Messaggi di Nemecsek

    L'altro giorno, su un mezzo pubblico, ho visto una coppia di ragazzi giovani (diciamo più di venti anni, ma comunque ragazzi che sembravano già consapevoli di sé) e mi è venuto in mente questo thread.

    Non erano appiccicosi o sdolcinati; peraltro, la ragazza ha ringraziato il ragazzo, che le aveva ceduto il posto, in maniera molto formale, tant'è che ho pensato anche che fossero vecchi amici incontratisi per caso lì.

    Ebbene, nonostante questa forma, il contatto visivo (leggevo, ma erano vicino a me entrambi e non potevo fare a meno di alzare lo sguardo ogni tanto - quando leggo, spesso rifletto su quello che leggo e automaticamente alzo lo sguardo, quasi nel "vuoto"), il contatto tra le mani e altri segnali, mi davano l'idea di qualche cosa che fosse "bisogno reciproco" di stare, appunto, a contatto, ma nel senso di protezione, supporto, condivisione di un "mondo percettivo" comune. Sembrava un contatto maturo ma, allo stesso tempo, come quello di due adolescenti pieni di carica emotiva (non intendo "ormonale", ma proprio emotiva).

    Dai dialoghi che affrontavano, il livello culturale sembrava alto e, quindi, la cosa (sicuramente più che per qualche retaggio personale che per una regola "scientificamente" condivisibile) mi ha colpito ancora di più.

    Devo dirti, Creamy, che nel tuo racconto non ho avuto l'impressione di una cosa del genere, anche se tu dicesti che quella "condivisione percettiva" sembrava esserci. Anche io, personalmente, tendevo a modificare il mio modo di essere in funzione dell'altra persona, credendo, come credo anche tu abbia fatto, che bastasse solo fare determinati "passi" per far sì che la mia natura autentica fosse accettata dall'altro. Ebbene, col tempo, con i miei fallimenti, mi sono reso conto che è esattamente il contrario, nel senso che tu fai quei passi, per la prima volta o per l'"ennesima prima volta", come dicono tanti utenti che hanno seguito questo thread, solo se ti senti in un "tuo mondo solo un po' più largo di quello in cui sei solo tu".

    Credo che al di là di età, interessi e livello culturale, per certe cose serva sentirsi totalmente a proprio agio, anche nel provare esperienze forti o brividi. In altri ambiti (in cui magari ho inteso sublimare alcuni bisogni mancanti: niente di che, eh, emozioni pulite e lecite 8o ), io ho provato, al contempo, emozioni da brividi e senso di protezione: sono stati gli attimi più belli della mia vita e mi sono ripromesso che, se mai dovessi vivere un legame sentimentale, esso non potrebbe che essere così (perché altrimenti preferirei mille volte non viverlo, anche con determinate rinunce).

    L'augurio, per te, Creamy, è che tu possa aprirti alla prospettiva di riuscire a riconoscere attimi o occasioni di questo tipo: vedrai che, una volta accaduto, tutto verrà naturale. ;)

    L3n, se hai avuto modo di andare in altri paesi e di vedere cose che, nonostante i contesti diversi, potrebbero essere applicate nel nostro, potresti, magari, sfruttare questa sintonia con prassi o norme dei paesi stranieri per migliorare, per quanto possibile ovviamente (mi riferisco sempre alla differenza tra i contesti, che in tal senso potrebbe essere determinante), il nostro. A tutti i livelli (locale, ma non solo).


    Aggiungo che l'impegno politico è sempre qualcosa di nobile in sé, nel senso che, se anche il modo di essere degli interpreti e dei destinatari dell'azione tende a demotivarti, comunque dedicarsi all'attivismo, al dibattito, all'elaborazione di politiche è un investimento di energie che non solo è "creativo", ma è anche, in ultima istanza e ovviamente sotto le migliori condizioni, volto a un miglioramento della collettivitá che giustifica per se stesso l'impegno profuso. Questo è per dire che ci sono mille modi di fare politica: attivismo, come dicevo, dibattito, studio, approfondimento, divulgazione. Credo che tutti quelli che provano interesse per certe tematiche potrebbero trovare una propria particolare strada per impegnarsi per la collettività, anche nell'ambito di gruppi organizzati (quali possono essere i partiti).

