Messaggi di Nemecsek

    Un po' complessa come ipotesi... Ti ringrazio per il tuo spunto, ma non credo sia questo il caso... Rifletterò e mediterò... Credi quindi che siano potenzialmente non reali le mie percezioni?

    Qualche tempo fa, ho avuto una situazione in cui credevo che gesti simili a quelli che hai visto tu potessero interpretati in modo analogo a come tendi a interpretarli tu.

    Ci sono, chiaramente, molte differenze tra quello che hai detto sulla tua storia e la mia storia (vissuti differenti, maturità differente, ecc.; poi, io ho pochissima esperienza) e, proprio per questo, non credo sia corretto, proprio dal punto di vista degli elementi di cui tener conto per trovare una risposta, fare un paragone troppo stretto (nel mio caso, per esempio, si trattava di vincere tensioni più personali, per farti capire, che coinvolgevano solo me e la mia paura di entrare in situazioni ansiogene, di frequentare le persone in questione al di là dei contesti semi-occasionali in cui ricevevo certi segnali).


    Quello che mi sento di dirti è che, però, gesti che mi sembravano assai evocativi nel momento di tensione, hanno perso gran parte del loro potere evocativo quando la tensione è caduta. E ho reinterpretato certi segnali in modo assai diverso da come avevo fatto allora.

    A mio avviso, nel tuo caso potrebbe anche essere sbagliato convincersi del fatto che certe interpretazioni dipendano solo dal soggetto (cioè da te e da una tua ipotetica scarsa capacità di discernimento). Ma per avere un punto di vista maggiormente equilibrato, ritengo che occorra tener conto non solo dei fatti in sé e di come spesso essi vengono interpretati dagli esperti (che quasi sempre sottolineano, però, a mo' di disclaimer, che certe interpretazioni non possono prescindere da contesto, vissuto, ecc.), ma anche di chi è chiamato a interpretarli, non potendo prescindere da sé stesso.

    Gloria, la cosa strana - su cui ho riflettuto moltissimo - è che mia madre è una persona che non incute proprio l'idea del "narcisismo violento". E' proprio il contrasto tra una certa, paradossale sua mitezza e la situazione che descrivo a essere per me indecifrabile, per la sua apparente assurdità.


    Con il tempo, ha provato a modificare molti suoi atteggiamenti, ma forse è proprio questa "modifica" - dettata chiaramente dal profondo affetto materno - che ha creato in me una specie di "angoscia" legata all'imprevedibilità di quello che potrebbe succedere.

    Non ci sono precedenti e non ne ho la minima idea. In ogni caso, faccio un tentativo, provando a basarmi sui loro comportamenti in situazioni simili.

    Potrebbero:
    1) vederla come se io fossi adolescente, reagendo di conseguenza e facendomi male (il fatto che, su molte cose, io venga visto ancora come una specie di adolescente - non mi conforta il fatto che tutti dicono che "per i nostri genitori saremo sempre piccoli" - mi urta parecchio);
    2) tacere, ma anche qui, capendo io subito il loro atteggiamento evidentemente difficile da dissimulare, mi verrebbe lo stesso tipo di ansia legata all'incontro in sé e per sé;
    3) provare a comportarsi in maniera naturale, ma inevitabilmente con una goffaggine tale che subentrerebbero in me fastidio e ansia (quest'ultima legata al fatto che la goffaggine iniziale apparirebbe subito come il preludio a tentativi di controllo successivi - sempre per il fatto che su certe cose è evidente che mi considerino come un adolescente).

    In definitiva, sono tre scenari fortemente ansiogeni, che non mi farebbero avere quella serenità necessaria per affrontare con la giusta maturità esperienze del genere.

    Leggendo quanto dici, mi viene in mente un spunto su cui magari potresti riflettere, Blu. Ovviamente non intendo in alcun modo sminuire quanto provi o la sua importanza, né, involontariamente, essere fuori luogo nell'esporre quanto segue.

    In altri contesti, mi capita quanto segue: in momenti in cui il livello della pressione lavorativa o di altri tipi di pressioni tende a scendere, sposto il livello massimo di attenzione su un altro obiettivo, quasi come se la mia mente avesse bisogno di avere uno stato di tensione di un certo livello per andare avanti, per paura di perdere un certo controllo su se stessa e sulle cose da fare, per paura di perdere sicurezza e autostima. In sostanza, se prima la cosa o il contesto A concentrava tutta la mia ansia e la cosa o il contesto B, di rimando, non mi dava ansia, con lo svanire della cosa o del contesto A sposto una certa mia tendenza ad avere preoccupazioni o tensioni sulla cosa o sul contesto B. E questo si è verificato anche nei rapporti interpersonali, di ogni tipo.

