O forse non l'ho mai saputo fare. Sono un geometra e lavoro come dipendente nello studio tecnico di un ingegnere. Sorvolando sull'aria irrespirabile, gli orari massacranti e le furberie del capo su stipendi, rimborsi 730 e ferie, ultimamente mi sono reso conto che sbaglio in continuazione. Una misura dimenticata qua, un dato sbagliato là, c'è sempre qualcosa che non va bene nelle pratiche che produco. Cosa dovrei fare? Io vorrei lasciare prima di tutto perché il lavoro NON MI PIACE PIU', ma adesso c'è anche questo problema, che non è di poco conto perché un errore di misurazione porta a problemi in fase di realizzazione delle opere ed errori nelle quantità di materiali impiegati e di conseguenza danni economici. Ma non ho idea di cosa possa fare al caso mio, non so proprio quale sarebbe il mio posto nel mondo del lavoro a questo punto. Tenendo conto che (con tutto il rispetto per la figura professionale) uno spazzino guadagna più di me, dovrei provare in quel campo...
Al di la' delle battute idiote, sono davvero frustrato, so che la colpa è mia ma se non so fare un lavoro che faccio da ormai 15 anni cosa dovrei fare?

Non so più fare il mio lavoro
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Non è che questi errori di calcolo ti capitano per stanchezza?
Sul cosa fare non saprei che dirti. i geometri possono fare tante cose anche diverse, dal perito all'insegnante. Però se da un lato devi vedere cosa ti piacerebbe fare, dall'altro devi anche tenere presente l'attuale situazione del mercato del lavoro. -
È impossibile non sbagliare nella vita, e per vita intendo anche il lavoro. Tutti sbagliano ma l'importante è rimediare e capire l'origine dell'errore.
Come mai sbagli? Stanchezza, stress, problemi sentimentali, paga scarsa, rapporto negativo con i colleghi? Individua la causa e una volta scoperta correggila, semplice!
Gli ansiosi tendono a catastrofizzare tutto ma non sanno che la vita ha anche dei risvolti semplici, basta che si abbia un equilibrio emotivo e ovviamente dipende dai casi, il tuo non pare così grave quindi...su forza!
Se ti è possibile, datti un periodo di pausa e cerca di ritagliarti dei momenti di svago dopo il lavoro... Purtroppo vuoi la crisi, vuoi l'ignoranza, vuoi l'Italia il lavoro perfetto non si trova ma ti puoi avvicinare ad esso se sai come muoverti.
Fammi sapere, buona Domenica. -
Come ti capisco...
Ho vissuto una situazione simile alla tua, per un lunghissimo periodo. Mio padre era il classico "self made man", di umili origini, nato da una famiglia che lo avrebbe voluto subito lavoratore più che studente. Con fatica, perché la famiglia voleva che lavorasse invece di studiare, conseguì il diploma di geometra sul finire degli anni '50. Lavorò fin da subito nel settore, prima come dipendente di imprese edili, fornaci per la produzione di laterizi e solai prefabbricati, con varie mansioni fino a che nel 1975 (quando era già sposato da 11 anni ed io avevo 9 anni) si iscrisse alla facoltà di architettura di Venezia... Anche se erano anni diversi, in 6 anni, pur continuando a lavorare, riuscì a conseguire nel luglio 1981 la laurea in architettura e successivamente ad abilitarsi alla professione.
Diversamente da lui, ebbi la fortuna di studiare al liceo classico, eccellente scuola superiore che però, ti apre tutte le strade, fuori che quella del lavoro... Il momento più difficile arrivò quando si trattò di scegliere il percorso universitario... Non ti sto neanche a dire che mi trovai iscritto alla facoltà di architettura di Venezia... mentre i miei desideri sarebbero stati altri.
Facendola breve, per il primo periodo feci solo lo studente, ma quando i tempi si allungavano, mio padre mi chiese gentilmente di iniziare a collaborare con lui in studio. Tieni conto che mio padre era un orso, un lupo solitario che mal sopportava lavorare in gruppo, tanto che questo creò tante situazioni di tensione ed attrito.
