Equilibrio di Nash in psicologia


  • Stavo partecipando alla discussione con Saritta ed altri a questa discussione. Mi ha colpito molto l'affermazione di Saritta, a proposito di monogamia, che cito

    Ma infatti fondamentalmente è una scelta. Un patto.

    Un patto che se rispettato pone un vincolo e delle rinunce, come qualsiasi scelta del resto. Ognuno dovrebbe conoscere i propri limiti, i propri valori e debolezze. E soprattutto il patto deve essere chiaro e condiviso...

    Non è un caso che abbia messo uno spezzone del film A beautiful mind ad inizio thread, anzi: ci trovo un collegamento.

    Ve lo pongo in domanda: se è vero che in economia - citando Nash

    Il miglior equilibrio si ottiene quando qualcuno fa ciò che è meglio per sé e per il gruppo

    Questo vale anche nei rapporti di qualunque tipo e - più in generale - nella sociologia e nella psicologia oppure no?

    Ve lo chiedo perché - a volte, secondo me - ciò che è meglio per sè è quanto di più lontano possibile che ci possa essere dal ciò che è meglio per il gruppo. In questi casi, possiamo trovare un equilibrio? Se no, è meglio fare ciò che è meglio per sè oppure ciò che è meglio per il gruppo?

    Spero che il messaggio sia chiaro: è un tema complesso, difficile esprimersi bene se non si è molto addentro la materia.

  • La Teoria dei Giochi! Era un argomento che mi aveva affascinato molto in università.

    Il guadagno, il payoff, di ciascun giocatore dipende non solo dalla propria strategia di gioco, ma anche dalle mosse degli avversari.

    Stupendo film.


    La tua domanda è complessa e sicuramente merita più punti di vista...

    Ricordo che al corso di sociologia una volta si parlava di un concetto simile... Perdona se non userò termini tecnici e sarò superficiale, è passato un po' di tempo ma la materia mi aveva affascinato... Magari se ripesco il libro riporto l'argomento in maniera più chiara... In sostanza si parlava proprio di questo, dei driver che guidano le azioni umane... Tra individualismo e spinta collettiva.

    Io ricordo che ero giunta alla conclusione per cui in qualche misura esiste sempre una spinta egoistica, una forma di tornaconto individuale, fosse anche solo in termini di innocuo appagamento, inoltre questa spinta egoistica può talvolta portare del bene indirettamente alla collettività.

    Un esempio banale, faccio una donazione anonima per un ente, o anche solo per una persona bisognosa: non rivelo la mia identità a un pubblico, e nemmeno alla stessa persona aiutata, quindi non cerco gratifica sociale o ringraziamenti pubblici; non voglio mostrarmi buona agli occhi degli altri; voglio davvero solo aiutare e fare del bene in nome di una vera solidarietà. Tuttavia secondo me ciò che cerco davvero è quella sensazione di appagamento, di coscienza acquietata, di riscatto e senso d'importanza, e va bene così, perché di fatto sto facendo del bene. Cioè: la gioia della persona ricevente sarà la mia gioia, riesco a percepirla e ne sono appagata.


    Ci sono poi quelle norme condivise che a tutti noi conviene seguire per il nostro bene in primis, e se tutti fanno lo stesso, tutelando la propria incolumità, in linea teorica ne sarà beneficiaria la collettività: vedi il codice della strada.


    In sostanza comunque, consapevolmente o meno, penso che non si possa prescindere dalle azioni altrui e dal loro impatto, proprio perché siamo inseriti in un contesto, in una collettività, quindi ci influenziamo a vicenda e le aspettative stesse sulle azioni altrui influenzeranno in parte le mie scelte... Se tutti scegliessero avendo un occhio di riguardo per gli altri o quantomeno un'apertura mentale sul contesto, sarebbe un mondo migliore e più ragionevole :)

  • Ve lo pongo in domanda: se è vero che in economia - citando Nash...

    Premetto che non ho mai studiato una cippa di queste cose e non so chi sia Nash, chiedo dunque scusa se sparerò castronerie. Provo a "vaneggiarmela" sulle domande poste per puro divertimento.

    Ve lo chiedo perché - a volte, secondo me - ciò che è meglio per sé è quanto di più lontano possibile che ci possa essere dal ciò che è meglio per il gruppo. In questi casi, possiamo trovare un equilibrio? Se no, è meglio fare ciò che è meglio per sé oppure ciò che è meglio per il gruppo?

    Forse il nodo centrale qui sta proprio nella distinzione che operiamo tra il concetto di sé e il concetto di gruppo.