    Nel tuo caso, potresti chiederti se, magari, in questo momento la tua mente tenda, sulla base di uno schema analogo a quello che ho descritto prima, a influenzare l'interpretazione dei segnali che ti arrivano.

    Salve a tutti.


    Non riesco a uscire con persone di sesso femminile per il timore di doverlo dire ai miei genitori, con cui vivo. O, cosa analoga, per la paura di essere visto in pubblico, in compagnia di una donna, da persone conosciute che possano, poi, diffondere la notizia. Ne consegue che, a parte tentativi semi-adolescenziali di vedere ragazze di nascosto, non ho mai, in tempi recenti, potuto pensare di intraprendere relazioni o anche di coltivare profonde amicizie "vissute" con ragazze o donne.


    Fornisco altri elementi, affinché chi voglia farlo possa esprimersi in questo spazio con maggiore cognizione: ho più di trent'anni; ricevo anche pareri positivi sul mio aspetto fisico; ho un lavoro che mi consente di avere a che fare quotidianamente con persone di età, genere ed estrazione diversi, a vari livelli comunicativi; non ho problemi a uscire con persone di sesso femminile, anche di pari età, ma in contesti diversi (incontri di lavoro, ecc.); mi piacerebbe provare a vivere una relazione sana, ma le profonde frustrazioni a cui sono costretto da questa mia paura tendono a farmi vedere ogni tentativo come inutile o insensato e, conseguentemente, anche a spegnere gran parte dello spirito propositivo che normalmente simili esperienze richiamano; ho qualche hobby, ma in nessuno di essi, data la loro particolare natura (sono attività che molti definirebbero "pesanti"), tendo a trovare momenti di condivisione con gli altri; le esperienze, fortemente limitate, a cui accennavo prima si sono tutte concluse per via del fatto che il blocco diventava a un certo punto, direttamente o indirettamente (condizionando i miei comportamenti), insostenibile per l'altra persona (per ovvie ragioni, ci mancherebbe).


    Aggiungo anche che spesso, in alcuni momenti, ho anche la sensazione di avere paura di innamorarmi e la sensazione di avere due blocchi (il semplice uscire con le donne in pubblico e una certa ritrosia alla possibilità di abbandonarmi ai sentimenti) che si alimentino a vicenda, sebbene vi sia la possibilità che il secondo (la sensazione di avere paura di innamorarmi) sia in realtà, in qualche modo, effetto della rassegnazione dovuta al primo. Peraltro, sebbene abbia una forte tendenza all'introspezione, quando arrivo a pensare a come poter fare per affrontare questa o quella paura, provando ostinatamente a trovare qualche grimaldello che vinca le mie difese, giro a vuoto e finisco con l'essere ancora più confuso; riconosco alcuni elementi presenti, legati all'uno o all'altro blocco, quali potrebbero essere la paura di non essere all'altezza o la paura di perdere una certa immagine che il mio vissuto ha costruito agli occhi di molti, ma è come se non ci fosse la possibilità di unire tutti questi elementi, di cui sono consapevole, in maniera sistematica, costruttiva e magari risolutiva. È come se l'analisi profonda di tutte le possibili cause, o la semplice mia naturale tendenza a svilupparla costantemente, fosse essa stessa un meccanismo di difesa estremamente subdolo.


    Grazie a chiunque voglia dire la sua: se è vero che tali questioni, così come l'individuazione di possibili cause, sono sempre intimamente collegate al vissuto di ciascuno, è pur vero che la mente spesso può aver bisogno anche di un pensiero, un racconto, un’esperienza o un'idea altrui per trovare il coraggio di vedere determinate cose sotto altri aspetti.

    Ciao faded ;)


    Appena potrò, leggerò il tuo post in "Umore depresso".

    Per ora, però, almeno stando a quanto scrivi in questo thread, posso dirti che la tua situazione è molto simile alla mia. Anche io sono diplomato al liceo scientifico, anche io ho avuto un'adolescenza travagliata, anche io non ho concluso l'università, pur avendo provato vari percorsi, anche io vivo al sud e anche io non ho ben chiaro cosa fare "da grande" (attualmente lavoro, ma sento che la cosa non durerà, per diversi problemi di ansia che mi porto dietro). Io, poi, ho qualche anno in più di te.

    Mi viene anche da dirti che, però, che, per riflettere, con la massima calma, su di te, prima di tutto, e, poi, sul tuo futuro, potresti puntare su alcuni fattori la cui esistenza pare emergere da quanto scrivi. Ne sottolineo alcuni, poi magari mi dici.

