Ciao, riscrivo dopo un anno, ora in malattia a casa per disturbo di adattamento per stress lavoro-correlato con sintomi di ansia e depressione. Dopo il primo messaggio in cui esplicitavo i miei problemi legati alle pressioni intollerabili sul lavoro, ho cambiato ente pubblico, casa e regione di residenza (anche per stare più vicino ai miei).
Ma di nuovo ci ricasco, addirittura peggiorando la mia condizione. Un anno fa sono ripartita carica di speranza, voglia di fare, di resistere, di stare. Ci credevo davvero e all'inizio sembrava che, almeno sulla carta, l'ente pubblico in cui avevo vinto il concorso promettesse grosse opportunità e benefit, compreso il lavoro agile.
Ma pochi giorni dopo l'ingresso nel mio settore notavo già un clima strano, fatto di silenzi, di parole dette a metà, di scarsa collaborazione e quasi di ostilità. E soprattutto di un'allegria innaturale nei gruppetti che affollavano le macchinette del caffè, come se ci fosse un che di forzato e innaturale negli atteggiamenti collettivi e individuali del mio settore. Come il mio solito, ho cercato di intrattenere una conversazione con più colleghi per spiegarmi la ragione di questo clima. Eppure ognuno aveva la propria versione, del tutto diversa da quella degli altri, ed ognuno però cercava di minimizzare e di giustificare a modo proprio il verificarsi di eventi di cui sono venuta poi a conoscenza. Gente letteralmente scappata, colleghi degli altri settori che fanno battute sull'eccidio di personale avvenuto nel mio, violenza fisica e l'intervento delle forze dell'ordine. Insomma, non promette alla fine bene, ma nessuno si sbilancia e continuo il mio corso.
Il fatto che, prima dell'assunzione, avessi dovuto sostenere un colloquio con una psicologa del lavoro, alla quale avevo ribadito che in un ambiente di lavoro cercavo competenza, collaborazione, un ambiente sereno ed ergonomico, oltreché abbastanza silenzio per poter sbrigare concentrata le mie svariate mansioni, nutrivo come l'illusione che effettivamente avrei trovato un ambiente compatibile con le mie caratteristiche ed esigenze. Ed invece mi ritrovo ora a casa, sola e sofferente, a chiedermi cosa abbia sbagliato e cosa avrei potuto fare di diverso per continuare a stare bene.
E mi colpevolizzo per aver dato troppo, per avere dimostrato fin dall'inizio le mie capacità e voglia di mettermi in gioco, di cui la dirigente e tutto il seguito appresso di fedelissimi, nel tempo, ha cercato di approfittare, spremendomi come un limone. Dimostrandosi incapaci, non affidabili, precisi ed efficienti come me. Parole pronunciate da questi soggetti per darmi un contentino e per indurmi a continuare con i ritmi serrati ed insostenibili che mi hanno fatto ammalare.
Mi sono infatti trovata, da istruttore amministrativo, a svolgere mansioni da funzionario di fatto ed anche di più, con responsabilità enormi e libertà amministrativa spropositata in contesti altamente sensibili, in termini di corruzione e protezione dei dati personali. Contesti poi soggetti facilmente, in ambito pubblico, a monitoraggi costanti dall'interno e dall'esterno e che io, da ansiosa, avrei volentieri evitato. L'ironia della sorte è che ho evitato sempre concorsi da D, perché sapevo di non avere le caratteristiche adatte e che, in caso di un eventuale controllo, avrei sofferto terribilmente per dover dire, dimostrare e quant'altro, seppur incolpevole.
Ed adesso eccomi qua, dopo aver lavorato come una matta per mesi a gestire tutte le problematiche possibili ed immaginabili, cercando di coinvolgere la dirigente in modalità scritta ma senza ottenerne nulla, a subire le richieste da scaricabarile di colleghi che lavorano in quest'ambito da anni, da funzionari e con indennità aggiuntive, e che sembra sempre che caschino dal pero, non sappiano come gestire un minimo contrattempo e che si rivolgono a me, come fossi il messia, che ci lavoro da un anno, giocando a fare gli ingenui e i preoccupati.
Il tutto è diventato nei mesi terribilmente disgustoso ed avvilente. Pensavo all'inizio di essermi trovata a lavorare con persone davvero incompetenti. Addirittura gente che diceva di non sapere usare bene il pc e faceva la lagna perché lavorava troppo in quanto ogni giorno c'erano due o tre chiamate che doveva gestire. E che cercava in maniera subdola, l'ho scoperto dopo, di scaricarmi pure una parte delle proprie mansioni, coinvolgendo la dirigente che conosce da molti anni. E che però faceva una decina di chiamate private al giorno in ufficio, tra l'altro disturbando terribilmente la mia concentrazione, organizzando corsi di yoga, gli affitti della seconda casa, le ferie...
