Solitudine da città nuova

  • Da un mesetto ho trovato lavoro in una nuova città e a parte l'euforia iniziale dell'essere indipendente e non più disoccupata, mi ritrovo a soffrire un po' per questo nemico che è la solitudine (ho sofferto di solitudine negli anni più belli della vita e ne sono uscita a fatica).
    Qualche amico qui ce l'ho, ho un'amica che però lavora molto ed è fidanzata, e un amico che però è molto più grande di me, quindi, per quanto di piacevole compagnia, non abbiamo molto da condividere...
    Mi trovo in quella terribile combriccola dei trentenni single, con colleghi grandissimi e con famiglia a carico e coinquilini molto giovani.
    Un paio di volte ho chiesto ad una mia collega se le andava di andare a mangiare una pizza o un cinema ma mi ha sempre tirato pacco! E la cosa che più mi sorprende è che lei è single e fuori sede come me e parlando, ho notato che non conosce minimamente la città (quartieri, bar etc), non ha amici e si dedica solo ed esclusivamente al lavoro!
    Da una parte la invidio perché penso che probabilmente adora la sua vita solitaria, fatta di lavoro e cura della casa, dall'altra mi dico che non vorrei sprecare la mia, mi piacerebbe stringere nuove amicizie, fare gite e viaggetti nei dintorni e immergermi nella cultura e nei paesaggi che mi circonda
    Cosa ne pensate?

  • Le città, ahimé, a volte sono un evidente esempio di quanto la densità di popolazione non coincida con le capacità relazionali. Per quanto gli ambiti di incontro e confronto siano molti (bar, ufficio, cinema, negozi, etc...), di fatto ci si comporta sempre come se tutti fossimo autonomi e indipendenti. Quasi sapessimo tutto del nostro "io", chi è, cosa gli serve e come sostentarlo senza doverci sacrificare più di tanto agli altri.
    Purtroppo questa è tutta una drammatica illusione, confermata dai filosofi ateniesi fino ai fisici quantistici. Da un lato, noi non sappiamo un accidenti del nostro "io", dall'altro, siamo tutti inevitabilmente relazionati. Il fatto di comtinuare a comportarci al contrario di queste poche certezze che abbiamo, ci rende appunto egoici, bellici, alienati, anestetizzati. E anche parecchio ignoramti, non bastasse. Questo accade da secoli.

    Colui che ti dice che ama la solitudine (eremiti a parte) non si rende conto neanche lui dell'immensa bugia che racconta a se stesso.

    Mi spiace che anche tu senta questa sofferenza e spero che non ti faccia perdere quel poco di apertura e gentilezza verso te stessa e verso gli altri, quelle risorse che bisognerebbe prodigarsi sempre a curare, anche quanto non se ne vede proprio il motivo. Ma se c'è una via di uscita a tutto ciò, è anche questa.

  • Io ho cambiato alcune volte città, per motivi di studio e lavoro. Quando arrivai qui nel 2007 non conoscevo nessuno e in effetti all'inizio fu un po' difficile. I miei colleghi si conoscevano già fra di loro (io ero la nuova arrivata), ma per lo più non si frequentavano. Cominciai ad organizzare uscite di gruppo o con singole persone (cinema, pizze ecc.), feci corsi vari, volontariato ecc. Devo dire che con un "lavoro intensivo" per un po' di anni ho avuto un discreto giro di "amicizie" che fra l'altro mi hanno permesso di conoscere la città e quello che offriva. Comunque, soprattutto all'inizio non "scartavo" nessun tipo di rapporto potenziale, dalla vicina alla negoziante erano tutte occasioni per uscire dalla solitudine. Certo allora ero più giovane, coraggiosa, con più spirito di iniziativa e meno problematica e poi, come dicevi tu, c'era l'euforia della nuova città e del nuovo lavoro. Per essere onesta, sono stati tutti rapporti che con la fine di quel lavoro e alle prime difficoltà si sono dissolti come neve al sole e adesso mi ritrovo di nuovo sola, ma almeno per un po' ho anche vissuto dei bei momenti. Pensavo proprio stamattina che mi piacerebbe avere la possibilità di ricominciare da zero, in una città tutta nuova e da esplorare, per aprire un nuovo capitolo della mia vita. So che non sarà facile, ma tu cerca di vederla così, come una nuova avventura. In bocca al lupo!

  • Io ho cambiato città due volte, una per iniziare l'università a 19 anni, e un'altra per lavoro, a 28 anni.

    Il cambio di città per iniziare l'università non fa testo perché lì sei un ragazzino e sei circondato di ragazzini come te, a quell'età socializzare viene da sé.

    Il cambio di città a 28 anni invece, quando sono arrivato a Bologna, qualche grattacapo me lo ha dato... I primi mesi anch'io avvertivo tantissimo la solitudine, avevo un paio di amici del mio paese di origine, uno più grande di me e già convivente, uno più piccolo di me e ancora studentello, ma non erano agganci soddisfacenti; mi ha salvato un po' il fatto di avere un coinquilino mio coetaneo e con gusti musicali simili ai miei che già viveva a Bologna da anni e già aveva una cricca di amici più o meno coetanei, abbiamo iniziato a uscire insieme e poi da lì ho conosciuto un sacco di gente e mi sono fatto il mio giro che tuttora conservo. Adesso non so tu quanti anni abbia, ma i colleghi boh, non so, io non li ho mai trovati un grosso aggancio nonostante quando fossi arrivato ne avessi almeno 5/6 più o meno coetanei e che uscivano... Magari potresti "sfruttare" qualche collega come aggancio per conoscere un po' di posti, ma io punterei più su qualche amico/a che già conoscevi da prima di trasferirti... Altrimenti se hai qualche interesse particolare, tipo non so, faccio un esempio, se ti piace un certo tipo di musica e c'è un concerto (va beh, quando finirà il covid...!) se te la senti puoi provare ad andarci da sola, io l'ho fatto diverse volte e di gente ne ho conosciuta. :)