    1) Tu dici di non sapere cosa vuoi fare. Ebbene, io posso dirti che, attualmente, sto provando a pensare, più che altro, a cosa non riesco a fare: io ho diversi problemi di ansia, come ti dicevo, e cerco semplicemente di trovare una strada che sia in grado di rendere l'ansia stessa sopportabile. Personalmente, soffro di una forma di disturbo ossessivo-compulsivo che fa sì che quando si tratta di controllare dati, carte, etc., vado in crisi. Nel tuo caso, potresti provare a sostituire la parola "ansia", se necessario, con quelle che caratterizzano il tuo malessere, e provare a fare lo stesso gioco.

    2) Tu dici che vivi al sud e che hai sorelle che vivono "fuori": ebbene, hai mai pensato di trasferirti utilizzando, come appoggio, proprio l'abitazione di una di loro? Potresti avere un affetto "vicino" che renderebbe meno traumatico il distacco da casa tua.

    3) Hai detto che hai lavorato come cameriere. Indubbiamente, è un lavoro che può essere molto faticoso; ma hai mai provato a pensare di poter fare un mestiere affine a quello di cameriere, magari sfruttando l'esperienza maturata quale, appunto, cameriere? Mi viene in mente il mestiere di barista, per esempio; al centro-nord, Covid a parte, potrebbero esserci bar di una certa dimensione in grado di consentirti anche di raggiungere una buona indipendenza economica, con, forse (in quanto parlo senza molta cognizione, a dir la verità), meno stress. Ovviamente il mio è solo un esempio, sia chiaro, nel senso che prescinde totalmente da quella che potrebbe essere la tua volontà in tal senso ;)

    Perdonami se sono stato troppo diretto o troppo superficiale nel trattare alcuni punti. Nel frattempo, ti abbraccio.

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    Dicono che, come il seroquel, fa ingrassare e alza la glicemia

    Mi disse il mio dietologo che non è vero che lo Zyprexa faccia ingrassare, o almeno non "direttamente", nel senso che in effetti fa ingrassare solo perchè spinge a mangiare di più (in poche parole fa venire fame :)).

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    [quote ] Ciao Tartarugo/a... mi chiamo Valerio! Cercherò di spiegarmi in poche parole... Quando parlo di finzione, mi riferisco al fatto che pur avendo affrontato momenti di serio disagio, che in anamnesi sono passati come episodi depressivi maggiori non trattati, ho trovato (non so come, quindi certamente non me ne prendo il merito, che anzi attribuisco alle energie che si possono avere in gioventù) comunque il modo di non lasciarmi andare, di rispettare le persone che mi circondavano cercando di non gravare su di loro. Non mi sono abbandonato, almeno in apparenza, alla disperazione. Ma l'ho vissuta, e intensamente, facendo l'errore di non volerla condividere... Ma quel che è un errore per se stessi qualche volta è cosa giusta per gli altri, almeno sul momento.

    [/quote]

    Io pensavo che tu, caro Valerio, con "finzione" intendessi quasi l'opposto, cioè, in qualche modo, una certa simulazione/enfatizzazione del tuo stato d'animo disperato, resa per comunicarlo meglio agli altri. Io, spesso, ho agito in questo modo, cercando comunque di essere onesto con me stesso nel riconoscere come vera la disperazione di fondo che operava dietro la, come vogliamo chiamarla, "recita".

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    Ma, secondo un certo modo "americano" di guardare la condizione di disadattato che un depresso vive, ci sono tre parametri da regolare: l'autostima, la consapevolezza del sè, i livelli di rabbia. Forse il tuo psichiatra voleva agire proprio in tal senso, cercando di far sì che, per altra via, facendo qualcosa che di per sè sia in grado di "cambiare la tua vita, le tue abitudini", tu potessi arrivare ad ottenere riconoscimenti insperati per la tua autostima e per la tua consapevolezza di te, di quello che sei, nella complessità della tua persona.

    P.S.- Comunque io sono Michele, piacere.

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    Sono arrivato a chiedere un consulto psichiatrico perché, dato l'evidente rallentamento delle mie capacità cognitive e di linguaggio, non ho potuto più "fingere" di andare avanti, come ho sempre fatto - con momenti di seria disperazione - negli ultimi dieci anni, o giù di lì, di vita.

    Ciao Domenica/Domenico (ti chiamo così perchè altrimenti mi sembrerebbe come parlare a un muro),

    per capirti a fondo, per cercare di farlo (ho qualche anno in meno rispetto a te, ma vivo una situazione simile alla tua), avrei bisogno di capire meglio cosa intendi con le parole che ho riportato sopra.

    Ovviamente, liberissima/liberissimo di ignorare questa mia richiesta e mandarmi allegramente al paesone.