Prima uscita con un uomo

  • Ma quasi quasi la apro io la discussione, così Giuseppe e chi ti mette puntualmente il like vediamo che avete da dire. Se c'è una cosa che non sopporto è: provocare, nascondere la mano che ha tirato il sasso e uscirsene con il vittimismo.


    E in tutto ciò ricordiamoci che la discussione è di Evelyn.


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    Sempre gli altri il problema... si si.

  • Se da bambino, ogni volta che piangevi o stavi male, qualcuno arrivava, ti accoglieva e ti consolava, hai interiorizzato un modello sicuro: vuol dire che hai imparato che chiedere aiuto funziona e che qualcuno ci sarà per te.

    Qui qualcuno potrebbe dire l'esatto contrario, ossia che se il bambino capisce che ogni volta che piange arriva qualcuno a consolarlo, è più facile che diventi debole, che sviluppi un attaccamento patologico, che impari a fare sempre affidamento su qualcun altro e a non affrontare il mondo in proprio, e in definitiva a chiudersi verso il mondo.

    Ma se invece le tue richieste sono state ignorate, svalutate, accolte in modo incostante, tipo: “lascialo piangere che si sfoga”, “non prenderlo in braccio o lo vizi”, oppure ti sei sentito dire “piangi? Allora ti do il resto” dopo una caduta, allora potresti aver imparato che chiedere aiuto potrebbe essere inutile o addirittura pericoloso.

    E quindi ti sei adattato. Hai imparato a startene zitto, a cavartela da solo, a non far vedere che stai male, anche quando ne avevi bisogno. Anche quando sarebbe stato normale cercare conforto.

    Anche qui qualcuno potrebbe obiettare che un bambino che non viene consolato subito, ma viene fatto piangere, può sviluppare capacità di cavarsela da solo, in senso positivo. Questo può aiutarlo a diventare adulto e a diventare più forte, reagire alle difficoltà, imparare che non c'è sempore qualcun altro a risolvere i suoi guai e anzi, che aprirsi all'esterno può aiutare a trovare soluzioni. E quindi aiutarlo a volgersi verso il mondo.


    Secondo me dipende anche dal modo in cui reagisce il soggetto: a comportamenti uguali dei genitori possono apparire reazioni diverse del bimbo, sulla base delle predisposizioni innate, ossia anche del temperamento. I due fattori, quello ambientale e quello innato, si fondono e diventa difficile capire fino a dove finisce uno e comincia l'altro.

  • Qui qualcuno potrebbe dire l'esatto contrario, ossia che se il bambino capisce che ogni volta che piange arriva qualcuno a consolarti, è più facile che diventi viziato e debole

    Viziato dai 0 - 3 anni?

    Un bambino di quell'età che al pianto non viene accudito.. in natura muore. C'è una fase in cui manca l'autoregolazione emotiva. Per questo è cruciale che il bambino sia accolto, accudito, rassicurato se piange.


    Comunque, il problema se lo pose Harlow in un esperimento con le scimmie. E pure se erano scimmie... preferivano il calore umano. Questo per dire che come esseri viventi, entro una certa età, abbiamo bisogno imprescindibile di relazione di protezione con la madre.

  • Viziato dai 0 - 3 anni?

    Un bambino di quell'età che al pianto non viene accudito.. in natura muore. C'è una fase in cui manca l'autoregolazione emotiva. Per questo è cruciale che il bambino sia accolto, accudito, rassicurato se piange.


    Comunque, il problema se lo pose Harlow in un esperimento con le scimmie. E pure se erano scimmie... preferivano il calore umano. Questo per dire che come esseri viventi, entro una certa età, abbiamo bisogno imprescindibile di relazione di protezione con la madre.

    Dipende per che cosa piange. Ci sono bambini di pochi anni che sono abituati a piangere per ogni cosa. Non sto mica dicendo che devi fargli mancare il calore necessario per vivere...a 2 anni un bambino già cammina ed esplora il mondo, se a ogni difficoltà piange, e il genitore lo consola subito, non so se può essere una buona educazione...E comunque la psicologia si pone anche questo problema, in aggiunta a quello della naturale esigenza di protezione.

  • Dipende per che cosa piange. Ci sono bambini di pochi anni che sono abituati a piangere per ogni cosa. Non sto mica dicendo che devi fargli mancare il calore necessario per vivere...a 2 anni un bambino già cammina ed esplora il mondo, se a ogni difficoltà piange, e il genitore lo consola subito, non so se può essere una buona educazione...E comunque la psicologia si pone anche questo problema, in aggiunta a quello della naturale esigenza di protezione.

    Di base, l'attaccamento sicuro verso la madre, che si instaura da molto piccoli, non deve mancare. Il bambino deve quindi sentire che la mamma c'è sempre e che il suo amore non dipende dai capricci o se si comporta bene. L'amore deve essere una certezza per il bambino.


    Assicurato questo si può (dopo), educare il bambino e se fa un capriccio non acconsentirglielo. Ma questo non andrà a toccare minimante il suo attaccamento sicuro. Se la mamma non compra il gelato perché ha già mangiato la merendina, in fondo, il bambino sente che la madre lo ama lo stesso anche se non lo accontenta (fa parte dell'attaccamento sicuro). Si fa un piantino e finito il "dramma" finisce tutto, non si ricorderà nemmeno della cosa dopo un'ora.