    No, non ho bisogno del Ti amo, forse più qualcosa a livello comportamentale. Vorrei la certezza che lui c'è e che è legato a me, anche senza quelle due parole. Magari anche "solo" un cercarmi spesso, chiedere di uscire a ME piuttosto che a un'altra. Fa MOLTO la differenza per la mia psiche.

    Devo dirti, Creamy, che quando ho avuto le prime prime esperienze (seppur “a distanza” e travagliate, per l’impossibilità di incontri non casuali dal vivo – ne parlo sempre nel thread che ho aperto di recente -), ciò che mi ha portato a sviluppare, piano piano, una naturale diffidenza nel sentire quel “legame” di cui parlavo prima - e nel comunicare in modo tale da far capire, all’altra, che lo sentissi - era proprio quella serie di comportamenti di cui parli qui (il fatto che avvertissi proprio fatica a essere cercato, il fatto che – come poi ho scoperto – c’erano anche uscite con altri, il fatto che le risposte che ricevevo mi sembravano maggiormente forzate quando meno me lo sarei aspettato, ecc.).


    Al di là di tutto ciò che si potrebbe dire per spiegare le cause e al di là di tutte le differenze tra le varie persone e i vari rapporti, io credo che sia impossibile comunicare una vera sensualità (intesa proprio come “apertura ai sensi” dell’altro di quello che si è) se la mente di chi comunica non è libera. Non basta “sforzarsi”, nel senso che non ci sono comportamenti da attuare; è più un essere in un certo modo, che può derivare solo dal fatto di non avere pensieri che velano sguardi, sorrisi, gesti e di far sì che la tua esteriorità si colleghi intimamente alla tua interiorità.


    Qualche volta mi hanno detto che sono carino o che sono un bel ragazzo; ma hanno sempre completato questi “complimenti” con la seguente aggiunta “, però …”, come per sottolineare che il fatto che non mi valorizzassi; in realtà, io credo che sia quello che ho provato a spiegare a te, il difetto: il fatto di avere paure troppo profonde (legate, in fondo, ai nostri bisogni più profondi: protezione, fiducia, affetto) per poter esprimere la nostra esteriorità in maniera autentica e al massimo delle nostre “potenzialità”.


    Come risolvere la cosa, che sembra un circolo vizioso (nel senso che quello che impedisce all’altro di sentire il vostro rapporto come esclusivo è causato proprio dalla tua percezione di assenza di esclusività)? L’unica strada percorribile credo sia quella suggerita dalla tua amica, però comunicando all’altro, anche a parole, le tue paure più profonde, così come stai facendo qui. È chiaro che ciò sarebbe rischioso, per il rapporto in sé, ma è anche vero che non facendolo il rapporto non potrebbe mai essere diverso, in tutti i sensi.

    Ciao Creamy.


    La tua esperienza ha richiamato tante delle riflessioni che ho fatto con riferimento alla mia (se ne è parlato da poco, in un thread specifico), ovviamente con tutte le differenze che potrebbero esserci.


    Nella mia esperienza, non solo sentimentale, ma relazionale in generale, mi è capitato, in alcuni momenti, di trovare (forse sarebbe meglio dire “provare”) un legame particolare, anche istantaneo, con persone di sesso femminile, che prescindeva persino dai motivi più o meno definibili secondo i quali ci può essere affinità tra due persone. Più specificamente, mi è capitato, con persone di sesso femminile che mi attraessero fisicamente o intellettualmente in maniera assai profonda (e quindi che non fossero solo belle esteticamente) e che avevano estrazione, interessi, modo di intendere l’esistenza e il mondo simili ai miei, di non percepire alcunché di questo “legame”; laddove, invece, con persone “insospettabili” mi è capitato di percepirlo.


