Messaggi di gloriasinegloria

    Anche mia madre mi ha causato molte sofferenze ma io sono e sarò sempre li al suo fianco a sostenerla ed aiutarla spontaneamente senza nemmeno che me lo chieda perché comunque mi ha dato la vita, mi ha cresciuto e dato un'educazione di cui vado fiero.

    Grazie Michele.
    Non avevo ancora letto il tuo post.
    E' bellissimo quel che scrivi, ma ti sono sincera : la formazione di cui io stessa vado fiera, non la devo, purtroppo, a mia madre (la devo a mio padre, la devo ai miei nonni paterni e materni, ma non a mia madre). Anzi: ho il sospetto che se ad educarmi fosse stata lei ...oggi sarei disadattata più o meno quanto mio fratello.

    E in lei vedo un titano di egoismo nevrotico che, come già scrivevo in apertura, non riesco più a comprendere dal tempo dei miei tredici anni.
    Voglio molto bene a mia madre (forza della natura?) , e credo che mi sentirò orfana quando la perderò molto più di quanto mi sia sentita orfana di mio padre che adoravo e mi adorava.

    E forse anche in questo c'è una logica: mio padre è sempre con me. Mia madre, invece, sarà il mio lutto, perchè quando verrà meno la possibilità di un "ok a domani" (sempre sperando di condividere domani quel che non si è condiviso oggi) sarà definitivamente chiaro che ci sia stata solo la mancanza di un incontro, agognato per tutta la vita, realizzato mai, realizzabile mai più.

    Scusami per la tristezza infinita di quello che scrivo, ma è la mia verità, oggi.

    Grazie ad entrambi per esservi interessati al mio problema.
    Sono grata anche al caso che, almeno fin qui, vede due risposte esattamente opposte.
    E' chiaro, infine, che l'egoismo sia uno degli attori protagonisti di questo palcoscenico, e forse si risolverebbe molto se si individuasse la sua collocazione.

    In me c'è l'egoismo (ed è egoismo, senza dubbio) di fuggire dal malumore, dalla impossibilità di condivisione, dalla finzione che "tutto va bene" mentre vedo chiaramente e cerco di segnalare da anni che non va bene per niente.

    Ma, almeno io, in mia madre vedo ben altro calibro di egoismo, e di un egoismo di cui io mi ritengo soltanto la terza vittima in ordine di importanza.
    La prima vittima fu mio padre, di cui fiaccò tutti i tentativi di raddrizzare mio fratello, al tempo in cui questo poteva avere ancora un senso e una funzione.
    La seconda vittima, secondo me, è proprio mio fratello: non vedo cosa ci sia di materno nel crescersi un figlio come se fosse un inetto totale, mentre si è convinte che non lo sia, e mentre non è mai stato fatto assolutamente nulla per stimolare qualunque forma di sua autonomia. Ai tempi dell'università mia madre era contenta che lui dormisse fino alle 14, così non la ostacolava nelle sue adorate pulizie casalinghe! Ha sempre schernito con la più radicale critica aprioristica e diffidente qualunque contatto di mio fratello col mondo femminile. E...non voglio esagerare in retroletture, ma...a volte mi viene il dubbio che in qualche misura si stia "godendo" un qualche povero mondo perfetto (secondo lei). Dopotutto offre vitto e alloggio e sostegno economico a mio fratello, ma ne ottiene in cambio una convivenza per altri aspetti rassicurante e in cui è in qualche misura riverita. Chi resterà incapace di qualunque normale attività di auto-sostentamento quotidiano, quando lei verrà a mancare, è esattamente mio fratello. E questo non mi sembra un grande dono materno!
    Io sono solo la terza vittima : lei è inamovibile dalle sue posizioni, e ne è l'artefice ma si veste da vittima; ha beneficiato di decenni di mio "ok, facciamo finta che tutto va bene, però intanto facciamo qualcosa!" . Inamovibile come sempre, lei si è fermata al al "facciamo finta che tutto va bene. Punto!" .

