Ho sempre creduto di essere uno che inizia le cose, ma poi per pigrizia, disorganizzazione o altro non le porta a termine.
E in effetti, soprattutto nell'ambito lavorativo, le idee nate e morte lì sono molto più che quelle coltivate e portate a termine.
Ma questo per quanto riguarda le idee.
Qualche giorno fa tuttavia, in una delle mie tante riflessioni, mi sono reso conto che però i disastri più grandi sono dovuti all'atteggiamento esattamente opposto, ovvero una esagerata perseveranza anche laddove sarebbe meglio arrendersi.
Parlo di idee imprenditoriali che non sono mai decollate, ma ho trascinato anni e anni inutilmente, creando più danni che altro.
Ma non solo.
Parlo del mio matrimonio, nato su una relazione che già zoppicava prima di convolare a nozze, e che ho portato avanti anni e anni in attesa di un momento finalmente buono che poi non è mai arrivato.
O della mia folle relazione di cui tanto ho scritto in questo forum.
E in questo caso i motivi per dire basta erano evidenti fin da subito (in verità anche con la donna che ho sposato), ma nulla.
Si va avanti, si rende il gioco sempre più difficile, si alza l'asticella stupidamente consolidando l'abitudine che va a sommarsi a dipendenza affettiva e insicurezza.
Ricordo anni fa che un commercialista mi disse che la mia determinazione ad andare avanti era fuori dal comune.
Ricordo ancora più anni fa, un direttore di banca che disse la stessa cosa.
In entrambi i casi poi, a posteriori, avrei fatto bene a non insistere così tanto.
E mi chiedo quindi quale sia il motivo di tanta determinazione verso cause perse, che si tratti di imprese fallimentari fin dalla loro nascita, o relazioni impossibili. Quale oscuro meccanismo mi porta a dedicare il mio tempo a qualcosa che poi, a posteriori si rivela palesemente inconcludente?
E' solo stupidità la mia o c'è qualcosa di più complesso che mi porta a dedicare così tanto tempo ed energie a cause perse?
Va detto che quasi sempre vedo la realtà quando qualcosa va a sostituire la mia attenzione.
Un nuovo lavoro, una nuova relazione.

Il sottile confine tra perseveranza e ostinazione
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Quale oscuro meccanismo mi porta a dedicare il mio tempo a qualcosa che poi, a posteriori si rivela palesemente inconcludente?
Penso che il meccanismo sia più di uno e sì, è certamente tutto molto complesso.
Per dare qualche traccia forse utile: penso che, alla base di situazioni come quelle sentimentali (o anche legate al lavoro), che hai chiamato "cause perse", vi sia il conflitto tra l'immagine che interiormente (e spesse volte idealmente) ci si è fatti (quindi l'immagine della relazione e come dovrebbe essere) e l'immagine che la realtà della relazione o del progetto lavorativo, invece, restituisce.
L'Io, per sua natura, cerca di adeguare la realtà ai propri bisogni (o desideri). Ed è giusto che sia così, perché, diversamente, saremmo delle amebe, ossia privi di qualsivoglia stimolo a muoverci nell'esistenza. Ma, da questo bisogno di adeguamento, si produce un inevitabile conflitto tra l'Io (con le immagini che tende a farsi, sempre a misura di sé) e la realtà, che non si adegua, ma prende altre direzioni.
L'ostinazione, per come la vedo io, non è solo una spinta dell'Io, che, come dicevo, tende a voler adeguare la realtà a sé stesso. Altrimenti, una "causa persa" andrebbe facilmente sostituita con un'altra. Ma tale ostinazione verso determinate direzioni (o relazioni), a mio avviso, proviene dalla necessità intrinseca di comprendere la vita e quindi noi stessi più in profondità e oltre quell'apparenza in cui spesso ci muoviamo inconsapevolmente. C'è il bisogno, atavico oserei dire, di trasformare tutte le spinte inconsapevoli in spinte consapevoli.
Dunque, non parlerei di cause perse, ma di cause che, a prescindere dal desiderio del tuo Io, hai bisogno di intraprendere, in fin dei conti, sempre per capire te stesso.
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Non è stupidità. Siamo umani, e la determinazione fa parte di noi: l'uomo non si sarebbe evoluto tanto se non l'avesse avuta. La determinazione e l'ostinazione sono due facce della stessa medaglia.
La determinazione ci spinge a rialzarci, l'ostinazione ci fa negare la realtà.
Ovviamente, come in tutto, bisogna mediare tra ciò che vorremmo e ciò che esiste.
Non ha senso gettare la spugna alla prima difficoltà, così come non ha senso investire energie in qualcosa che potrebbe non accadere mai.
Sta a noi mantenere il contatto con la realtà, la "consapevolezza" di come stanno le cose e di cosa possiamo "controllare" e cosa no.
Mi rendo conto che sto generalizzando al massimo, ma è così.
Ci sono caduta anche io: desiderare qualcosa che non poteva realizzarsi, decidere che era l'unico scopo nella vita e andare in depressione quando la realtà mi ha detto "non succederà mai".