    Il “legame” di cui parlo è qualcosa di più complesso della semplice “attrazione” che ci può essere tra due persone innamorate o che potrebbero diventarlo. Nell’esaminarne la natura, ho notato che ha più che altro a che fare con il fatto di “sentirsi a proprio agio”, di vedere l’altra persona come qualcosa di “proprio” (non nel senso del “possesso”, chiaramente), come qualcuno che appartenga alla propria sfera sensoriale-percettiva, quasi, ma in modo soggettivo e non oggettivo (quasi come se l’altro fosse un “altro da te” fuori da te). E, come conseguenza, ha a che fare con il “sentirsi profondamente protetti”, “nel posto e nel momento giusti”, al di là della razionale prudenza verso gli esseri umani che ognuno tende a sviluppare con età ed esperienza.


    Mi sono reso conto che per me questo è stato il principale ostacolo che mi ha impedito di vivere determinate esperienze, nonché, soprattutto, il principale ostacolo che mi ha impedito di “parlare veramente” con una donna per spiegarle le mie paure e provare a superarle.


    Mi collego, quindi, sia a ciò che ti ha detto l’amica di cui parli nel primo messaggio, sia a ciò che, nel primo messaggio di risposta, ha detto gloriasinegloria:

    • Ti sei mai chiesta se con questo ragazzo tu senta veramente questo “legame” o se, effettivamente, ci sia la semplice “attrazione” che, pur totale, potrebbe paradossalmente non essere sufficiente? E, soprattutto – ma è lo stesso – ti sentiresti in grado di “sfogarti” con lui, dicendogli tutto (qualsiasi cosa sia), come viene viene, senza badare alla forma e soprattutto alle conseguenze?
    • Dovendo rappresentare il desiderio, sei mai riuscita a distinguere se ci sia una differenza tra quello che provi o hai provato quando ti senti semplicemente “attratta” da qualcuno, ancorché in maniera totale come dicevo, e quello che provi o hai provato quando, magari, accanto all’attrazione, c’è stato anche quel qualcosa in più rappresentato dal “legame” di cui parlavo prima?

    Non sono marito o genitore e non ho che me stesso e i miei impegni cui dover badare. Tuttavia, mentre leggevo, ho provato un forte trasporto per quello che scrivi, nel senso che anche per quanto mi riguarda si sono verificati e si verificano, talvolta, momenti in cui mi trovo sopraffatto da cose che un mese prima governavo in maniera soddisfacente.

    Credo che capitino a tutti coloro che hanno una certa indole e che non per tutti la gravità è la stessa; credo, altresì, che sia importante ed estremamente condivisibile fare come suggerisce speranza24 e non sottovalutare il momento, perchè stati del genere potrebbero sicuramente evolversi.

    Quello di non sottovalutare la particolare difficoltà del momento, oltre a essere un suggerimento legato alla propria salute, è anche un'opportunità per prestare una diversa attenzione ad attività che, magari, in una "configurazione" precedente (cui sembri fare vari accenni nel tuo post), venivano affrontate con una capacità di "governo" diversa. Per esperienza posso dirti che quando succede qualcosa di rilevante per il nostro equilibrio psichico (un lutto, un trauma, un evento comunque condizionante, anche in senso positivo), spesso continuiamo, nell'immediato, a gestire determinate attività come facevamo prima, ma poi la lava che si muove sotto terra tende, da un certo punto in poi, a farci fare tutto con una fatica sempre crescente; tuttavia, sempre con la giusta attenzione verso l'evoluzione del momento di fatica, viene anche naturale, automatico porsi davanti alle cose da fare con un occhio diverso, per capire anche nuove cose di noi.