Mi trovavo quindi in una situazione assurda: stavo studiando per un titolo di studio che non mi interessava granché e nel contempo non volevo deludere mio padre, essendo l'unico figlio. Arrivato al conseguimento dell'ambito titolo e dell'abilitazione professionale, sono cominciati problemi ancora più grandi, nel senso che pur collaborando a vario titolo con l'attività, commettevo spesso errori, dal banale al grave. Questo faceva infuriare mio padre e, al contempo, deprimeva me.
La storia poi ha avuto risvolti tragici perché mio padre si è ammalato nel 2005, dopo una parabola costellata da speranze di guarigione e improvvisi crolli verticali, è mancato nel luglio 2012. Dal 2005 ho dovuto poco a poco chiudere lo studio, affittarlo, ritirarmi in una stanza dell'appartamento di mia madre ed arrabattarmi come posso. Nonostante tutto, la cassa di previdenza bussa alla porta con una impietosa puntualità... Mi verrebbe voglia di chiudere partita IVA, interrompere il pagamento della cassa, tanto non ho nessuna certezza di percepire la pensione quando sarò anziano. -
ultimamente mi sono reso conto che sbaglio in continuazione. Una misura dimenticata qua , un dato sbagliato là, c'è sempre qualcosa che non va bene nelle pratiche che produco.
Credo sia abbastanza normale, oserei dire sano.
Questo perché, come confermi anche tu, l'ambiente di lavoro è INsano (leggi la citazione sotto):aria irrespirabile, gli orari massacranti e le furberie del capo su stipendi, rimborsi 730 e ferie
Quindi, la tua reazione SANA è che (leggi sotto):
il lavoro NON MI PIACE PIU',
Dico che "è sano", perché è sano avere una reazione INsana a un ambiente INsano.
Ora, per non perdere la sanità (mentale o economica) devi fare un altro passo avanti.Tenendo conto che (con tutto il rispetto per la figura professionale) uno spazzino guadagna più di me, dovrei provare in quel campo...
Calcola che questo è il male del nostro tempo: con più si lavora, con più si è poveri.
I ricchi sono quelli che muovono denaro senza muovere un dito, purtroppo.
Totale mancanza di meritocrazia e furberie all'italiana, eredità di un recente passato, hanno trasformato la vita moderna (che dovrebbe essere ricca e felice, viste le risorse) in un incubo di schiavitù.cosa dovrei fare?
Innanzi tutto prendi atto di essere sano, quantomeno alla luce di quanto vai qui scrivendo.
Cambiare lavoro, oggi come oggi, ha senso solo se approdi a un porto sicuro. Devi ben sapere dove vai a finire, oltre che sapere quel che lasci.
Se questa possibilità non la hai, cerca di cambiare il tuo atteggiamento nell'attività lavorativa. Inizia con dei cambiamenti, anche piccoli, anzi: meglio se piccoli.
Cambia posto dove andare a mangiare, cambia quello che mangi, cambia gli orari del caffè, cambia atteggiamento con i colleghi. Fa buon viso a pessimo gioco e passa quanto più tempo libero possibile a fare cose che con il tuo lavoro non abbiano alcuna analogia.
Se ti è concesso cambia l'illuminazione della stanza e/o proprio la postazione di lavoro.
Poi considera che la tua situazione, al giorno d'oggi, è considerabile addirittura di privilegio.
Non so quanti anni tu abbia, ma un qualsiasi 20enne oggi arriverebbe a snaturarsi pur di poter compilare un 730. -
Il guaio di questo periodo è questo: c'è gente che il lavoro se lo tiene stretto nonostante tutto e gente capace di protestare perché non funziona il distributore del caffè. E allora si stringono i denti e si va avanti perché da un lato è giusto tutelare il lavoratore, dall'altro dare addosso ad un'azienda significa farla chiudere.