    Se invece sente che la madre non lo ama, non lo accetta veramente ... lì tutto cambia e l'educazione è solo una superficiale imbiancata.

  • Qui qualcuno potrebbe dire l'esatto contrario, ossia che se il bambino capisce che ogni volta che piange arriva qualcuno a consolarlo, è più facile che diventi debole, che sviluppi un attaccamento patologico, che impari a fare sempre affidamento su qualcun altro e a non affrontare il mondo in proprio, e in definitiva a chiudersi verso il mondo.

    Anche qui qualcuno potrebbe obiettare che un bambino che non viene consolato subito, ma viene fatto piangere, può sviluppare capacità di cavarsela da solo, in senso positivo. Questo può aiutarlo a diventare adulto e a diventare più forte, reagire alle difficoltà, imparare che non c'è sempore qualcun altro a risolvere i suoi guai e anzi, che aprirsi all'esterno può aiutare a trovare soluzioni. E quindi aiutarlo a volgersi verso il mondo.


    Secondo me dipende anche dal modo in cui reagisce il soggetto: a comportamenti uguali dei genitori possono apparire reazioni diverse del bimbo, sulla base delle predisposizioni innate, ossia anche del temperamento. I due fattori, quello ambientale e quello innato, si fondono e diventa difficile capire fino a dove finisce uno e comincia l'altro.

    Va anche detto con chiarezza che l’idea che “consolare un bambino lo renda debole” non ha basi scientifiche solide: io ti ho parlato di studi specifici, non del "secondo me".

    Tutte le principali teorie sull’attaccamento – da Bowlby ad Ainsworth fino agli sviluppi più recenti – mostrano che è proprio la risposta sensibile e costante da parte del caregiver che aiuta il bambino a sviluppare un attaccamento sicuro. E l’attaccamento sicuro, a sua volta, è ciò che permette una vera autonomia più avanti, non la dipendenza.

    L’idea che “lasciar piangere rafforzi” è una semplificazione, spesso figlia di approcci educativi del passato, e non è supportata dai dati. È normale che a comportamenti uguali possano corrispondere reazioni diverse nei bambini, certo, ma questo non toglie valore al fatto che un ambiente emotivamente responsivo è il contesto migliore per qualunque temperamento.

    In psicologia, come in medicina, non ci si basa solo sul “secondo me” o su intuizioni personali: altrimenti saremmo rimasti a "disinfettare" le ferite con l'urina di vacca oppure a cauterizzarle col ferro di cavallo rovente :S

    Spiace, ma è assodato che le decisioni educative hanno effetti reali e duraturi, e vanno prese alla luce di ciò che le ricerche ci mostrano.

  • Aggiungo che molti bambini viziati sono bambini non amati. Messi a tacere con la playstation o con qualsiasi altro gioco. Spesse volte i genitori che riempiono i figli di cose, o li lasciano liberi di fare tutto ciò che vogliono, sono genitori che non riescono ad instaurare un rapporto con i loro figli.


    Avere un rapporto con i figli vuol dire mostrarsi, abbassare le maschere, farsi conoscere anche nei lati umani. Perché i figli capiscono e sanno vedere oltre le maschere dei genitori. Il problema è che la maschera rende il genitore per loro irraggiungibile.


    Ma questo problema a mostrarsi per come si è, ad aprirsi, come vedete, non c'è solo con i figli... c'è nelle relazioni umane in generale.

  • Evelyn, io credo che tu abbia sviluppato un senso di prevalenza del pensiero razionale sulle emozioni, sia per replica del contesto famigliare ma soprattutto perchè a un certo punto le emozioni (probabilmente in prevalenza negative) diventavano troppo pervasive di ogni aspetto. Per autoprotezione sono state represse e sostituite con reazioni razionali. Più controllabili e gestibili dalla parte cosciente.

    Il problema è che nei rapporti sono necessarie le emozioni perchè gli altri inconsciamente si fidino di noi. Senza, scatta un qualche allarme invisibile che suggerisce loro di non avvicinarsi troppo.


    [...] Il pensare solo allo studio o al lavoro o allo sport serve poi da fonte di gratificazione controllabile, quella gratificazione mancante data dalla parte sociale del rapporto con gli altri.

    Quando ci si rende conto però che questo non basta più, non è più quella che ci da la forza di andare avanti, allora torna a emergere la necessità di riprendere il rapporto con gli altri. Ma a quel punto ci troviamo senza strumenti e conoscenze per poterlo fare, analfabeti delle nostre emozioni.

    E' proprio questo che provo. La tua lucidissima analisi mi calza a pennello.

    Grazie.

  • Non si tratta di “carattere”. Non è che “sei fatto così”. Sono strategie che hai costruito per sopravvivere emotivamente.

    E anche se è nata come protezione, rischia di diventare una gabbia.

    Quindi noi sappiamo già per certo che una persona che non riesce a trovare un partner, che ha un fratello che è nella stessa situazione, che ha genitori che evidentemente si sono incontrati ma che hanno chiare difficoltà di relazionarsi coi loro coetanei*, deve i suoi problemi esclusivamente a comportamenti genitoriali? Mi pare che Giuseppex abbia tirato in ballo anche tratti innati ed ereditari ma tu l'hai escluso da subito...nemmeno l'hai ammesso come possibilità. E questo a fronte di difficoltà che si trasmettono di generazione?


    * è una descrizione che si attaglia bene anche alla mia famiglia, non mi riferisco necessariamente all'opener.

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