    Aggiungo, in conclusione, che tuo marito, in tutto questo, potrebbe essere un aiuto importante non solo per le abilità pratiche cui fai riferimento: spesso in occasioni del genere persone che hanno quel tipo di qualità rivelano risorse insospettabili, persino per un marito o per una moglie, anche da altri punti di vista e nonostante sicuramente una certa sensibilità sia stata comunque già apprezzata prima. Ti auguro, dal profondo del cuore, che tu possa essere in grado di condividere tutto, del tuo momento, e che effettivamente esso abbia un'evoluzione positiva sia per la tua interiorità, sia per il rapporto che essa ha con quelle delle persone che ti sono vicino.


    Un forte abbraccio.

    Ci sono così tanti paradossi (quello di un'impossibilità che è effettivamente solo legata agli incontri "reali", così come quello legato a una volontà forte che rimane paralizzata da paura e sfiducia che riconosco come irrazionali, in quanto le stesse persone che le provocano - le potenziali partner - mi invitano a non averne; il fatto di sapere di non avere chissà quali qualità, di sapere che non serve averne e di non riuscire ugualmente a non avere paura di "mostrarmi"; il fatto di avere paura di apparire in pubblico, in un contesto sociale e familiare in cui è esageratamente stupido averne) che credo che per me la cosa più utile sia fermarmi nuovamente qui, con la ricerca. C'è un senso di stanchezza, ma non per la qualità delle vostre risposte, anzi, bensì per il senso di "coazione", indotta da me stesso, che percepisco.

    Le riflessioni dei vari utenti che sono intervenuti - e che ringrazio tutti vivamente, davvero - mi hanno aiutato a riflettere o a vedere cose su cui già avevo riflettuto sotto altre vesti: ma quello che rimane è che non riesco a muovermi e mi sento anche vuoto, apatico, se penso anche lontanamente alla possibilità di ricominciare a provarci. Ci pensavo proprio nelle trascorse giornate di festa, in cui certe mancanze le avverto più intensamente: attendo magari con impazienza una risposta qui, così come ho sempre atteso con ansia, in passato, consigli o spiegazioni; ma quasi mai ho mai avuto la stessa impazienza nel voler mettere in pratica suggerimenti, pensieri, idee.

    La sensazione attuale è che questo blocco sia irrisolvibile, nel senso che credo fermamente, adesso, che anche con un professionista eccezionalmente bravo io non potrei in alcun modo fornire la giusta collaborazione o profondere il giusto impegno per arrivare a un *miglioramento".

    Leggerò comunque qualsiasi ulteriore intervento dovesse arrivare (sempre gradito), nella speranza che laddove la mia "stanchezza" dovesse attenuarsi o cambiare forma, in un altro momento, potrei trovare risposte da una rilettura del thread.

    Grazie mille a tutti :)

    stefanoge


    Determinate esperienze adolescenziali, come dicevo, le ho vissute e so bene quale carica emotiva positiva possano avere. Tuttavia, proprio i primi “fallimenti”, che mi sono sembrati di un’assurdità superiore ai banali e goffi tentativi di mascherare qualcos’altro (le solite cose “umane” che possono accadere in una relazione), mi hanno fatto sviluppare naturalmente l’idea che, al di là delle normali dinamiche delle relazioni con l’altro sesso adolescenziali o post-adolescenziali, nel mio caso potesse esserci qualcosa legato più specificamente a quello che sono, a come interpreto la realtà, ecc..


    Forse “vergogna”, “paura del rifiuto” e paura del giudizio sono effettivamente cose che mi condizionano, oltre che per il fatto che alla fine tutti ne sono condizionati, anche per il fatto che io caratterialmente tendo a sentirmi continuamente sotto esame; ma se non mi hanno condizionato in fasi in cui avevo una consapevolezza di me anche inferiore, credo ci sia anche qualcos’altro non immediatamente “afferrabile”.


    diverso


    Rimango aperto a qualsiasi ipotesi. La categoria di cui hai parlato tu è un insieme che contiene molti elementi, e sinceramente non ne conosco bene il significato o le implicazioni.


