La malattia di mia mamma ha distrutto anche la mia vita

  • Anche mia madre diagnosticata a 56 anni, ha resistito appena 4-5 mesi ma aveva 2 tumori distinti e metastasi a cervello, colonna vertebrale e pancreas.

    Il momento peggiore è stata la diagnosi, che hanno riferito a me per primo perché lei era già allettata. Poi la solitudine data dalle limitazioni agli spostamenti a causa della pandemia ha dato la seconda batosta.

    Il tutto mi ha shockato, soprattutto gli effetti della metastasi al cervello che aveva compromesso, anche se in maniera lieve, il suo comportamento. Era una persona diversa, apparentemente normale, ma sembrava quasi avesse un timbro vocale diverso, il lessico ecc... riusciva ancora a cucinare, anche cose abbastanza elaborate, però si dimenticava parole a random (tipo "telecomando"), aveva iniziato a sbucciare le arance pelandole come le mele, o si era dimenticata come usare il microonde...

    Quando è morta confesso di aver provato sollievo, sia per il peso che mi schiacciava sia per la sua liberazione da quel terrore (aveva paura di diventare "pazza" o ancora peggio non più autosufficiente).

  • Stessa situazione.

    Madre sessantenne, progressivamente sempre meno autosufficiente, fino ad arrivare a un'autosufficienza pari a zero.


    Io, trentenne, vivo fuori regione.

    Faccio fatica a lavorare e a portare avanti la mia vita, e quando esco con gli amici del posto, mi sento un alieno e anche invidioso dei loro sorrisi e della loro leggerezza.


    A parte lagne varie e pacche sulla spalla, qui servono consigli pratici da parte di chi ci è passato e anche da psicologi, che in teoria dovrebbero saper dare spunti su possibili modi di vivere la situazione.

  • qui servono consigli pratici da parte di chi ci è passato e anche da psicologi, che in teoria dovrebbero saper dare spunti su possibili modi di vivere la situazione.

    Purtroppo sono situazioni durissime che può comprendere davvero solo chi ci è passato. Lo psicologo è utile per sollevare da senso di colpa e altri vissuti di dolore legati al rapporto e anche alla specifica relazione. Il consiglio pratico varia da caso a caso, ognuno trova la sua strada per affrontare il tutto, anche perché a livello di supporto pubblico c'è pochissimo. So che vari enti erogano fondi legati alla disabilità, ma spesso si ha diritto solo arrivati a situazioni di invalidità certificate al 100% o Alzheimer in stadio avanzato, e comunque difficilmente sono sufficienti a pagare l'assistenza necessaria. Certamente è fondamentale la delega e soprattutto potersi fidare di chi si occupa del nostro familiare, è pieno di gente inumana che lavora in questo settore: alcune cliniche sono paragonabili a lager, ma oggi grazie ad internet si possono scoprire facilmente i posti a cui non rivolgersi.

  • Purtroppo sono situazioni durissime che può comprendere davvero solo chi ci è passato. Lo psicologo è utile per sollevare da senso di colpa e altri vissuti di dolore legati al rapporto e anche alla specifica relazione. Il consiglio pratico varia da caso a caso, ognuno trova la sua strada per affrontare il tutto, anche perché a livello di supporto pubblico c'è pochissimo. So che vari enti erogano fondi legati alla disabilità, ma spesso si ha diritto solo arrivati a situazioni di invalidità certificate al 100% o Alzheimer in stadio avanzato, e comunque difficilmente sono sufficienti a pagare l'assistenza necessaria. Certamente è fondamentale la delega e soprattutto potersi fidare di chi si occupa del nostro familiare, è pieno di gente inumana che lavora in questo settore: alcune cliniche sono paragonabili a lager, ma oggi grazie ad internet si possono scoprire facilmente i posti a cui non rivolgersi.

    Capisco.

    Per delega cosa intendi esattamente?


    Cioè, un adulto lavoratore, che vive in un'altra città, da solo o con propria famiglia, come fa a sostenere la persona disabile, legge 104 a parte?

