Messaggi di anonimotriste

    Buongiorno a tutti, e grazie a chi legge e a chi avrà voglia di commentare..

    Era il 7 Agosto 2020... esattamente 5 anni fa.
    Come è andata?
    Attualmente siamo in no-contact da qualche giorno, credo in modo definitivo dopo una decina di pesanti litigi solo negli ultimi 3-4 mesi.

    Conclusioni? Una full immersion, durata fin troppo, di insegnamenti di vita.

    - Se autorizzi qualcuno a fare qualcosa che ti ferisce, quella persona non capirà di ferirti e si sentirà nel giusto e quando dirai che non sopporti più, ti dirà che sei tu nel torto.
    - Se dai troppo, nel momento in cui da un pò meno troppo non ti ringraziano per quanto hai dato, ma ti fanno pesare che stai dando meno.
    - Se copri le mancanze di una terza persona, non vedranno che tu l'hai fatto, ma non sentiranno più quelle mancanze dall'altra persona.
    - Non mettere mai in mano a qualcuno la tua felicità.

    - Non volere mai più bene a qualcuno di quanto ne vuoi a te stesso.

    Queste considerazioni, che spero diventino il mio mantra, non sono legate a come ho conosciuto questa persona, nè al fatto che vivessimo una relazione decisamente atipica.

    E la domenica è così.


    A guardare i mondi di cui non faccio parte vivere la loro giornata di riposo, a guardare il mondo che si muove come se io non esistessi.

    A guardare il tempo che scorre inesorabile mentre il mio tempo è in "pausa", in attesa che da quei mondi, in cui non c’è posto per me, qualcuno esca, anche per poco, per portarmi la mia razione di vita.

    Ad aspettare quel momento, tra un vuoto e l’altro, in cui anche io ho un piccolo mondo, che si dissolverà non appena chi è accorso in mio aiuto tornerà al suo vero e unico mondo.


    E la domenica è così.


    Come in una barca senza vela e senza remi, trascinata dalla corrente, che si avvicina di tanto in tanto a un isola... vorresti fermarti, ma la corrente invece ti porta più lontano.

    Ed’è inutile agitare le braccia, i suoi abitanti sono in festa, c’è chiasso, voci, colori e musica, e nessuno vede i tuoi gesti, nessuno sente i tuoi richiami.

    E mentre trascinato dalla corrente ti allontani verso l’orizzonte, senti il brusio della vita in lontananza allontanarsi.


    E la domenica è così.

    A fare i conti con se stessi, con le proprie scelte, con il proprio io con cui non sei mai riuscito a fare pace.

    A chiederti quale sia il confine tra perseveranza e ostinazione, a chiederti che fine ha fatto la persona che speravi di essere, a chiederti che fine ha fatto la persona che credevi di essere, a chiederti che fine ha fatto la persona che saresti potuto essere.

    E visto il perpetuarsi di situazioni simili... direi che il mio problema più grande sia proprio capire me stesso!

    Ho sempre creduto di essere uno che inizia le cose, ma poi per pigrizia, disorganizzazione o altro non le porta a termine.
    E in effetti, soprattutto nell'ambito lavorativo, le idee nate e morte lì sono molto più che quelle coltivate e portate a termine.

    Ma questo per quanto riguarda le idee.

    Qualche giorno fa tuttavia, in una delle mie tante riflessioni, mi sono reso conto che però i disastri più grandi sono dovuti all'atteggiamento esattamente opposto, ovvero una esagerata perseveranza anche laddove sarebbe meglio arrendersi.

    Parlo di idee imprenditoriali che non sono mai decollate, ma ho trascinato anni e anni inutilmente, creando più danni che altro.
    Ma non solo.

    Parlo del mio matrimonio, nato su una relazione che già zoppicava prima di convolare a nozze, e che ho portato avanti anni e anni in attesa di un momento finalmente buono che poi non è mai arrivato.

    O della mia folle relazione di cui tanto ho scritto in questo forum.
    E in questo caso i motivi per dire basta erano evidenti fin da subito (in verità anche con la donna che ho sposato), ma nulla.
    Si va avanti, si rende il gioco sempre più difficile, si alza l'asticella stupidamente consolidando l'abitudine che va a sommarsi a dipendenza affettiva e insicurezza.

    Ricordo anni fa che un commercialista mi disse che la mia determinazione ad andare avanti era fuori dal comune.
    Ricordo ancora più anni fa, un direttore di banca che disse la stessa cosa.
    In entrambi i casi poi, a posteriori, avrei fatto bene a non insistere così tanto.

    E mi chiedo quindi quale sia il motivo di tanta determinazione verso cause perse, che si tratti di imprese fallimentari fin dalla loro nascita, o relazioni impossibili. Quale oscuro meccanismo mi porta a dedicare il mio tempo a qualcosa che poi, a posteriori si rivela palesemente inconcludente?

    E' solo stupidità la mia o c'è qualcosa di più complesso che mi porta a dedicare così tanto tempo ed energie a cause perse?