    Tuttavia, le espressioni che ho usato – tanto astratte per mantenere una certa riservatezza – fanno riferimento a comportamenti specifici miei che noto in moltissime persone. Persone che non hanno problemi a vivere in maniera diversa la propria vita relazionale, che hanno condiviso anche molte esperienze con me e che hanno affrontato blocchi diversi, forse, ma non tanto peculiari come quello che descrivo qui.


    anonimotriste


    Sono un uomo.


    La comprensione razionale di tutto quello che dici, il fatto di aver vissuto determinate paure “adolescenziali” legate al fatto che potessero vedermi, il fatto di aver quantomeno preso in esame il fatto che esse potessero essere naturalmente dovute all’instabilità di quella fase, il fatto che tutti i miei coetanei non perdano occasione per vivere la propria indipendenza, il fatto che leggo costantemente negli occhi dei miei l’idea che quest’ultima cosa (il fatto che un adulto viva la propria indipendenza sanamente) sia giusta e, per contro, il mio blocco apparentemente inspiegabile è ciò che mi ha appunto spunto, proprio per l’apparente assurdità di questa inspiegabilità, a cercare un confronto su questo forum.

    gloriasinegloria


    Ok, ammettiamo (molto probabilmente è così) che quello dell'uscita pubblica sia il punto di arrivo della paura di stare solo e “sotto esame” davanti a una donna e, peraltro, non in un luogo segreto, bensì in luoghi in cui tutti possano vedere, quindi giudicare, quindi influenzare, quindi riferire a terzi – anche conosciuti - quello che mostro in una condizione di forte tensione (legato a quello che dicevo sulla "diffidenza", su cui dirò a breve) e far deragliare ogni tentativo mio di essere me stesso e di mantenere la fiducia in me stesso che, da tutti i punti di vista (intellettuale, relazionale, ecc.), è sempre assai bassa. Infatti, nelle occasioni passate in cui incontri si sono tenuti "senza osservatori", la comunicazione è stata decisamente migliore, semplicemente perché ero io più tranquillo (sebbene la diffidenza abbia sempre, poi, finora, trovato conferma, con il prosieguo di un certo rapporto). Diciamo, per sintetizzare ulteriormente, che la paura di uscire sia il risultato di un’analisi costi-benefici in cui alle naturali paure legate all’esame pubblico, all’esame della donna, al suo giudizio e al condizionamento che potrebbe subire l’idea di me (costi) si contrappongano scarsi benefici potenziali (legati alla diffidenza che ho verso le persone, e verso le donne in quanto potenziali partner, in particolare).


    Se non ci fosse la tensione, allora, tutto potrebbe andare naturalmente. E allora, è la tensione il problema? E da dove deriva? Ce l'hanno molti, forse tutti, e diversamente certe cose non sarebbero così belle. E allora perché io non la accetto?


    Perché so che è una tensione che è condizionata in maniera determinante da quella diffidenza, oltre che da tutto il resto (gli aspetti belli legati al sorgere di quel tipo di tensione, che, infatti, non sono l’unica cosa di cui mi pre-occuperei, se vivessi certe cose in pubblico). E quindi significa che io non accetto la causa di questa diffidenza, il cui sorgere potrebbe essere attribuito sostanzialmente al meccanismo di seguito descritto. Io alle volte mi sento fuori dal mondo, per interessi e altre cose (che poi si traducono nella sensazione di aver perso troppi treni per crescere e di non poterli prendere più) ma, soprattutto, perché sento che questa cosa influenzi pesantemente il mio approccio alle cose e, di conseguenza, quella che credo sia la percezione altrui di questa cosa (notandolo anche per quanto riguarda altre persone, credo che il punto di vista, per quanto mi riguarda, non sia troppo soggettivo); ciò perché, appunto, certi interessi e certe mancate esperienze sembrano creare realmente un punto di vista altrui condizionato da pregiudizi. La diffidenza, allora, è legata alla sfiducia verso gli altri in generale e verso una presunta loro scarsa profondità di approccio, che puntualmente dimostrano, anche con il passare del tempo, di non trasgredire dalla regola comune, vieppiù considerando che ho sempre notato che è difficile, per chi osserva una sorta di “bambino cresciuto”, non arrivare a certe conclusioni (donde l’aggettivo “presunta” che ho usato poc’anzi). La donna chiede di incontrarmi, ma poi, facendolo occasionalmente o meno, dimostra sempre che il mio modo di essere le appare infantile e non può essere “sostenuto”.