    Aggiungo che lei ed io abitiamo a pochissima distanza (mia madre guida, ma non avrebbe bisogno dell'auto per venire da me).
    Ovvio che può venire quando vuole, però non lo fa.
    La verità del perché non lo faccia è nelle puntate precedenti: a lei non interessa un rapporto con me.
    Mi considera capace e indispensabile come sostegno, ma in realtà non ha nè vuole alcuna vera confidenza, e avremmo ben poco da dirci (oltre ai commenti sui TG) se venisse a trovarmi, visto che l'unico argomento vero ed attuale da trent'anni è mio fratello e che di questo argomento preferisce non parlare.

    Mi rendo conto adesso, scrivendo, di quanto sia patetico il mio ruolo : oltre agli adempimenti burocratici, in effetti realizzo di non aver alcun ruolo nella sua mente, se non quello di figurante alla sua corte per le odiose repliche della consunta e malata rapprentazione del "tutto va bene!".
    E in fondo ha ragione lei : questa recita si può fare soltanto a casa sua! :dash:

    Dove altrettanto ovviamente continuerò a non andare.

    A me sembra che ci sia una enorme sottovalutazione del ruolo effettivamente svolto dall'amica nella vita di lui, che infatti definisci "trombamica".

    Per brevità direi che questa donna abbia nella sostanza, e da sempre, il ruolo della vera "altra metà" di lui. Di fatto lei è quella moglie accogliente e compagna, anche di di trasgressione, che forse ogni uomo sogna.
    E comunque : lei è il suo riferimento costante, ognuno dei due ha sacro rispetto dei desideri e delle aspettative dell'altro, e hanno anche una rara intesa sessuale. Mi sembra ci siano tutti i fondamenti del matrimonio perfetto.
    Tu dici che lui non la ama, e il fatto che continui a tentare relazioni e convivenze con altre sembrerebbe confermarlo, ma il condizionale diviene d'obbligo considerando tutto il resto.

    Forse ci sarebbe da chiarire quale sia il concetto di "amare" per quest'uomo; potrebbe essere sincero nell'affermare di non amarla, ad esempio, solo perchè chiama "amore" le fibrillazioni da infatuazione/innamoramento che non si provano più verso la donna che è compagna certa e affidabilissima di vita (perchè si prova ben altro e di ben piu' inattaccabile).

    Altrettanto sarebbe essenziale conoscere l'idea di "amore" dell'amica; si potrebbe avere l'amara sorpresa di scoprire che questo assetto che si ripete negli anni corrisponda ad una particolare scelta esistenziale di lei, come è astrattamente più che possibile. In tal caso sarebbe lui a sconfinare nel ruolo di dipendente da lei.

    E' soltanto la mia opinione, ma credo che la scelta di chiudere sia l'unica praticabile se si aspira ad un rapporto di coppia convenzionale.

    Somigli tantissimo, ma proprio tantissimo, nella foto, al figlio 28enne di miei carissimi amici.
    Anche lui ragazzo serio e "perbene", e vero e proprio tombeur de femmes ! Solo ragazze molto belle e anche capaci, intelligenti, valide e desiderabili sotto ogni profilo!

    I suoi lati vincenti, oltre ad abbigliamento e capigliatura che definirei conventional-stilosi, sono senza dubbio nel modo di porgersi, in un mix molto fascinoso di sicurezza ostentata e di bambineria involontaria, con spigliatezza da viveur e parallela autoironia prontissima a trasformare le grandonate non riuscite in fattore di ancora maggior simpatia, e così via.

    Spero di averti tratteggiato il quadro (reale, vero) di un ragazzo normalissimo e che non è nato conquistatore, ma che lo è già diventato nel continuo e simpaticissimo intrecciarsi di prove da adulto fatte con determinazione, e con scivoloni o piccole debacle che sono normali e che ha l'intelligenza di buttare in risata lui per primo, senza complessi.

    La stessa foto mi ha ricordato anche un mio amico quando aveva la tua età.
    Questo, a parità di facies, ha avuto una storia opposta, ma bella anche questa (forse).
    Questo non parlava mai, e al massimo sibilava qualcosa solo su questioni scientifiche (biologo).
    Ha conosciuto una sola donna in vita sua, ed ancora oggi è sua moglie. Non è bella e non lo è mai stata, eppure è un rapporto a prova di bomba. E sembrano felici.