    Deve licenziarsi, tornare alla città d'origine, sperando di trovare lavoro in loco?


    Lo chiedo perché sono un giovane adulto lavoratore che inizia a porsi certe domande.


    Mi chiedo inoltre se vivere e lavorare lontani da casa d'origine, in generale, sia una buona cosa.

    Si perde la rete famigliare/parentale/amicale che soprattutto in Italia rappresenta la prima linea di supporto per chiunque.

  • Capisco benissimo il tuo stato d’animo. Vivere fuori per me è stata una conquista, sudata tantissimo. Trovare casa in una grande città italiana non è una passeggiata, trovare lavoro non ne parliamo. Fai sacrifici e investi tutte le tue forze per farti una vita da zero in un nuovo contesto. Io tornavo nella mia città d’origine una volta ogni due mesi circa. Ho un rapporto strano con la mia città, ho fatto di tutto per andarmene, per quanto sia legato a questa terra, ma sentivo il bisogno di vivere in un contesto un pochino più grande ed emancipato. Ma poi la vita ha sparpagliato tutte le carte, io ora faccio avanti e indietro, tra la città dove mi sono trasferito e la mia d’origine. Oltre al trauma e alla sofferenza per la malattia di mia madre, c’è anche questo senso di disorientamento, che in situazioni simili non aiuta. Avevo costruito un mio equilibrio personale, che piano piano sta venendo meno. Ma non me ne frega, per mia madre farei di tutto. Vorrei solo tenerla stretta a me per più tempo possibile.


    Vi abbraccio tutti, è davvero dura.

  • Deve licenziarsi, tornare alla città d'origine, sperando di trovare lavoro in loco?

    Come ti ho scritto ê una scelta assolutamente personale, ogni situazione è diversa e non c'è una soluzione per tutti.

    Quando un familiare non è autosufficiente e necessita di assistenza H24 o ci si occupa personalmente di lui o si delega, in tutto o in parte, a personale che può assistere, o si cerca una struttura adeguata che possa dare l'assistenza necessaria

    Ovviamente la distanza complica tutto, e può indirizzare verso la scelta di una struttura che può essere vicino al posto in cui vivi in modo da poterci andare con la giusta frequenza.

    Ad ogni modo non c'è una sola soluzione, bisogna considerare il giusto compromesso tra le necessità economiche, proprie e del familiare, la propria vita, i propri sentimenti, l'aiuto che possono dare altri familiari eventualmente coinvolti. Non è assolutamente semplice, non si può dare una risposta uguale per tutti e soprattutto non si possono giudicare le scelte altrui, perché ogni scelta si porta appresso delle motivazioni e anche del dolore.

    Purtroppo non c'è il tasto: tornare al punto di partenza, lo faremmo tutti.

  • Purtroppo è così.

    Non c'è una linea univoca da seguire, ognuno deve affrontare questi "imprevisti" della vita nel miglior modo che ritiene più opportuno, che poi tanto imprevisti non sono, nel senso che i genitori, in teoria, vengono a mancare prima di noi ed arrivano comunque ad un momento della vita che necessitano del nostro aiuto.

    Nel nostro caso, essendo comunque in 4 a gestire la situazione, abbiamo tenuto la mamma a casa fino alla fine.

    Abbiamo imparato a fare le flebo e fare tutto quello che era necessario, le stringevo la mano quella notte quando mi ha lasciata!!

    Onestamente, fossi stata sola a gestire quella situazione, non avrei sicuramente potuto fare tutto da sola e probabilmente non avrei potuto tenerla a casa.

    "Niente limiti, Solo orizzonti..."