    Allora, tutto sembra essere riconducibile alla semplice sfiducia verso gli altri. In tal caso, allora, occorrerebbero solo rassegnazione o la fortuna di incontrare qualche donna che sappia vedere al di là dei treni mancati, degli interessi particolari, ecc..


    Tuttavia, una domanda sorge spontanea. Negli altri spesso noto, peraltro in persone di qualsiasi età, tratti caratteriali che sembrano molto più accentuati di quelli che credo di avere io, vieppiù considerando che da un po’ di tempo tendo naturalmente a comportarmi in modo molto formale e freddo, quasi, con le persone, proprio per una sorta di reazione ai feedback che ricevo. E, allora, il punto di partenza di tutto potrebbe stare in qualcosa di diverso dalla sfiducia, dal momento che credo sia quantomeno frequente che una certa sfiducia sorga in tutte le persone che, mostrando determinati tratti caratteriali, potrebbero sicuramente subire, almeno in parte, nel loro percorso quotidiano, nello stesso contesto sociale e geografico in cui mi trovo io, il giudizio “negativo” del mondo, ma non per questo rinunciano a vivere le proprie esperienze mostrandosi anche con estrema naturalezza? E, inoltre, se effettivamente io volessi, con questo atteggiamento, proteggere determinate mie debolezze o disfunzionalità e credermi meglio di quello che sono, come mai, essendone consapevole e avendo ormai capito da tempo che non valgono niente certe cose (troppe sono state le occasioni in cui, provando a difendere una certa idea di me – magari come X -, ho ottenuto risultati ben peggiori di quelli che otterrei se non li difendessi; e, quindi, non sento che ci siano modi “giusti” per considerarmi in questo o quel modo), io non riesca a trovare quel grimaldello tale da sbloccare un certo stallo? Soprattutto se, come dicevo, mi è capitato di stare bene con persone anche molto diverse tra loro, con caratteristiche intellettuali e relazionali molto diverse tra loro? Ci sono, è vero, dinamiche irrazionali legate a cose come “paura del rifiuto” e simili, ma come può, allora, persistere se sento di aver preso consapevolezza in maniera assai realistica – anche brutale, per certi versi - di certi miei limiti e del fatto che difficoltà caratteriali o di altro tipo non sono mai potenzialmente incompatibili con una vita relazionale di alcuno?


    sara84


    Sì, tant’è vero che questo è un ulteriore motivo per cui reputo assai “misterioso” questo mio blocco. Ho avuto prova del fatto che i miei genitori, ma anche le altre persone, non hanno manifestato niente di particolare.

    gloriasinegloria

    Continuo a parlare di cose meno specifiche, rispetto al titolo del thread, per rispondere a chi mi risponde, sui vari spunti che man mano vengono fuori. Il blocco vero è quello di non riuscire a mostrarsi in pubblico con donne, e c'è. È il punto di partenza, nel senso che finché non scomparirà, non potrò mai veramente avere la libertá di sentire di poter essere naturale con le persone di sesso femminile e di poter adoperare alcuna mia risorsa per combattere.

