'ombra. Ed è nella comprensione delle parti -per così dire- "oscure" che si ritorna alla compassione di sé, ma intanto, anche quelle costituiscono un sentire. La compassione non lo si ha in assoluto, credo, ma è un sentire che nasce, si sviluppa e poi amplia, spesse volte passando per dei sentire contrari.


    In ultima analisi: possiamo comprendere gli altri e averne empatia (almeno nell'accezione in questa vuol dire annullare un sentimento di separatività, indifferenza, estraneità, finanche discriminazione), nella misura in cui siamo abituati ad essere intimi (e sinceri) con noi stessi.


    Inoltre, possiamo dare nella misura in cui possediamo, possiamo esprimere nella misura in cui abbiamo realizzato sempre (ed unicamente) all'interno di noi stessi.

  • Essere empatici implica anche il sapersi rendere vulnerabili, condizione non sempre invidiabile al 100%.

    Disprezziamo coloro che non sembrano averne (dopotutto il sentimento di umanità, forse il più prezioso tra tutti, si basa sulla capacità di provare compassione ed empatia positiva), ma è probabile che in fondo stiano meglio di noi.


    Comunque l'empatia forse non è sempre un sentimento che porta positività: sapersi immedesimare, comprendere, non vuole dire per forza giustificare. Io (come tanti altri) per esempio sono il tipo di persona che detesta vedere i propri difetti - che su di me riconosco come tali e cerco di correggere, e per i quali non provo autocompassione - sugli altri, e quando questo succede non riesco a provare molta vicinanza (anzi, il primo istinto è di allontanarmi/dissociarmi) nei confronti della persona che li esterna proprio perché capisco cosa sta succedendo.

    Questo se si parla di difetti; cambia tutto se si parla di difficoltà condivise.

    Io, pur provando dolore per gli altri e massima comprensione, sono stata invece molto severa con me stessa. È un problema da cui mi sto affrancando un po' solo ora.

    Ti capisco. Se ci pensi, però, il naturale istinto di provare compassione e vicinanza verso chi ha passato una situazione che conosciamo potrebbe aiutarci a provarne un po' di più verso noi stessi.


  • Ti capisco. Se ci pensi, però, il naturale istinto di provare compassione e vicinanza verso chi ha passato una situazione che conosciamo potrebbe aiutarci a provarne un po' di più verso noi stessi.

    Hai ragione. Può aiutare a mettere in una nuova prospettiva anche ciò che riguarda sé stessi.

    Anche se visto dal fondo dell'acqua appare deformato, il cielo è cielo.

    Banana Yoshimoto

  • Provo ad esplicitare al meglio una riflessione che ho maturato in merito al discorso empatia/sensibilità.

    Ritengo, molto prosaicamente, considerando che su questo Forum ci sono personalità stupendamente profonde che non potrò mai eguagliare neanche dopo mille anni di sforzi, che esistano dentro di noi emozioni "involontarie". Sono il frutto del nostro vissuto (e della nostra personale natura) e portano a mettere in atto comportamenti di diverso tipo, talvolta persino irrazionali.

    Io non mi discosto da quanto scritto sopra, anche se, essendone consapevole, cerco di usare il cervello il più possibile.

    L'empatia, quindi, dovrebbe essere un sentimento naturale, ma se non lo è potrebbe venire in soccorso, a tal proposito, la parte razionale del cervello, che in ognuno di noi, in quanto homo sapiens, dovrebbe essere un minimo sviluppata.

    Mi spiego.

    Anche se sono stanco e/o arrabbiato e/o assente per qualsivoglia motivo a livello emotivo, se una persona è in chiara difficoltà cerco di essere presente comunque, attivando la materia grigia.

    Perché è giusto che sia così, almeno a mio avviso, e perché lo ritengo parte integrante della mia personalità.

    Non dico che debba esserci obbligatoriamente completa reciprocità, però (con me poi il cervello tanta gente non lo ha usato... Mi hanno banalizzato in passato tre lutti consecutivi che mi hanno lasciato solo a livello familiare, senza problemi, senza vergogna, andandosene in giro a testa alta e col supporto generale del prossimo... Direi quasi inumano).

    Nella vita nulla è scontato.

    Ma, a mio avviso, di base dovrebbe funzionare così.

  • Credo di essere empatica, abbastanza almeno. E' una qualità che mi aiuta molto nel lavoro che faccio, ovvero quella di affiancare e sostenere a scuola bambini con problemi comportamentali, emotivi e di apprendimento.

    Forse per il mio vissuto, sono cresciuta in una famiglia disfunzionale con padre narcisista patologico... e madre passivo-aggrassiva a lui totalmente sottomessa, una madre anaffettiva.

    Quindi per sopravvivere ho dovuto sviluppare questo "potere" ovvero quello di annusare ed intercettare i loro stati d'animo, le loro "paturnie" per mettermi in salvo e sopravvivere.

    Riesco quindi a percepire gli stati d'animo delle persone, a leggere oltre.

    Ma non sempre è una cosa positiva.

    La vita ti offre sempre una seconda possibilità. Si chiama domani.

    (Anonimo)

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