Ciao Zeta Reticuli
il tuo messaggio contiene tutto: stanchezza, delusione, impotenza, e quel sottile filo di dignità che ancora tiene insieme le cose.
Contiene anche qualcosa di prezioso, soprattutto per chi lavora in ambito sanitario o, più in generale, in qualsiasi sistema umano complesso: una testimonianza lucida e vera.
E nella verità, anche scomoda, si nascondono spesso le domande giuste, quelle che ci obbligano a guardare da vicino ciò che, per quieto vivere, preferiremmo ignorare.
Il tuo poggiolo con la salvia e i peperoncini non è solo un angolo di casa.
È un confine. Tra il crollare e il restare.
E ogni volta che scegli di rientrare, anche solo per tua madre o per tuo figlio, stai compiendo, anche se non sembra, un atto di resistenza.
Lavoro anch’io in ambito sanitario, anche se non in un reparto di degenza, ma in un contesto più tecnico e sperimentale.
E forse proprio per questo, osservando le dinamiche da un angolo meno immerso, mi è capitato spesso di notare certe rigidità, certe spaccature, soprattutto nel gruppo a cui fai riferimento.
Sono abituata a queste dinamiche: da qualche anno sono responsabile di dipartimento, e ti assicuro che non è sempre semplice gestire e, soprattutto, accontentare tutti.
Ma una cosa mi è chiara da sempre: non do credito ai pettegolezzi né alle lamentele infondate.
Cerco soluzioni, non colpevoli.
Quando qualcosa non torna, il mio primo passo è quasi sempre il confronto diretto: una chiacchierata, uno scambio.
Evito le punizioni scritte, che lasciano strascichi e conseguenze, a meno che non si tratti di errori gravi e reiterati, quelli che davvero non si possono più ignorare.
Conosco bene il tipo di clima che descrivi: dove dovrebbe esserci alleanza, c’è spesso conflitto; dove dovrebbe emergere il gruppo, si affermano piccoli poteri personali.
In ogni contesto simile si incontrano sempre le stesse figure: il precisino, lo scansafatiche, il pettegolo, il lavoratore silenzioso, il manipolatore.
E se calpesti, anche solo involontariamente, il terreno di qualcuno che si è abituato a fare il bello e il cattivo tempo... è quasi inevitabile diventarne il bersaglio.
Non ho elementi per giudicare l’episodio nel dettaglio, ma so bene che, quando si alza la testa e si fa una segnalazione, per quanto giusta, c’è sempre un prezzo da mettere in conto.
E anche se gli errori che ti sono stati attribuiti sembrano più che altro piccole leggerezze (cose che possono accadere a chi lavora da anni, spesso in automatico e sotto pressione), alcune dinamiche che hai raccontato, come gli scatti d’impazienza o certe imprecazioni davanti ai pazienti, ti pongono forse una domanda importante: "Sto ancora agendo in linea con ciò che credo giusto, o ho lasciato che la fatica prendesse troppo spazio?".
Non lo dico per giudicare, ma per rispetto.
Perché chi ha il coraggio di raccontarsi così, apertamente, merita anche che gli venga restituita la verità. Senza filtri, ma con umanità.
E umanità ce n’è molta, nel tuo racconto.
In quel rientrare in cucina ogni volta.
Nel pensiero rivolto a tuo figlio.
Nel non provare rancore, nonostante tutto.
Se ti va un ulteriore confronto, dove condividere altri aspetti, sfumature, domande, io sono qui.