Messaggi di Alba Cremisi

    Se il contesto (almeno quello attuale), lo legittimasse, non sarebbero stati pizzicati.

    Legittimava (o non sarebbero stati pizzicati).

    Insomma, la responsabilità aumenta nel fatto che i comportamenti siano in correlazione con un contesto storico-culturale obsoleto, come chi aderisce a una qualche ideologia vecchia che non è più socialmente accettata.

    Penso sia utile distinguere due livelli di contesto: il primo è quello specifico del gruppo, che spiega il perché e il come certi comportamenti si siano sviluppati e diffusi al suo interno; il secondo è quello più ampio rappresentato dalla società nel suo insieme, che si manifesta superficialmente con un'apparente condanna più o meno netta di questi atti (e per alcuni questo sentimento è sicuramente sincero, mentre per altri può avere motivazioni più opportunistiche), ma in cui persistono aspetti che tendono comunque a minimizzarli o a cercare qualche tipo di giustificazione.


    Anche questa stessa discussione ne rappresenta uno spaccato: invece di condannare categoricamente certi comportamenti come espressione di una certa mentalità che obsoleta in realtà non è, si tende a introdurre distinguo, spiegazioni o attenuazioni. In questo senso una certa cultura contribuisce, seppur in modo sottile, a rendere indirettamente accettabile o tollerabile ciò che formalmente viene criticato, permettendo a certi atteggiamenti di continuare ad esistere e perpetrarsi appena sotto il pelo dell'acqua, come in questa vicenda e quelle prossime analoghe che, senza dubbio alcuno, prima o poi emergeranno alla luce.

    Beh, qualcosa di naturale c'è, mica sono asessuati. Poi, se sia spiegabile maggiormente attraverso un'argomentazione focalizzata su un aspetto culturale-storico, oppure focalizzata su un aspetto istintivo-biologico, ognuno si concentrerà maggiormente su ciò che attira di più la sua attenzione selettiva.

    Il naturale istinto sessuale non ha nulla a che vedere con questo genere di azioni. Non esiste alcuna coazione istintiva volta a condividere foto intime di una partner: si tratta di una scelta deliberata e moralmente condannabile. Ridurre questi comportamenti a una questione di impulsi significa come già ripetuto più volte oscurare il ruolo del contesto culturale e sociale che li rende possibili, tollerati o persino giustificati da alcuni. La biologia non determina né legittima la violazione della dignità altrui, che è invece il prodotto di mentalità storicamente radicate.

    Se questo sentire comune sia stato poi polarizzato da un fattore di tipo culturale in comune (patriarcato), oppure da una comunanza di istinti e caratteristiche di tipo neutrale, come l'ipotizzata immaturità, penso sia l'oggetto di dibattito.

    Ricondurre quanto accaduto a una mera questione di impulsi naturali o immaturità rischia di oscurare il ruolo determinante del fattore culturale, in virtù del quale norme, valori e modelli storicamente radicati hanno strutturato una visione entro cui determinati comportamenti diventano non solo possibili o tollerati, ma persino incentivati e giustificati.


    Per dirla in altro modo: non c'è nulla di "naturale" nell'azione dei membri di quel gruppo, non sono stati semplicemente guidati da impulsi o immaturità, ma hanno agito in un contesto che in un certo senso legittima e rende accettabile la violazione dell'altrui dignità. Ignorare questo significa rischiare di minimizzare la responsabilità oggettiva che si cela dietro certi comportamenti, riducendoli invece a una sorta di "inevitabile" espressione di istinti, quando in realtà sono prodotti di un sistema sociale e culturale concreto e tangibile.

    Garden, hai scritto molto e spero di aver interpretato correttamente il tuo punto di vista.


    Credo che una lettura prevalentemente biologica o genetica del comportamento maschile presenti dei limiti importanti. Se da un lato è vero che alcuni impulsi, come possessività, competitività o desiderio sessuale, hanno radici evolutive e possono spiegare alcune tendenze, dall'altro non spiegano da soli né giustificano comportamenti devianti, come quelli oggetto di questo thread ed altre forme di oggettificazione. Questi atti si collocano sempre e comunque in un contesto culturale e sociale ben preciso che li rende possibili o tollerati, e qui entra a mio avviso in gioco il patriarcato, ossia un insieme di norme, pratiche e modelli di dominanza storicamente strutturati che permeano la cultura e il sentire comune, anche se in forme differenti.


    Inoltre non tutti gli uomini reagiscono allo stesso modo ai medesimi istinti: maturità, autocontrollo, educazione e consapevolezza morale modulano le azioni e determinano se gli impulsi naturali possano degenerare o meno in comportamenti socialmente inaccettabili, quindi anche il fatto che un certo comportamento possa avere radici evolutive non lo rende automaticamente accettabile né moralmente neutro.


    Focalizzarsi solo sull'istinto rischia di trascurare la responsabilità individuale e l'impatto concreto dei comportamenti, così come le dinamiche di potere e sfruttamento implicite in certe azioni. Il contesto è un fattore imprescindibile per comprendere fenomeni come quello di cui stiamo discutendo, e senza di esso ogni spiegazione biologica rischia di essere parziale e finanche fuorviante.

    Non esiste l'equazione "qualsiasi attrazione fisica = patriarcato", in quanto l'attrazione in sé è naturale, fa parte dell'essere umano e non c'entra con la mercificazione. Quello che intendevo sottolineare è invece un'altra cosa: la nostra cultura, storicamente, ha costruito un immaginario in cui il corpo femminile viene continuamente ridotto a oggetto di desiderio, valutato, classificato, esibito e spesso subordinato al piacere o al giudizio maschile. Questo non significa che se un uomo trova una donna attraente sta automaticamente mettendo in atto il patriarcato, ma come i criteri stessi attraverso cui spesso vengono valutati la bellezza, la desiderabilità o perfino la "rispettabilità" di una donna sono influenzati da secoli di cultura patriarcale.