    Va detto che quasi sempre vedo la realtà quando qualcosa va a sostituire la mia attenzione.
    Un nuovo lavoro, una nuova relazione.

    Ciao, anche a me capita spesso; credo anche io sia una forma d’ansia.

    Posso dirti che, almeno nel mio caso, ho notato che queste manifestazioni aumentano per durata e intensità soprattutto quando sto attraversando un periodo stressante oppure durante il cambio di stagione. La mia paura, però, è slegata dal mio credo religioso: sono atea e non credo in Dio. Ho paura di morire, quello senza dubbio, ma più che altro per la paura di diventare niente, nulla eterno. Per la paura di non avere memoria, per la paura di dimenticarmi di essere stata viva.

    C’è stato un periodo, dopo la morte di mia zia, mancata proprio nel sonno, che finivo per dormire un’ora e mezza a notte perché non volevo dormire. Fammi sapere come va. Spero di esserti stata utile.

    Io non dico di essere proprio ateo, ma i dubbi sul dopo sono non pochi, e ci sono dei momenti in cui un proseguo mi sembra detto tutto irrazionale, pertanto l'unica ipotesi che mi sembra davvero tangibile è quella del nulla eterno.
    Praticamente dato che la vita dopo la morte è irrazionale, la conclusione è un qualcosa di inconcepibile, ovvero il nulla.
    Hai descritto esattamente la mia paura: il nulla eterno, la perdita della memoria di essere stato vivo, il non sapere di esserlo mai stato. Tutte le mie emozioni, ricordi, che sparisce.
    Ci sono altre volte in cui invece un proseguo mi sembra invece la cosa più logica, anche se più che al paradiso credo sia più probabile una nuova vita. Questa ipotesi mi viene "avvalorata" dal fatto che mi capita di incontrare persone con cui dal primo momento sento una forte intesa, e mi viene da pensare che è perchè in un altra vita eravamo già stati legati.

    Quanto alla paura di morire nel sonno, questa mi è venuta quando poco più che adolescente una mia zia è morta in questo modo. E mentre tutti dicevano che "è il modo migliore" io lo trovavo il peggiore... perchè è come se sapendo di morire potrei in qualche modo provare a combattere la morte, cosa che non potrei se sopraggiunge quando non sono cosciente.

    Grazie a tutti per i vostri interventi!

    Ma veramente hai paura di morire nel sonno, con tutti gli altri modi peggiori che ci sono per morire? Se vuoi che te ne elenchi qualcuno fammi sapere, altrimenti leggiti qualche giornale oppure guardati qualche film di azione dove la gente muore in malo modo.

    Non è che ho paura solo di morire nel sonno e negli altri modi invece mi piaccia, è che questa "fobia" mi viene quando dovrei dormire... durante la giornata non penso alla morte, o a come morire, ma spesso quando mi sento molto stanco mi viene questa fobia che non è esattamente il massimo per prender sonno...

    Prima che cominciassi a credere - tramite un percorso personale che è troppo lungo raccontare - che la coscienza non finisce ma trasmigra in altre vite e poi altre dimensioni d'esistenza: mi capitava di sperimentare, prima di addormentarmi e mentre ero in uno stato di grande rilassatezza - quasi una trance - la visione di uno spazio nero inquietante, una sorta di oscurità che percepivo come la fine di me stessa, ossia, la morte.


    Pensavo, sbagliando, che fosse una sorta di indizio che effettivamente l'Io finisce così, in quel nero senza immagini. Invece era solo un'immagine - creata da me - del suo timore di non esistere.


    Non mi è più successo da quando non credo più nel nulla, ma nella continuità della coscienza: e così sogno e nei sogni pieni di immagini si trasferiscono i vari timori, come comunque accade normalmente.

    So che in due parole non puoi spiegarmi di più, ma sono temi che mi interessano per quanto non sia ancora riuscito a trovare quella serenità di un "proseguo" seppure diverso dai dogmi religiosi.. hai magari qualche lettura da suggerirmi?

    Grazie Gloria, mi fai sentire meno strambo.

    Purtroppo ultimamente questo problema è tornato alla carica, capita ciclicamente ed è veramente fastidioso.

    Il problema è che questa paura coincide con l'idea che con la morte c'è la fine della coscienza, il nulla eterno.

    Ci sono altri periodi in cui invece ho fede in "qualcosa", distante dalle consuetudini religiose, ma che vede un "dopo" magari con una rinascita e un nuovo io.

    Ecco allora addormentarsi è meraviglioso, e l'idea di morire diventa un "dai la prossima vita farò meno c∙∙∙∙∙e, andrà meglio".


    Belle parole grazie.
    La paura è non avere neanche la possibilità di scoprire cosa ci sia dietro quella porta.
    Se non c'è nulla, non sapremo che non c'è nulla, non sapremo neanche che c'era la vita.
    Non sapremo di essere esistiti. E' questo concetto che per me è inconcepibile, inaccettabile. L'idea di perdere il mio pensiero, la consapevolezza di esistere.