    Il concetto di sé, a mio avviso, è in antitesi al concetto di gruppo, perché se il concetto di sé rappresenta un'individualità, dunque un'unicità, tale unicità contraddistingue; invece il concetto di gruppo al contrario omogeneizza.


    Tuttavia, ci può essere un gruppo inteso come un raggruppamento di sé, ma è l'omogeneità della qualità intrinseca di quei sé a determinare se possano essere coesi in un gruppo oppure no. Tale coesione può essere totale, parziale o assente.


    Se è assente, non penso si possa parlare di gruppo. È come voler raggruppare: un aereo, una mela, una nuvola, un impulso elettrico, la porta dei bagni pubblici, una felce, il socialismo, Gengis Khan e il tappo di una bottiglia in sughero in un unico insieme... :/. Sbaglierò, ma mi sembra un pochetto troppo eterogeneo per poter essere definito un gruppo.


    Se è parziale, ci sono delle caratteristiche in comune, quindi un raggruppamento si può fare. Tipo: una mela, un kaki, un ananas, un'arancia, un litchi... Sono tutti differenti, ma sono comunque tutti frutti. In questo caso si è fatto gruppo sulla caratteristica omogeneizzante, ovvero che sono tutti frutti, e si sono messe in secondo piano le distinzioni.

    Se un gruppo è invece completamente omogeneo, non vi è nemmeno più distinzione nella qualità intrinseca degli elementi all'interno del gruppo, ma solo distinzione numerica. Dunque distinzione numerica ma non qualitativa: "sono tutte formiche operaie".


    Io penso che la domanda: se sia meglio fare ciò che è meglio per sé o per il gruppo, dipenda dal grado di omogeneità qualitativa del gruppo.


    Ovvero da quanto prevalga la distinzione oppure l'omogeneità qualitativa tra i sé raggruppati. Più un sé è distinto dal gruppo, più si potrà formare un conflitto di interessi distinti tra il sé e il gruppo; più il sé è coeso al gruppo, meno gli interessi saranno distinti e, dunque, combaceranno.


    Si tenderà dunque a un sé di gruppo e non più a un sé individuale. Non esisterà più un sé individuale, ma il gruppo si comporterà come un unico organismo. Più il gruppo si comporterà come un unico organismo, più farà il bene del sé di gruppo, anche a scapito del bene del sé individuale degli organismi fusi al suo interno.


    Questo perché si sarà formato un nuovo organismo e ogni organismo è innanzitutto egoista. Almeno questa è la mia opinione.


    Poi le declinazioni in sociologia, psicologia e nei rapporti di qualunque tipo bisognerebbe, penso, andare nello specifico, perché la realtà è complessa.

  • Poi le declinazioni in sociologia, psicologia e nei rapporti di qualunque tipo bisognerebbe, penso, andare nello specifico, perché la realtà è complessa.

    Garden,trovo interessante e condivisibile in toto la tua analisi. Alla fine, credo che il nucleo del problema sia proprio da quale ottica si analizza la realtà (cosa ovvia, che non avevo considerato nella mia precedente analisi). L'esempio classico è il corpo umano: sia biologia che fisica lo studiano, ma lo vedono con lenti diverse.

    Quindi, alla luce della tua analisi, forse abbiamo una prima verità: secondo l'economia, l'equilibrio potrebbe essere raggiunto. Bisognerebbe vedere se le altre scienze sono d'accordo con l'economia.

  • l'equilibrio potrebbe essere raggiunto.

    Premetto che, per equilibrio, immagino tu intenda un'armonia equa che non trascuri l'interesse di nessuno, ovvero che non favorisca l'interesse di qualcuno a scapito di altri. Se mi sbaglio, correggimi, perché, come ho scritto, non conosco l'argomento e, dunque, non so nemmeno bene cosa tu intenda: sto solo chiacchierando.


    Io non so se l'equilibrio possa essere raggiunto naturalmente oppure se naturalmente continueranno sempre a esserci cicli conflittuali di disequilibri e riequilibri. Però una cosa mi viene da pensare: cosa importa se può o meno essere raggiunto naturalmente? La nostra specie è maestra di artificio. Dunque, se si pone uno scopo, non importa se non c'è una strada: basta costruirla. Ovviamente va studiato e verificato il terreno, i mezzi, ecc.

  • secondo l'economia, l'equilibrio potrebbe essere raggiunto.

    :/ Forse l'economia lo vede possibile perché è già una materia artificiale, quindi è già oltre a porsi la domanda se, appunto, possa essere raggiunta naturalmente oppure no. Quello me lo ponevo solo io... :D O forse non ci ho capito un ciola. Lascio il discorso a chi ne capisce un po' di più. Ciau!