Ho cercato per molto tempo di sostenere il ritmo. Mi ero detta: "Passerà. Prima concludi, meglio è". Ma non passava mai, e vai a sopportare le frecciatine, la codardia e l'incompetenza della dirigente; vai le richieste assurde di soggetti pubblici e privati esterni, di cui ero l'unica referente per questo compito; vai le pause infinite dei colleghi, che tra l'altro inficiavano la mia perenne corsa ai risultati come da piano di lavoro; vai le mancate indennità aggiuntive che mi spettavano e che erano state direzionate alle colleghe del cerchio magico; vai l'affitto che mi prosciuga quasi la metà di un misero stipendio.
E non potevo, badate bene, rilassarmi e fare il cosiddetto quiet quitting, rilassandomi e dilatando i tempi, a causa dell'estrema settorializzazione, perché di fatto, a causa della mala gestione, il tutto incombeva solo ed esclusivamente su di me, con persone esterne dipendenti completamente dal mio ente per ottenere un cambiamento favorevole nella propria vita e, pertanto, dalla mia totale dedizione in questa mansione. Il tutto però, dal mio personale punto di vista in quanto lavoratrice e persona, senza percepire alcun valore aggiunto nella propria attività, alcun controllo sui processi e possibilità di miglioramento o di solidarietà. Anzi, solo lamentele da dentro e fuori, e miseria umana, onnipresente, infinita. E ciò perché di mezzo vi sono soldi e altri tipi di tornaconti personali.
Ho incominciato poco alla volta a scivolare in uno stato di apatia, di irritazione, di cinismo estremo dentro e fuori dall'ufficio. Ho notato i colleghi evitarmi, fare segni in corridoio, tenermi distante anche quelli che si mostravano amici. Il post lavoro era dedito mentalmente al lavoro, nei fine settimana ero stordita e sfinita, senza poter dedicare un po' di tempo ed energie alle mie molteplici passioni.
Ho iniziato a pensare di farla finita, perché mi sentivo un fallimento, sebbene la lucidità poi mi ricondusse alla ragione. Pensavo più e più volte, come per sbaglio, di lasciarmi cadere dalla terrazza in cui fumavo, di lasciarmi travolgere da un mezzo in corsa. Per non dover ricominciare di nuovo a prendere consapevolezza della mia inadeguatezza, dei miei tormenti, del mio ennesimo fallimento. E mi chiedevo/mi chiedo cosa fare per salvaguardare me stessa e, allo stesso tempo, il mio lavoro.
I miei genitori, adottati (voluti) quando ero preadolescente, ai quali ho cercato di riavvicinarmi perché anziani ed io sono figlia unica, continuano a farmi sentire in colpa. Mia madre: "Ma ancora!", "Ma tu devi essere forte!", e se ho un minimo di gioia da qualcosa, come andare a fare una leggera pedalata in bici, mi dice: "Ma tu non hai 15 anni, tu devi lavorare, ti devi adattare", ed il mondo diventa nero. Penso allora in quei momenti ancora di più a come dare seguito ai miei pensieri cupi oppure a dare una svolta totale alla mia vita, senza influenze di alcuno, neppure provenienti da persone care.
Non ho avuto per niente un passato facile ed anzi, il mio psicologo si sorprende della mia resilienza. Io ci rido, perché passo più tempo a soffrire (ho una patologia autoimmune reumatica con dolori cronici da quando avevo 27 anni, oltreché tutto il vissuto esistenziale e psicologico passato) che a svagarmi e a prendermi cura dei miei desideri, valori e progetti.
Non so quale direzione dare alla mia vita lavorativa. Da una parte mi rendo conto che sono entrata nel pubblico per tutelarmi dalla mia fragilità psico-fisica, ma dall'altra ho sempre più consapevolezza di perdere le mie poche energie con ominicchi e quaquaraquà (detto alla Sciascia) per attività fini a se stesse, intrappolata in una burocrazia totalizzante che ti brucia il cervello e l'anima.
Eppure anche qui, senza alcuna salvaguardia, se non il fatto di poter prendere malattia quando sono sull'orlo dell'abisso senza il rischio che arrivi qualcuno subito da dietro a darmi la spinta finale. Sebbene anche questo aspetto ormai mi sembri da prendere con le pinze, dato che li ho lasciati letteralmente nella cacca e la mia dirigente non è una che perdona.
Per concludere aggiungo che prendo Xanax al bisogno e Trittico per dormire, ma con risultati altalenanti. La maggior parte delle notti, da qualche tempo a questa parte, non dormo e, se lo faccio, alterno incubi e, al risveglio, sono uno straccio.
Faccio tanto per distrarmi, da quando sono in malattia, come passeggiare, ascoltare musica, guardare film. Faccio tutto con estrema lentezza, ma un minimo errore o scontro con soggetti esterni casuali mi fa precipitare e vorrei subito rifugiarmi in un angolino per piangere. Non so quanto ci vorrà, ma mi sento estremamente esposta, come senza impermeabile (come dice un mio amico-ex collega).
Grazie a chiunque vorrà darmi un suo feedback.