    Pertanto non è un problema l'attrazione in sé, ma il contesto che la plasma, la rende gerarchica, la trasforma in valore sociale della donna stessa e, in certi casi, legittima comportamenti di oggettificazione o disuguaglianza come quelli in discussione in questo thread. Quindi, per venire alla tua considerazione, non si tratta di "prendere i voti" per essere liberi dal patriarcato, ma di diventare consapevoli di come certe logiche influenzino (anche a propria insaputa) i modi di guardare e di rapportarsi agli altri.

    La libera scelta di prostituirsi può dirsi realmente consapevole solo fino a prova contraria, ossia quando si ha piena coscienza di ciò che si sta facendo, non può esserlo solo in potenziale o nelle intenzioni o in linea filosofica. A mio avviso, non è sufficiente sostenere che una donna che decida di mercificare se stessa sia automaticamente estranea a qualsiasi logica patriarcale solo perché non vi è un evidente sfruttamento. La consapevolezza individuale, infatti, rappresenta un terreno estremamente fragile e sfumato, in cui i confini tra autodeterminazione e condizionamento sociale risultano spesso difficili da tracciare con nettezza.

    Nell'ultimo paragrafo del mio intervento a cui fai riferimento sottolineavo proprio come, anche quando una scelta appare libera e consapevole, rimane comunque inserita in un contesto culturale patriarcale che da secoli mercifica il corpo femminile. Il punto che volevo evidenziare era esattamente questo: non è che ogni singola decisione personale in tal senso sia automaticamente "patriarcale", ma di certo non può mai essere del tutto neutra rispetto a quel contesto.

    Per quanto concordi pienamente con chi afferma che sia necessario porre la massima attenzione nella scelta del partner - anche se passione e sentimenti possono facilmente offuscare la ragione, e questo vale per entrambi i generi - non credo che, in una circostanza come questa, sia corretto attribuire responsabilità alle interessate (salvo ovviamente per chi era consapevole e consenziente). Spostare il discorso su presunte colpe o "responsabilità pratiche" delle donne rischia di banalizzare e giustificare comportamenti che restano comunque inaccettabili. Non si tratta di colpevolizzare chi si fidava o chi non ha percepito tutti i (presunti) segnali: la responsabilità è di chi ha agito deliberatamente e senza rispetto.


    In molti casi, inoltre, non è proprio possibile stabilire a priori se una persona possa arrivare a compiere atti simili. Alcuni individui, riguardo alla sessualità, coltivano un vero e proprio "giardino segreto" dentro di sé, dove talvolta vengono piantati radici e semi tossici che nessuno, nemmeno il partner, può vedere. Finché questi semi non germogliano in azioni concrete e visibili, possono apparire perfettamente normali e insospettabili. È un terreno oscuro e nascosto che rende spesso inutile e ingiusto attribuire responsabilità a chi sta accanto, perché non sempre esistono segnali chiari e individuabili in grado di metterli in luce.


    Il mio timore, inoltre, è che molte donne, essendo cresciute e vivendo in una cultura in cui aspetti patriarcali (nell'accezione femminista) permeano il sentire comune, possano interiorizzare inconsciamente tali logiche. Questo condizionamento culturale può portarle, in circostanze come queste, ad accettare o addirittura a credere nell'esistenza di corresponsabilità femminile, anche quando la responsabilità resta esclusivamente di chi ha agito in questi termini.

    Mi piacerebbe tantissimo sapere il numero percentuale esatto.

    Facendo un esercizio statistico mio personale di persone che conosco più o meno bene che possono essere in odore (mia impressione da come parlano, dalla fissa che hanno ecc) di quella roba in irl stiamo all'1 su cento. Ma nel loro privato quanti di più possono essere?

    Questo non lo so, ma di certo non sono il 20% 30%.

    Credo si debbano distinguere due livelli: da un lato una minoranza esigua (ma non poi così esigua, se un solo gruppo contava 32.000 iscritti) di uomini che compiono atti spregevoli come questi, con un impatto enorme perché la gravità non si misura in percentuali, ma nelle conseguenze reali. Dall'altro, una massa culturale più ampia: persone che, pur non arrivando a simili estremi, restano immerse in logiche di oggettivazione e mercificazione del corpo femminile, in cui pornografia e prostituzione, in tutte le loro forme, creano un terreno fertile e un contesto sociale che normalizzano e legittimano indirettamente i comportamenti deviati di quella minoranza.

    Qui bisognerebbe capire se questi individui sono diventati così per questioni educative, culturali di famiglia, ambientali, esperienze negative ecc o se lo sono di natura.

    Individuare le cause è senz'altro importante, ma rischia di diventare un alibi. Che si tratti di educazione, contesto od altro, il punto resta che determinate condotte hanno conseguenze gravissime, e cercare di spostare il discorso sull'origine del problema può sembrare un modo per attenuare la responsabilità individuale, mentre nessuno "è costretto" a condividere foto intime delle partner a loro insaputa, è una scelta precisa e consapevole.

    Appunto certi, sono pochi dai...

    Pochi? Ne siamo davvero certi? Quel gruppo è salito alla ribalta, chissà quanti altri ne esistono più o meno analoghi, magari su piattaforme meno visibili.

    E' sbagliato portare a rappresentanza del genere maschile quattro degenerati.

    Mai fatto. Non credo però siano solo "quattro".

    E poi non puoi negare che li ho coperti d'insulti, loro sono molto distanti dalla mia persona.

    E quindi dov'è che vorresti arrivare, oltre a prendere atto della gravità di ciò che hanno fatto e delle evidenti implicazioni?