    L'aspetto è solo il primo biglietto da visita, e può essere importante. Poi viene il nostro modo di relazionarci, ed è quello a fare la vera differenza.

    Il discorso e' molto semplice: a nessuno frega nulla di seguire i consigli degli altri, ed e' GIUSTO cosi'. Perche' mai bisognerebbe seguire i consigli degli altri? Che autorita' e competenze hanno gli altri per dare consigli (dall'esterno e magari conoscendo solo parte della situazione) su argomenti complessi come le VITE di altre persone? Nessuno segue i consigli degli altri. Per ogni consiglio in una direzione, ce ne sara' un altro nella direzione opposta. Quindi chi bisogna ascoltare? Bisogna ascoltare la maggioranza? E se la maggioranza sbagliasse? Esistono una MIRIADE di esempi in cui la maggioranza si e' sbagliata, o comunque non e' stata ascoltata, e se fosse stata ascoltata le cose sarebbero andate PEGGIO. Molte volte vi sara' capitato di dire "ah, se avessi ascoltato i consigli di tizio, ora non sarei in questa situazione"... ma scommetto che vi sara' capitato pure di dire "ah, per fortuna non ho ascoltato i consigli di tizio, altrimenti chissa' in che situazione sarei".
    La gente viene qui semplicemente per sfogarsi e per trovare CONFORTO, per sentirsi meno soli, o per altri motivi come discutere di psicologia o cercare di sentirsi piu' fighi e utili all'umanita' aiutando gli altri. Tutto questo non mi sembra difficile da capire, mi sembra OVVIO e normale che sia cosi'. Non penserete mica che uno venga qui per farsi psicoanalizzare da degli sconosciuti che non sanno un c∙∙∙o, per poi seguire alla lettera i loro consigli (spesso vaghi e scontati) con metodo e disciplina, e poter cosi' risolvere il suo problema come se fosse un problema informatico o un bullone da avvitare.

    Sono nuova, ho appena chiesto un consiglio a questo forum che mi ispira fiducia, e quindi analizzo le mie motivazioni e aspettative.
    Non mi fa piacere scrivere dell'argomento su cui ho chiesto consiglio, nè parlarne, ma mi è necessario rifletterci.
    Ho voluto ricavarmi il tempo per scriverne, perchè altrimenti non avrei avuto neanche quello.
    Certamente non mi attendo un tutorial, e anche se lo ricevessi non è proprio detto che lo seguirei come Vangelo.
    Però trovo che esporre un problema ed avere i riscontri di menti diverse che lo osservano dall'esterno sia una preziosa miniera di spunti e chiavi di lettura.
    Immagino che ognuno tenda naturalmente a risolvere il problema (quale che sia) con le proprie forze e valutazioni, ma avere in dono valutazioni altrui può essere molto importante per arrivare a formarsi una propria valutazione in progress rispetto a quella che aveva quando era a rimuginare da solo sul problema.

    Poi c'è un altro aspetto, su cui riflettevo nei giorni scorsi dopo le confidenze stremate di una cara amica che ha convissuto per oltre due anni con un paranoico.
    Mi rendevo conto che la mia amica descrivesse la sua convivenza con questa persona sofferente senza avere la minima idea del quadro clinico di lui e continuando a macerarsi sul fatidico "ma dove sbaglio io?".
    Questo per dire che sono frequentissimi i casi in cui tentiamo di analizzare o risolvere casi nostri o di persone che amiamo, e che finiamo per complicarli tortuosamente sia per noi stessi che per loro solo perchè non siamo psicologi e per questo non siamo in grado di distinguere chiari segni patologici (anche quando numerosi e concordanti) che, se solo sapessimo inquadrarli, ci permetterebbero di canalizzare le nostre energie lungo percorsi molto più fertili (per tutti) del macerarsi nel dubbio che tutto il peggio sia dovuto al nostro o all'altrui modo di relazionarsi e dando per scontata una condizione di equilibrio psichico che, invece, manca.
    L'aprirsi ad amici che hanno cultura o esperienza più ampia della nostra, sia che avvenga de visu o per forum, può ampliare la nostra visuale anche in questo senso. A me sembra molto importante.