  • Premetto che, per equilibrio, immagino tu intenda un'armonia equa che non trascuri l'interesse di nessuno, ovvero che non favorisca l'interesse di qualcuno a scapito di altri.

    Garden: ni. il video che ho messo nel primo messaggio lo spiega con una sua metafora, io lo spiegherò con una metafora tutta mia che prende in analisi la sociologia e la psicologia. Prenderò te, me e Saritta per un esempio banale e chiarificatore.

    Supponiamo che tutti e 3 vogliamo uscire insieme, ma:

    -Io propongo di andare al cinema

    - tu proponi di andare al pub

    - Saritta propone di andare a ballare

    Per semplicità, trascuriamo elementi che possono influenzare: prezzo o distanza del luogo, per dirne due. Siccome non abbiamo il dono dell'ubiquità (possiamo andare in un solo posto), abbiamo almeno 5 alternative:

    1. Scegliere uno dei 3 posti citati: uno di noi 3 sarà più contento degli altri (ha fatto ciò che voleva lui)

    2.Continuare a discutere, sperando di trovare qualcosa che ci unisca in qualche modo. Sarà che ho fame, ma potremmo accordarci per andare a mangiare al ristorante. Resta da vedere quanto può durare la discussione: più è lunga, più si rischia di non fare nulla

    3. Trovare una soluzione che accontenta tutti: stiamo a casa e guardiamo Grease sorseggiando un cocktail home-made. Saritta avrà ballato sulle note della colonna sonora, tu avrai bevuto una cosa che trovi solo in 2 posti (Si chiama Acid Jazz: cocktail analcolico che conosciamo solo io e i barman del BlueNote di Milano) e io mi sarò guardato il mio film


    Mi domando e vi domando: la soluzione n.3 potrebbe essere una situazione di equilibrio o un puro e semplice accontentamento?

  • La Teoria dei Giochi! Era un argomento che mi aveva affascinato molto in università.

    Il guadagno, il payoff, di ciascun giocatore dipende non solo dalla propria strategia di gioco, ma anche dalle mosse degli avversari.

    Stupendo film.

    Proprio ieri parlavo con un amico del Dilemma del prigioniero, emblema dell'equilibrio di Nash, studiato all'Università ormai venti anni fa ma che ancora ricordavo vagamente perché mi aveva affascinata...ora mi è venuta voglia di ristudiarmelo ;)

    Per quanto riguarda il film stupendo è poco, tutte le volte che lo riguardo mi fa sentire meno strana: lui che ha le visioni, le connessioni mentali che non riesce a frenare...fino a rimanerne purtroppo travolto.

  •  

    Mi domando e vi domando: la soluzione n. 3 potrebbe essere una situazione di equilibrio o un puro e semplice accontentamento?

     

    Secondo me è di accontentamento. È come dire: il bicchiere è mezzo pieno oppure è mezzo vuoto?


    Oggettivamente: è mezzo.


    Direi che questo è quello che, parlando di omogeneità, avevo descritto come.

     

    Se è parziale, ci sono delle caratteristiche in comune,

    [...]

    In questo caso si è fatto gruppo sulla caratteristica omogeneizzante, ovvero che sono tutti frutti, e si sono messe in secondo piano le distinzioni.

    [...]

    Più un sé è distinto dal gruppo, più si potrà formare un conflitto di interessi distinti tra il sé e il gruppo; più il sé è coeso al gruppo, meno gli interessi saranno distinti e, dunque, combaceranno.

     

    Qui il problema è che i tre sé non sono perfettamente omogenei e, dunque, entrano in conflitto di interessi.


    A quel punto, o i tre sé si omogeneizzano: "tutti e tre improvvisamente diventano grandi fan del cinema" (questo ovviamente se si parla di cinema e non di scarsità di risorse che crea contesa, come nel video), oppure non si omogeneizzano, ma a quel punto si storcono un po' tutti (mezzo bicchiere).


    Tutti ottengono qualcosa, ma non quanto pienamente il loro sé voleva: tutti cedono qualcosa al gruppo.


    Oppure, nel conflitto di interessi, prevale uno e mette sotto gli altri.


    Oppure dovrebbero studiarsi una qualche soluzione fantasiosa che riempia pienamente il bicchiere per tutti e tre i sé individuali: vai di fantasia!


    Bisognerebbe vedere se la terza soluzione di fantasia che hai proposto, qualitativamente per ognuno dei tre sé, equivalga in soddisfazione al bicchiere pieno che tutti e tre individualmente avevano proposto all'inizio (pub, cinema, ballare).


    Chissà: magari anche sì, o magari no. Se la risposta è no, a mia opinione rappresenta mezzo bicchiere. Tutti hanno ceduto qualcosa: l'altro "mezzo" bicchiere.

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