    Dall'altro lato, però, come ogni blocco, può anche essere, oltre alla causa di qualcosa (la mancata ricettività mia), anche la conseguenza di qualche altra cosa che lo provoca; ebbene, rispondere a te e a tutti gli altri utenti che sono intervenuti, proponendo spunti che riguardano meno specificamente la questione del thread e più in generale il mio rapporto con le donne, è qualcosa che può aiutare me, che sono l'unico che può indirizzare, direttamente o indirettamente le cose, per una possibile soluzione. Lo dicevo anche nel primo messaggio: sembra che ci siano due blocchi che si autoalimentino, sebbene, ovviamente, le cause potrebbero benissimo essere altrove.

    Per rispondere alla tua domanda e a quello che dici sulla dinamica poco chiara, diciamo che gli interessi che ho facilmente tendono a incasellarmi in una definizione molto rigida, secondo una certa logica comune. Mi è capitato spesso, in tutte le fasi della vita e in tutti i contesti. Tuttavia, è chiaro che le persone che incontro e che condividono con me un dialogo o uno scambio non è che sono così stupide, e quindi provano magari anche ad approfondire la conoscenza, per vedere cosa ci sia davvero dentro o sotto quel "ruolo sociale". Solo che si finisce quasi sempre là, a quell'"incasellamento", e io, forse stupidamente, ho sviluppato quella diffidenza proprio ritenendo fosse sempre e solo questione di tempo essere etichettato in un certo modo. Il punto è che, se sei diffidente, non sei libero di mostrarti e sei vittima di forze interne che, nel mio caso, credo vogliano sempre riportarmi nella comfort zone. E quindi, succede che: 1 non mi abbandono al trasporto, perché avrebbe un inevitabile retrogusto amaro (il trasporto, quello vero, i blocchi te li farebbe vincere, facendoti concentrare solo sulle emozioni e sul presente); 2 non incontro la lunghezza d'onda di nessuna, e quindi sento contemporaneamente di non essere all'altezza di nessuna (cominciando a provare timore reverenziale e tendendo a snaturare ogni mio tratto caratteriale, ovviamente in maniera inconsapevole e "innocente") e che nessuna sia alla mia altezza (cominciando a provare un senso di distacco, quasi fisico, ai primi segni di distanza, diciamo).


    diverso

    Tendo a non escludere mai niente a priori, ma sento (ovviamente nella mia estrema ignoranza in materia) che la questione del blocco e dei rapporti umani in generale di un determinato tipo sia troppo specifica, tra le tante espressioni di sé che ciascuno ha quotidianamente, per ricondurre il tutto a qualcosa che magari riguarderebbe anche diversi altri aspetti di quello che sono o faccio.

    gloriasinegloria

    L'altro si aspetta determinate cose, è vero. Ma, riflettendoci, io mi rendo conto che queste cose riescono a essere veramente "segno di vita" solo se le sento autentiche e solo dopo un po' di tempo, nel senso che verso le "determinate cose" mostrate all'inizio, ormai quasi anche uno alle prime esperienze prova diffidenza nella misura in cui percepisce che possa essere solo uno strumento di conquista. E a me, quando passa, appunto, un po' di tempo, non viene più spontaneo sentire le "determinate cose", semplicemente perché sento che l'altro subito mi dà l'impressione di avere una stessa concezione che tutti hanno sempre avuto di me, almeno in un certo tipo di rapporti meno formali (e questa è una costante)

    A questo punto, e così mi collego anche a quello che dice la huesera, non si tratta tanto di investire energie, secondo me, nel senso che se l'altro dopo un po' ti rimanda sempre l'idea di percepirti come una persona rigida, supponente, con grilli per la testa e, di fatto, lontana dai comuni mortali, allora tu non tendi spontaneamente a impegnarti: diventerebbe un obbligo, un dover fare, e secondo me in certe cose non può funzionare così, o almeno non del tutto e, comunque, uno riuscirebbe ad avere la forza di "forzarsi un po'" solo in situazioni diverse dallo schema che qui sto descrivendo per me.