A proposito del gruppo Facebook "Mia Moglie"

  • Affermare poi che un uomo abbia solo due opzioni – prostituzione/pornografia o isolamento sessuale – è una semplificazione estrema. Il problema non è il rifiuto femminile, ma un sistema che insegna agli uomini che il loro valore si misura sul successo sessuale e sulla disponibilità delle donne. L'idea che un uomo "debba" obbligatoriamente avere accesso a corpi femminili è, essa stessa, patriarcale. La soluzione non sta nel concedere tale accesso indiscriminatamente o meno, ma nel decostruire le aspettative tossiche che questa logica impone.

    Ritorno su questo vecchio post perché mi sembra che questo sia un esempio di esagerazione che attribuisce tutto al patriarcato.

    Mi sembra che la necessità per un uomo, soprattutto giovane, di avere rapporti sessuali regolari e tutte le pulsioni che da questa necessità scaturiscono non sia un frutto del patriarcato, ma una questione meramente biologica e "decostruirla" sia veramente difficile.

    Ma allora anche le eiaculazioni notturne che i giovani hanno, non sarebbero il frutto di un organismo fatto per avere rapporti regolari, ma un frutto della mentalità patriarcale? Mi sembra davvero poco realistico.

    Poi ovviamente queste pulsioni non possono giustificare qualsiasi comportamento, ma credo che siano a monte del patriarcato e non una sua conseguenza.

  • Più chiaro di così non si può.

    Troppo facile dire "eh ma noi non siamo i beduini del deserto che mettono la moglie sotto chiave nella tenda" per dire che il patriarcato non esiste.

  • In seguito mi sono pentita: avrei dovuto denunciarlo e farci su un po' di soldi.

    Per come vanno queste cose la denuncia non sarebbe esitata in nulla ahimè. Leggo di ragazze che hanno denunciato alla polizia postale episodi pure più gravi (perché oltre ai commenti viscidi in questo forum si aggiungevano le minacce di morte) e sono state ignorate…

  • Gli animali, anche quando appaiono crudeli ai nostri occhi, non fanno che esprimere la logica del proprio codice naturale.

    Ok, ma a maggior ragione questo dimostra che la morale è una nostra creazione. Chi l'ha creata e modificata nei secoli siamo noi; non è una legge universale: la decidiamo noi attivamente, con tutte le nostre fallibilità cognitive umane del caso.

    Dunque no, gli animali non possiedono una morale universale: non avendo autocoscienza, non dispongono del libero arbitrio, che è alla base della capacità di scegliere e, quindi, di avere una morale. La morale universale consiste proprio nella scelta che, al di là degli istinti, ogni persona può dunque compiere.

    Esatto, e qui interviene lo spirito critico individuale che esprime coscienza nelle scelte, dunque un'individualità e non un'universalità.


    Anche se, grosso modo, poi riusciamo ad accordarci su un "più o meno" di sentito comune condiviso e quel "più o meno" diventa la traccia morale.

    E qui potrebbero entrare in gioco fattori culturali e sociali (o ideologici), insomma il contesto, a deviare più o meno il senso morale.

    È qui il punto: a mio avviso il senso morale non devia, perché è solo una regola, rigida e immodificabile, un riduzionismo condiviso di una realtà complessa.


    Individualmente si può decidere di compiere una valutazione plastica delle situazioni oppure di risultare inflessibili sulla regola.


    Personalmente, dunque, ho distinto un'etica dalla morale, la quale valuta plasticamente, ovvero cerca di calcolare quale sia la soluzione che causi minor dolore a tutti i soggetti in gioco in una dinamica complessa.

    E quindi applichi una legge morale universale... Primum non nocere.

    Snì, è proprio qui l'inghippo, perché questa che tu hai definito legge universale morale va spesso in contrasto con quella che invece è la morale classica del tipo: "bruciate la strega".


    La morale classica si inserisce in un contesto di regola e punizione per chi infrange la regola, dunque non saprei se risulti tra le sue priorità evitare dolore anche a chi esce dal suo perimetro.

    Libero arbitrio, che è alla base della capacità di scegliere.

    Personalmente, in realtà, sposando l'idea di un universo deterministico, non credo realmente nel concetto di libero arbitrio; per questo mi discosto da un'ottica punitiva.


    Anche se comprendo che si possa parlare di un'apparenza di libero arbitrio e che, quindi, sia comunque meglio non arrendersi a un fatalismo passivo.

    Tuttavia, non si può fare del "rubare" uno stile di vita: in quel caso, l'intenzione sarebbe completamente diversa.

    Certo, è ovvio che poi ci si accordi su un'ottica condivisa per evitare, come diceva LeggeraMente, di...

    tornare nelle caverne.

    Sennò sarebbe un Far West o peggio.

