Un esperimento, una lettera e la solita reazione che fa male

  • È vero… ho studiato tanto. Mi sono sacrificato, ho rinunciato a serate, a tempo con le persone che amo, a leggerezza. Quel concorso era il mio obiettivo. Per anni ci ho creduto, con tutte le mie forze. E alla fine ce l’ho fatta. Ma adesso che è il momento di decidere, mi sento come se stessi guardando quel traguardo da lontano, e non fosse più lo stesso.


    Davanti ho tre strade. Nessuna facile.


    – Potrei accettare il posto e tornare lì, dove ho vissuto un pezzo importante della mia vita. Un posto pieno di legami, ma anche di ferite. Di ricordi che mi appartengono, ma che mi fanno male. Tornarci mi spaventa, perché so che ritroverei anche parti di me che sto ancora cercando di guarire.


    – Potrei accettare il posto, ma cambiare città. Lontano da quei ricordi, lontano da tutto. Sarebbe un nuovo inizio, pulito. Ma anche solitario. Dovrei costruirmi tutto da capo, senza il calore di volti conosciuti, senza una strada familiare.


    – Oppure potrei rifiutare. Restare nella mia città, nel mio equilibrio incerto. Lavorare anno dopo anno, senza sicurezze, ma con la sensazione che qui ci sia qualcosa che mi somiglia, che mi fa sentire a casa.


    Fino a poco tempo fa, ero convinto. Pensavo che fosse giusto accettare. Che non potevo dire di no a tutto quello per cui ho lottato. Ma poi… ho iniziato ad ascoltarmi. E ho sentito qualcosa che non riuscivo più a ignorare: la tristezza. La sensazione che stavo scegliendo più per paura del futuro, che per volontà vera. E questo mi ha scosso.


    Mi sono chiesto: ma perché devo fare una scelta che mi pesa sul cuore, solo perché ho paura di quello che verrà?


    E da lì è cambiato tutto. Sto cercando di guardarmi con più gentilezza, di accogliere la possibilità che il coraggio non sia sempre scegliere la strada più “giusta”, ma quella che non mi tradisce.


    Ho ancora qualche giorno. E so che, qualunque cosa decida, una parte di me resterà in bilico. Ma voglio che la mia scelta nasca da me, non da ciò che temo.

  • Quel concorso era il mio obiettivo. Per anni ci ho creduto, con tutte le mie forze. E alla fine ce l’ho fatta.

    Secondo me dovresti valutare di partire: non perché devi, ma perché puoi! Ti sei guadagnato questa possibilità! Non far sì che le tue paure ti facciano scivolare dalle mani ciò che hai duramente conquistato. Te lo dice una persona che si è lasciata sfuggire tante opportunità per paura, che in varie situazioni ha fatto il 90% per poi mollare. Tu hai già fatto il 99%!


    Secondo me dovresti anche chiederti questo: certo, molto probabilmente passeresti di nuovo lo stesso esame, ma come ti sentiresti, se per qualunque motivo accadesse il caso contrario, a non aver sfruttato l’opportunità che avevi?


    E tutto il tempo che comunque dovresti dedicare a raggiungere nuovamente un obiettivo che già hai raggiunto, non potresti sfruttarlo in modo migliore per te?

  • Riguardo alla prima parte:


    Non ho ben capito il paragone con il """gioco""" in borsa (tra mille virgolette perché in borsa si investe se si è capaci di farlo e non si gioca... perché se si gioca, si perde tutto...).

    Non è che dobbiamo andare al dopoguerra o al boom economico degli anni '60 per vedere benessere.

    Il mondo del lavoro si è andato progressivamente impoverendo e oggi la stabilità con un lavoro fisso (e ben remunerato) è fortuna di pochi.

    Dieci-quindici anni fa le cose erano diametralmente opposte: il lavoro precario era molto raro, le famiglie potevano acquistare più o meno agevolmente una prima casa (e molti potevano spingersi ad avere la seconda casa al mare o in montagna). Insomma, le condizioni erano decisamente migliori.


    Ma non solo in Italia... nel mondo. Ora le cose sono tremendamente peggiorate, c'è un'inflazione che erode in continuazione i patrimoni rendendo tutti gli aspetti della vita (tra cui il lavoro) molto complessi.


    Questo è il potere d'acquisto della valuta mondiale di riferimento, il $:

    • 1950: $1

    • 1975: $0.55

    • 2000: $0.14

    • 2025: $0.07


    In uno scenario del genere un genitore che ha visto le cose peggiorare negli anni è normale sia preoccupato che suo figlio (che non ha 20 anni) cambi da un lavoro fisso a uno precario. Dico che è normale, non che sia giusto. Sottolineo questa parte.


    Riguardo il secondo punto non capisco la domanda. "E lui?" Cosa significa nel contesto ipotetico descritto? (L'opener decide di abbandonare il suo lavoro fisso e successivamente rifare e passare il nuovo esame nella regione di appartenenza dei genitori. È ovvio che lui sarà contento, no? Perché altrimenti per quale motivo dovrebbe fare tutto ciò - che è stato lui stesso a descrivere - se non per sé stesso?)

  • Riguardo il secondo punto non capisco la domanda. "E' lui?" Cosa significa nel contesto ipotetico descritto? (L'opener decide di abbandonare il suo lavoro fisso e successivamente rifare e passare il nuovo esame nella regione di appartenenza dei genitori. E' ovvio che lui sarà contento, no? Perché altrimenti per quale motivo dovrebbe fare tutto ció - che e' stato lui stesso a descrivere - se non per se stesso

    Forse non mi sono spiegato bene nei post precedenti.


    Lavoravo lontano da casa, sempre con contratti precari. Quando uscì il concorso, decisi di partecipare in quella regione e lo superai, ma non fui assunto subito perché non furono autorizzati tutti i posti disponibili. Nel frattempo ho continuato a lavorare come precario.


    Dopo la fine della relazione con la mia ex, mi sono detto: "Sto lavorando da precario lontano da casa, tanto vale tornare nella mia regione". E così ho fatto.


    Ora, però, quei posti del concorso sono stati finalmente autorizzati. Per ottenere il cosiddetto "posto fisso", dovrei tornare lì.

    L’alternativa è restare nella mia città e continuare con il precariato.

  • Dopo 3 anni ti sari già sistemato e non vorrai più tornare.


    Comunque devi fare la scelta che ti senti, quella che ti senti più positiva, anche se va contro la logica.

    Razionalmente so che non dovrei rinunciare a un’opportunità così… Ma poi mi fermo a pensare a cosa vuol dire davvero ricominciare da capo, di nuovo, e mi sento crollare dentro. Ho paura di non farcela, di non avere più la forza, né l’energia, per rimettere insieme tutto un’altra volta.

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