Ma stamattina è proprio una giornataccia e sono nel completo panico perché un tecnico mi ha passato un suo lavoro e ci sono delle imprecisioni nel disegno: si tratta di poco più di un decimo di millimetro, ma questo piccolo difetto è propagato per l'intero grafico e sto sprofondando nella paranoia. So che è una cavolata trascurabile, ma nonostante ciò non riesco a smettere di pensarci. Vorrei cancellare tutto e ridisegnare solo per non trovarmi davanti la scritta 0.06984 anziché 0.07 (che dovrebbe essere quella giusta).
Ed ecco come sta andando oggi. -
Oggi ho risposto al capo in un modo che secondo lui sarebbe maleducato. E ha cominciato a vomitarmi addosso tutti i miei difetti: irascibilità e maleducazione in testa a tutto. Lui con me ha una pazienza "che io non posso immaginare" ed è stanco di "sopportarmi". Al che gli ho detto che se lui è costretto a sopportarmi basta che mi dica che non funziona più e io toglierò le tende. E lì a dirmi che posso fare quello che voglio, ma senza rispondere chiaramente alla mia provocazione. Io qui non voglio più starci. "Se hai le palle tirale fuori e fai tu il libero professionista", mi dice, come se essere suo dipendente comportasse da parte mia l'obbligo di accettare questa situazione di m...a solo perché lui, a detta sua, è costretto a sopportare di essere il nostro capo.
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Mollalo subito, non è salutare.
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Siamo indietro con i pagamenti di cinque mensilità e stiamo tirando avanti grazie alla condotta parsimoniosa che ho cercato di tenere, ma non credo di poter andare avanti così ancora a lungo. Avevo in programma una ristrutturazione per casa da pagare con soldi ereditati da mia nonna e ho deciso di portarla avanti solo perché davvero mi fa rabbia pensare che per colpa della cattiva condotta del mio datore di lavoro, dal punto di vista dei pagamenti, io non possa portare a termine i miei progetti, pur lavorando. A questo si aggiunge il fatto che posso fare rinunce fino a un certo punto, ma vallo a spiegare a una bimba di nemmeno due anni di età, che si avvia ad avere necessità importanti (e costose) come il nido. Qualche giorno fa mi sono sorpreso a contemplare l'altezza di un ponte (che attraverso tutti i giorni andando a lavoro) e a chiedermi se il suicidio sia una soluzione. Ho sempre avuto il timore di trovarmi in difficoltà economica e di essere spinto per questo al suicidio, ma la verità è che sono un fifone e non lo farò mai. Eppure ci penso. Sono troppo curioso di vedere come va a finire la storia, ma da morto non so se potrei "assistere dall'alto", quindi resto qui. Dipende da me, devo trovare la forza di uscirne, ma al momento mi sento apatico e non ho voglia di reagire. Vorrei tanto lasciarmi andare e "dissolvermi lentamente". Sto così da circa due mesi e penso che l'episodio scatenante sia stato un furto ai miei danni, perpetrato mentre ero in vacanza: hanno rotto il finestrino dell'auto e hanno rubato tutto quello che potevano, compresi pannolini, giocattoli e vestiti della mia bambina. E io ero a nemmeno duecento metri di distanza. Appena scoperto il furto ero carico di rabbia e odio, adesso mi sento semplicemente impotente, così come si sono dimostrati i carabinieri del posto, che queste cose le vendono ogni giorno senza poterci fare granché. Mi sento inutile, come l'assicurazione, che con vari cavilli ha dimostrato di non coprire nulla. Non so se mi riprendo. Mi sento come un libro che sta per arrivare all'ultima pagina.
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Io ti consiglierei di cambiare lavoro, cerca un altro studio in cui puoi andare a lavorare, continui a fare errori perchè quel posto di lavoro è diventato un ambiente poco stimolante e in cui vivi uno stato di malessere che ti porta a non concentrarti e sbagliare.
Oltretutto il tuo capo non si comporta bene con i pagamenti e non puoi rischiare di rimanere con un lavoro che non ti piace e in cui comunque non prendi soldi..il danno oltre la beffa.
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