    Quando ci si trova davanti a un dubbio morale, l'intenzione diventa un criterio utile per discernere: essa può rivelare la bontà o meno di un atto, anche se, in senso assoluto e generale, esso appare sbagliato.

    Sì, non solo: io guarderei a quale frutto abbia prodotto tale azione, il cosiddetto "frutto dell'albero buono".


    Ovvero: se anche un'azione opera al di fuori dello schema morale, il risultato in termini di guadagno, bene o benessere collettivo, dunque non egoistico, è maggiore rispetto a quello che si sarebbe ottenuto operando inflessibilmente al suo interno?


    Che poi, in definitiva, è quasi lo speculare dell'operare un calcolo che apporti il minor malessere per tutti i soggetti in gioco. Ma stiamo scivolando un po' OT.

  • È proprio qui il punto: la vita reale, dunque non uno schema astratto, è fatta di eccezioni, perché è un sistema complesso con infinite variabili. Per questo non è sempre applicabile uno schema lineare e semplice, tranne in casi standard.


    Soprattutto un sistema di regole così poco chiaramente codificato come la morale comune, che varia spesso gradualmente di epoca in epoca.


    Un sistema di regole può essere una traccia, ma non si può operare un riduzionismo della realtà all'interno di uno schema. Per questo serve sempre una valutazione umana delle situazioni. Le regole non si possono sostituire alla coscienza, anche se la coscienza richiede sforzo.

    Si, è vero che la realtà è complessa e ci sono infinite sfumature, ed è anche per questo che ritengo necessarie delle solide basi da cui partire.


    Già nell'esempio che hai fatto, del padre che ruba per nutrire i figli, ci sono molte variabili in gioco.

    Il padre fa del bene (immediato) ai figli, ma fa del male al derubato e potenzialmente a se stesso (nel caso venga scoperto)

    Se però analizziamo più in dettaglio, vediamo che potenzialmente il padre fa del male anche ai suoi figli, perchè da un cattivo esempio, e perchè se finisce in galera non potrà più occuparsi di loro.

    Poi ovvio, va visto anche il contesto...il padre che ruba un tozzo di pane sotto le bombe a Gaza, sinceramente non me la sentirei di giudicarlo, il padre fannullone, che ruba per compare il cibo da portare a casa, lo metterei sottochiave senza pensarci.

    Accettare non significa rassegnarsi - Mai giocare a scacchi con un piccione

  • Esatto.

  • Penso sia utile distinguere due livelli di contesto: il primo è quello specifico del gruppo, che spiega il perché e il come certi comportamenti si siano sviluppati e diffusi al suo interno; il secondo è quello più ampio rappresentato dalla società nel suo insieme, che si manifesta

    Ok.

    Anche questa stessa discussione ne rappresenta uno spaccato: invece di condannare categoricamente certi comportamenti come espressione di una certa mentalità che obsoleta in realtà non è, si tende a introdurre distinguo, spiegazioni o attenuazioni.

    Distinguo e spiegazioni a mio avviso sono sempre importanti, non per attenuare, ma per fare chiarezza, sviscerare la complessità di un argomento.

    Ridurre questi comportamenti a una questione di impulsi significa come già ripetuto più volte oscurare il ruolo del contesto culturale e sociale che li rende possibili, tollerati o persino giustificati da alcuni.

    Non c'è alcuna riduzione, semplicemente non esiste solo il contesto culturale e sociale; esiste anche quello biologico, e ne esistono altri. La realtà è creata da una compartecipazione di fattori. Riduzionismo è, semmai, chiudere un cerchio in un solo spicchio.

  • (di nuovo anche in questa discussione)

    [...]

    rendendo certi comportamenti indirettamente accettabili o comunque non così scandalosi come dovrebbero essere considerati.

    Se è perché non mi senti scandalizzata nei "toni", è semplicemente perché è un po' difficile scandalizzarmi. Dagli esseri umani mi aspetto di tutto nell'ambito delle relazioni umane; per questo cerco di mantenere un po' di distacco.

  • Snì, è proprio qui l'inghippo, perché questa che tu hai definito legge universale morale va spesso in contrasto con quella che invece è la morale classica del tipo: "bruciate la strega".


    La morale classica si inserisce in un contesto di regola e punizione per chi infrange la regola, dunque non saprei se risulti tra le sue priorità evitare dolore anche a chi esce dal suo perimetro.

    Credevo di averlo spiegato prima, ma evidentemente l'ho espresso male. Le "poche" leggi morali universali non necessariamente combaciano con la morale sociale, sono al di sopra, nei casi più fortunati a monte di essa. Faccio un esempio semplice: in diverse società politeiste era previsto il sacrificio umano. Beh era accettato dalla morale sociale, ma era in contrasto con la legge Universale del primum non nocere.

    I ricordi sono sempre bagnati di lacrime

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