  • Quanto è difficile ragazzi. La scoperta della malattia di mia mamma è stato un vero e proprio fulmine a ciel sereno, vivendo fuori ogni volta che tornavo la vedevo a casa, in forma, sana e dimostrando almeno 10 anni in meno. Nella mia testa mia mamma non si sarebbe mai ammalata. Ora dopo una diagnosi così pesante, la vedo impaurita, indifesa, ma sempre forte. Io sono preoccupato, mi sento arrabbiato con la vita per quello che ci ha messo davanti. Anche io sto faticando a fare la mia vita di sempre, vuoi per ragioni logistiche ma anche perché questa situazione mi ha steso emotivamente. Me ne rendo conto quando esco di casa, vedo tutto con occhi diversi. Oggi sono passato casualmente davanti alla clinica dove ha fatto l’esame che ha fatto scoprire la malattia e mi sono messo a piangere, mi sono immedesimato in lei, che da sola è andata a farsi un esame, mai pensando ad un risultato simile. Quando penso a cosa possa aver provato mi sento devastato, come se un camion mi fosse passato sopra. Poi sono assalito dai ricordi, mi risuonano in mente continuamente canzoni dei film Disney che mi faceva vedere da piccolo e mi sento un nodo in gola terribile. Vorrei piangere molto di più per sfogarmi ma non riesco abbastanza, vorrei proteggere la mia mamma e vorrei davvero che guarisse o che perlomeno possa rimanere con me il più possibile.

  • Quanto è difficile ragazzi. La scoperta della malattia di mia mamma è stato un vero e proprio fulmine a ciel sereno, vivendo fuori ogni volta che tornavo la vedevo a casa, in forma, sana e dimostrando almeno 10 anni in meno. Nella mia testa mia mamma non si sarebbe mai ammalata. Ora dopo una diagnosi così pesante, la vedo impaurita, indifesa, ma sempre forte. Io sono preoccupato, mi sento arrabbiato con la vita per quello che ci ha messo davanti. Anche io sto faticando a fare la mia vita di sempre, vuoi per ragioni logistiche ma anche perché questa situazione mi ha steso emotivamente. Me ne rendo conto quando esco di casa, vedo tutto con occhi diversi. Oggi sono passato casualmente davanti alla clinica dove ha fatto l’esame che ha fatto scoprire la malattia e mi sono messo a piangere, mi sono immedesimato in lei, che da sola è andata a farsi un esame, mai pensando ad un risultato simile. Quando penso a cosa possa aver provato mi sento devastato, come se un camion mi fosse passato sopra. Poi sono assalito dai ricordi, mi risuonano in mente continuamente canzoni dei film Disney che mi faceva vedere da piccolo e mi sento un nodo in gola terribile. Vorrei piangere molto di più per sfogarmi ma non riesco abbastanza, vorrei proteggere la mia mamma e vorrei davvero che guarisse o che perlomeno possa rimanere con me il più possibile.

    Forza!!!

    È durissima, lo so, ma in queste situazioni dobbiamo essere forti per noi e per loro.

    "Niente limiti, Solo orizzonti..."

  • La mia esperienza è parzialmente diversa ma ugualmente dolorosa. Ho 56 anni, figlia unica, sposata con due figli e da tre anni una madre di 95 anni, lucida ma allettata, a carico. Per un lungo periodo è stata a casa mia con complementi di pannoloni, cateteri, ecc ma alla fine non riuscivo più a reggere il tutto e ho deciso di ristrutturare il suo appartamento per renderlo idoneo anche ad una badante.

    Siamo vicine e ci vediamo tutti i giorni ma negli ultimi tempi mi ha colto un malessere che ha pervaso tutto. La guardo, ormai rassegnata alla sua condizione, spesso mi dice che sarebbe ora di andarsene. Non è depressa ma stanca, il ciclo vitale si è concluso e resta solo l'attesa della fine. Mi chiedo che senso abbia tutto questo.

    C'è anche un problema economico: l'assistenza ai disabili è molto costosa, i redditi di mia mamma sono al limite e spesso devo integrare io. Ma io ho anche due figli che ancora studiano e vi lascio immaginare i costi che si sommano.

    Sarò egoista (non credo: ho fatto quanto possibile per lei) ma spesso mi chiedo: quanto si può resistere così? Il medico dice anche anni ma a quale costo e con quale senso?

    Nel mentre sono ricaduta in una depressione apatica che mi rende difficile anche lavorare.


    Grazie per l'attenzione.

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