gloriasinegloria
Ok, ammettiamo (molto probabilmente è così) che quello dell'uscita pubblica sia il punto di arrivo della paura di stare solo e “sotto esame” davanti a una donna e, peraltro, non in un luogo segreto, bensì in luoghi in cui tutti possano vedere, quindi giudicare, quindi influenzare, quindi riferire a terzi – anche conosciuti - quello che mostro in una condizione di forte tensione (legato a quello che dicevo sulla "diffidenza", su cui dirò a breve) e far deragliare ogni tentativo mio di essere me stesso e di mantenere la fiducia in me stesso che, da tutti i punti di vista (intellettuale, relazionale, ecc.), è sempre assai bassa. Infatti, nelle occasioni passate in cui incontri si sono tenuti "senza osservatori", la comunicazione è stata decisamente migliore, semplicemente perché ero io più tranquillo (sebbene la diffidenza abbia sempre, poi, finora, trovato conferma, con il prosieguo di un certo rapporto). Diciamo, per sintetizzare ulteriormente, che la paura di uscire sia il risultato di un’analisi costi-benefici in cui alle naturali paure legate all’esame pubblico, all’esame della donna, al suo giudizio e al condizionamento che potrebbe subire l’idea di me (costi) si contrappongano scarsi benefici potenziali (legati alla diffidenza che ho verso le persone, e verso le donne in quanto potenziali partner, in particolare).
Se non ci fosse la tensione, allora, tutto potrebbe andare naturalmente. E allora, è la tensione il problema? E da dove deriva? Ce l'hanno molti, forse tutti, e diversamente certe cose non sarebbero così belle. E allora perché io non la accetto?
Perché so che è una tensione che è condizionata in maniera determinante da quella diffidenza, oltre che da tutto il resto (gli aspetti belli legati al sorgere di quel tipo di tensione, che, infatti, non sono l’unica cosa di cui mi pre-occuperei, se vivessi certe cose in pubblico). E quindi significa che io non accetto la causa di questa diffidenza, il cui sorgere potrebbe essere attribuito sostanzialmente al meccanismo di seguito descritto. Io alle volte mi sento fuori dal mondo, per interessi e altre cose (che poi si traducono nella sensazione di aver perso troppi treni per crescere e di non poterli prendere più) ma, soprattutto, perché sento che questa cosa influenzi pesantemente il mio approccio alle cose e, di conseguenza, quella che credo sia la percezione altrui di questa cosa (notandolo anche per quanto riguarda altre persone, credo che il punto di vista, per quanto mi riguarda, non sia troppo soggettivo); ciò perché, appunto, certi interessi e certe mancate esperienze sembrano creare realmente un punto di vista altrui condizionato da pregiudizi. La diffidenza, allora, è legata alla sfiducia verso gli altri in generale e verso una presunta loro scarsa profondità di approccio, che puntualmente dimostrano, anche con il passare del tempo, di non trasgredire dalla regola comune, vieppiù considerando che ho sempre notato che è difficile, per chi osserva una sorta di “bambino cresciuto”, non arrivare a certe conclusioni (donde l’aggettivo “presunta” che ho usato poc’anzi). La donna chiede di incontrarmi, ma poi, facendolo occasionalmente o meno, dimostra sempre che il mio modo di essere le appare infantile e non può essere “sostenuto”.
Allora, tutto sembra essere riconducibile alla semplice sfiducia verso gli altri. In tal caso, allora, occorrerebbero solo rassegnazione o la fortuna di incontrare qualche donna che sappia vedere al di là dei treni mancati, degli interessi particolari, ecc..
Tuttavia, una domanda sorge spontanea. Negli altri spesso noto, peraltro in persone di qualsiasi età, tratti caratteriali che sembrano molto più accentuati di quelli che credo di avere io, vieppiù considerando che da un po’ di tempo tendo naturalmente a comportarmi in modo molto formale e freddo, quasi, con le persone, proprio per una sorta di reazione ai feedback che ricevo. E, allora, il punto di partenza di tutto potrebbe stare in qualcosa di diverso dalla sfiducia, dal momento che credo sia quantomeno frequente che una certa sfiducia sorga in tutte le persone che, mostrando determinati tratti caratteriali, potrebbero sicuramente subire, almeno in parte, nel loro percorso quotidiano, nello stesso contesto sociale e geografico in cui mi trovo io, il giudizio “negativo” del mondo, ma non per questo rinunciano a vivere le proprie esperienze mostrandosi anche con estrema naturalezza? E, inoltre, se effettivamente io volessi, con questo atteggiamento, proteggere determinate mie debolezze o disfunzionalità e credermi meglio di quello che sono, come mai, essendone consapevole e avendo ormai capito da tempo che non valgono niente certe cose (troppe sono state le occasioni in cui, provando a difendere una certa idea di me – magari come X -, ho ottenuto risultati ben peggiori di quelli che otterrei se non li difendessi; e, quindi, non sento che ci siano modi “giusti” per considerarmi in questo o quel modo), io non riesca a trovare quel grimaldello tale da sbloccare un certo stallo? Soprattutto se, come dicevo, mi è capitato di stare bene con persone anche molto diverse tra loro, con caratteristiche intellettuali e relazionali molto diverse tra loro? Ci sono, è vero, dinamiche irrazionali legate a cose come “paura del rifiuto” e simili, ma come può, allora, persistere se sento di aver preso consapevolezza in maniera assai realistica – anche brutale, per certi versi - di certi miei limiti e del fatto che difficoltà caratteriali o di altro tipo non sono mai potenzialmente incompatibili con una vita relazionale di alcuno?
sara84
Sì, tant’è vero che questo è un ulteriore motivo per cui reputo assai “misterioso” questo mio blocco. Ho avuto prova del fatto che i miei genitori, ma anche le altre persone, non hanno manifestato niente di particolare.