  • Le città, ahimé, a volte sono un evidente esempio di quanto la densità di popolazione non coincida con le capacità relazionali. Per quanto gli ambiti di incontro e confronto siano molti (bar, ufficio, cinema, negozi, etc...), di fatto ci si comporta sempre come se tutti fossimo autonomi e indipendenti. Quasi sapessimo tutto del nostro "io", chi è, cosa gli serve e come sostentarlo senza doverci sacrificare più di tanto agli altri.
    Purtroppo questa è tutta una drammatica illusione, confermata dai filosofi ateniesi fino ai fisici quantistici. Da un lato, noi non sappiamo un accidenti del nostro "io", dall'altro, siamo tutti inevitabilmente relazionati. Il fatto di comtinuare a comportarci al contrario di queste poche certezze che abbiamo, ci rende appunto egoici, bellici, alienati, anestetizzati. E anche parecchio ignoramti, non bastasse. Questo accade da secoli.

    Colui che ti dice che ama la solitudine (eremiti a parte) non si rende conto neanche lui dell'immensa bugia che racconta a se stesso.

    Mi spiace che anche tu senta questa sofferenza e spero che non ti faccia perdere quel poco di apertura e gentilezza verso te stessa e verso gli altri, quelle risorse che bisognerebbe prodigarsi sempre a curare, anche quanto non se ne vede proprio il motivo. Ma se c'è una via di uscita a tutto ciò, è anche questa.

    Le città, ahimé, a volte sono un evidente esempio di quanto la densità di popolazione non coincida con le capacità relazionali. Per quanto gli ambiti di incontro e confronto siano molti (bar, ufficio, cinema, negozi, etc...), di fatto ci si comporta sempre come se tutti fossimo autonomi e indipendenti. Quasi sapessimo tutto del nostro "io", chi è, cosa gli serve e come sostentarlo senza doverci sacrificare più di tanto agli altri.
    Purtroppo questa è tutta una drammatica illusione, confermata dai filosofi ateniesi fino ai fisici quantistici. Da un lato, noi non sappiamo un accidenti del nostro "io", dall'altro, siamo tutti inevitabilmente relazionati. Il fatto di continuare a comportarci al contrario di queste poche certezze che abbiamo, ci rende appunto egoici, bellici, alienati, anestetizzati. E anche parecchio ignoramti, non bastasse. Questo accade da secoli.

    Colui che ti dice che ama la solitudine (eremiti a parte) non si rende conto neanche lui dell'immensa bugia che racconta a se stesso.

    Mi spiace che anche tu senta questa sofferenza e spero che non ti faccia perdere quel poco di apertura e gentilezza verso te stessa e verso gli altri, quelle risorse che bisognerebbe prodigarsi sempre a curare, anche quanto non se ne vede proprio il motivo. Ma se c'è una via di uscita a tutto ciò, è anche questa.

    La tua analisi è interessante. tuttavia ritengo che proprio perchè viviamo vite alienate, tendiamo alla disperata ricerca di qualcuno con cui condividere qualcosa.
    Quando ero adolescente, ero talmente timida e insicura che declinavo gli inviti a feste e serate varie ma a malincuore (e poi appunto, ero un'adolescente), dopo un periodo di totale mancanza di amicizie, ho avuto la fortuna di incontrare i miei attuali amici e spesso mi sono trovata nella posizione di andare incontro a persone sole (perchè sapevo cosa volesse dire) e ho trovato sempre responsività e gratitudine.
    in tutto ciò, io stessa mi reputo una persona "solitaria" nel senso che amo fare tante cose da sola ma sempre con la consapevolezza di avere delle persone al mio fianco.
    Esiste davvero chi si racconta di amare la solitudine di città? se si, aiuto....

  • Grazie a tutti per le risposte!
    Diciamo che in linea di massima sono serena e cerco di vedere il bicchiere mezzo pieno, ho la fortuna di avere qualcuno con cui bere un caffè, persone che mi hanno aiutata nella ricerca della stanza e ai quali posso rivolgermi per qualunque problema. Un mio collega, giorni fa, mi ha detto che sono una ragazza molto coraggiosa viste le mie scelte di vita e che non tutti sarebbero in grado di farlo (e nei momenti di sconforto mi ripeto questa cosa come un mantra!). D'altra parte però mi rattrista vedere tanta chiusura mentale, soprattutto da parte di persone della mia età, mentre ci sono persone di 50 anni che sono molto più aperte e coinvolgenti...
    Purtroppo lo spirito delle città non è sempre lo stesso, a me sembra che la vivacità di realtà come Bologna sia impossibile da trovare in altre parti!

  • Potrebbe dirsi la stessa cosa di Napoli o Roma etc...
    Nessuna città è immune dall'alienazione. Ovunque c'è ignoranza e chiusura mentale. E a tutte le età. Dovunque, prima o poi, tocca incominciare a rimboccarsi le maniche per curare le relazioni e gli stimoli culturali in maniera autentica, relazionale, però. Non quella truffa che chiamiamo "social".
    Ad ogni modo adesso tocca partire dalla tua nuova città e, in primis, da te stessa. Hai solo te stessa su cui puoi lavorare. Ma quel lavoro si ripercuoterà su ciò che ti circonda.
    Ma tu sei coraggiosa e serena. Ce la farai.

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