    Salve a tutti,
    espongo il dubbio atroce e confido in gentili suggerimenti.

    Sono mamma, economicamente indipendente e vivo in casa mia.
    Dai tempi della lontana adolescenza il mio rapporto con mia madre si è praticamente capovolto: io, che da bambina la veneravo ed ero la la sua ombra, con l'adolescenza cominciai a guardarla con occhi molto diversi e soprattutto a non condividere nulla del suo modo di essere e di relazionarsi.
    Non ho mai messo in dubbio che mi amasse, nè che fosse una brava donna, e continuavo a continuo ad amarla, ma continuo a non condividere nulla di lei.

    Da oltre dieci anni lei è vedova e vive in casa propria con mio fratello, e non le ho mai fatto mancare le mie visite quasi quotidiane.
    Da altrettanti anni queste mie visite si traducevano in un accumulo di malessere per me, perchè mio fratello vive letteralmente a carico di mia madre (passati i 50 anni), si conduce da totale inabile al lavoro, però vive di ozio e vizi (anche costosi, tipo il gioco d'azzardo) , e infine vive nella eterna competizione con me, che si manifesta nell'intervenire in qualunque mio dialogo con mia madre per affermare, con tanto di forbite argomentazioni, l'esatto contrario di qualunque cosa io dica, pur di conquistare quella che lui spera sia l'ammirazione di mia madre e che lei non di rado mostra di accordargli.

    Questa simbiosi madre-figlio mi preoccupa da sempre, e sono diventati sempre più frequenti i miei tentativi di ragionare con mia madre per capire cosa la inducesse a comportarsi in questo modo, avallando e foraggiando la totale inettitudine di mio fratello senza averlo mai posto nelle condizioni di doversi procurare anche soltanto un pacchetto di sigarette o di cucinarsi un piatto di pasta.

    La risposta materna non c'è, o meglio è ondivaga e va dal "ma pensi che io non sia consapevole di questa croce? Ma se è così è così!" all'opposto "ma non è scemo eh! Ragiona benissimo per quello che gli pare!".

    Stanca di questo doloroso teatrino quasi quotidiano , qualche mese fa ho comunicato quel che meditavo da tempo, e cioè che avrei evitato queste visite (fonte di malessere ormai tangibile per me), che sarei sempre stata a disposizione di mia madre per qualunque necessità, ma che non me la sentivo più di fare la mia comparsata in questa rappresentazione dal copione rigidissimo e immodificabile di cui sono nauseata e preoccupata, ma in cui è proprio mia madre a non consentire alcun margine di variazione-improvvisazione.
    Avevo anche aggiunto e ripetuto a mia madre, in privato, che l'avrei ospitata volentierissimo a casa mia, se lei avesse avuto piacere, e che questo avrebbe potuto tradursi in un minimo svezzamento del fratello cinquantenne, che lasciato solo in casa avrebbe dovuto misurarsi almeno con le proprie necessità quotidiane.
    L'ipotesi non è stata presa nella minima considerazione, ed anzi è stata trattata come una fantasia talmente impraticabile da risultare risibile.

    Ho mantenuto (senza nessuna fatica) il mio progetto, ed egoisticamente ne ho tratto i vantaggi sperati, e cioè di non angustiarmi più per qualche ora al giorno quasi ogni giorno.
    Una chiacchierata al telefono dava comunque la misura della vicinanza ed assiduità, e poteva anche andare.

    Poche sere fa la telefonata killer : mia madre, spiagnucolando (come le è d'abitudine ogni volta che non sa risolvere qualcosa) accusa me di averla confinata in quella situazione di amarezza e solitudine.
    Resta mia madre, le voglio bene, ormai è anziana.
    Mi è stato spontaneo risponderle che è lei ad essersi confinata nella sua situazione, a cui io stessa mi sono autoconfinata fin quando mi è stato possibile, ma che adesso so più di prima che non mi sarebbe possibile per nessuna ragione al mondo di tornare ad autoconfinarmici.

    Ma il senso di colpa di lasciar sola mia madre resta.

    Qualcuno ha idee sul come uscirne? Grazie.