Allora che si fa? Niente, si vive e basta.
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Penso che il meccanismo sia più di uno e sì, è certamente tutto molto complesso.
Per dare qualche traccia forse utile: penso che, alla base di situazioni come quelle sentimentali (o anche legate al lavoro), che hai chiamato "cause perse", vi sia il conflitto tra l'immagine che interiormente (e spesse volte idealmente) ci si è fatti (quindi l'immagine della relazione e come dovrebbe essere) e l'immagine che la realtà della relazione o del progetto lavorativo, invece, restituisce.
L'Io, per sua natura, cerca di adeguare la realtà ai propri bisogni (o desideri). Ed è giusto che sia così, perché, diversamente, saremmo delle amebe, ossia privi di qualsivoglia stimolo a muoverci nell'esistenza. Ma, da questo bisogno di adeguamento, si produce un inevitabile conflitto tra l'Io (con le immagini che tende a farsi, sempre a misura di sé) e la realtà, che non si adegua, ma prende altre direzioni.
L'ostinazione, per come la vedo io, non è solo una spinta dell'Io, che, come dicevo, tende a voler adeguare la realtà a sé stesso. Altrimenti, una "causa persa" andrebbe facilmente sostituita con un'altra. Ma tale ostinazione verso determinate direzioni (o relazioni), a mio avviso, proviene dalla necessità intrinseca di comprendere la vita e quindi noi stessi più in profondità e oltre quell'apparenza in cui spesso ci muoviamo inconsapevolmente. C'è il bisogno, atavico oserei dire, di trasformare tutte le spinte inconsapevoli in spinte consapevoli.
Dunque, non parlerei di cause perse, ma di cause che, a prescindere dal desiderio del tuo Io, hai bisogno di intraprendere, in fin dei conti, sempre per capire te stesso.
E visto il perpetuarsi di situazioni simili... direi che il mio problema più grande sia proprio capire me stesso!
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Eh, non sai quanto è comune questo non capirsi! Benvenuto nel club
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mi chiedo quindi quale sia il motivo di tanta determinazione verso cause perse, che si tratti di imprese fallimentari fin dalla loro nascita, o relazioni impossibili. Quale oscuro meccanismo mi porta a dedicare il mio tempo a qualcosa che poi, a posteriori si rivela palesemente inconcludente?
E' solo stupidità la mia o c'è qualcosa di più complesso che mi porta a dedicare così tanto tempo ed energie a cause perse?
Va detto che quasi sempre vedo la realtà quando qualcosa va a sostituire la mia attenzione.
Un nuovo lavoro, una nuova relazione.Premetto che il mio potrebbe essere il punto di vista molto egocentrato di chi si ritrova in parrecchi tratti che hai descritto di te stesso.
Ciò doverosamente premesso da parte mia...mah... considerando che la maggior parte della popolazione che si rivolge a psicoaddetti lo fa nella convizione di mancare di autostima e fiducia in sè stesso e blablabla, pare che almeno 'sto problema non ci affligge, evviva!
Poi mio figlio (adulto) che denota le stesse caratteristiche ma definirebbe "speranzoni" quelli come te e me...io sono felicissima di vederlo Speranzone anche lui, evviva due!
Resta (salvifica, a mio vedere) la capacità di vederla la realtà, prima o poi, ma sempre in tempo utile per RI-organizzarsi e RI-partire, anche malgrado ammaccature che con un po' più di Ragioneria esistenziale (che evidentemente ci manca) un Ragioniere le avrebbe viste prima, FORSE! ...Ma poi...chissà di quante gioie si è privato, il Ragioniere esistenziale, per ragionarci sempre con manuale e quadri sinottici alla mano?
E' SOLO LA MIA OPINIONE, e sia chiaro.
Ma se tu vivi e fai vivere corde armoniche che non sono dei più...ma siine orgoglioso, piuttosto!
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E' solo stupidità la mia o c'è qualcosa di più complesso che mi porta a dedicare così tanto tempo ed energie a cause perse?
Domandone....
Anch'io oscillo spesso tra ostinazione e perseveranza e sì, mi è capitato di esaurire tutte le energie.
Anni fa dissi al mio compagno che stavo ancora con lui solo perché i miei genitori mi avevano inculcato nella testa che non si molla mai. C'era una parte di verità, ma non tutta perché la realtà è sempre più complessa e articolata.
La domanda che ti fai, secondo me, non ha una risposta universalmente giusta. È un lavoro che facciamo su di noi. Capire fino a che punto è un interesse/bisogno a spingerci e dove inizia la cieca sudditanza ad un meccanismo che abbiamo acquisito.
Non finiamo mai di comprenderci ma in fondo è l'unico viaggio interessante da fare.
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Non finiamo mai di comprenderci ma in fondo è l'unico viaggio interessante da fare.
Questa frase riassume bene qualcosa in cui credo anch’io: capirsi davvero è un processo continuo, forse complicato, ma è quello che vale di più. Grazie la huesera
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