Stamattina riflettevo con la mia psicologa su cosa di me possa dare segnali sbagliati alla controparte maschile.
Le ho raccontato di un episodio risalente a poche settimane fa in cui un interlocutore dell'azienda per cui lavoro ha manifestato una sorta di delusione: il mio ruolo nell'azienda mi porta a costruire e mantenere relazioni con i vari interlocutori; il settore in cui lavoro prevede una buona dose di convivialità, perciò non è inusuale, ma anzi auspicabile, che si passi dal lavoro al pour parler, per creare connessioni tali per cui il prodotto diventa, se possibile, "migliore" anche per la dimensione umana che c'è dietro. Dunque, si parlava del più e del meno utilizzando il social del lavoro (non so se posso nominarlo, ma è L****In"), dal canto mio non ho mai omesso di menzionare l'azienda quando proponeva di prendere un caffè insieme. Eppure, di primo acchito, ha risposto esprimendo una certa frustrazione: "approfondiremo al prossimo evento organizzato da Ente X, quindi, se sarò di nuovo invitato, non prima di un anno da ora". Ho salutato e ringraziato per il tempo dedicato alla nostra azienda, ribadendo che il mio titolare nutre una grande stima per lui e per il suo lavoro e infine ho salutato. Salvo poi riprendere la conversazione il giorno successivo, di fatto "contravvenendo" alla dichiarazione di risentirci non prima di un anno.
Mi sono fatta milioni di domande su cosa posso aver trasmesso a questa persona: ci siamo incontrati di persona almeno un paio di volte da quando lavoro per quest'azienda. Sempre ovviamente durante occasioni lavorative. L'ultima volta un paio di mesi fa e abbiamo sempre piacevolmente parlato del lavoro, del più, del meno. Insomma, normalissime relazioni commerciali e umane.
Non sono una che veste provocante: il mio armadio è prevalentemente oversize, comodo e amo in generale le bellezze femminili più androgine. E a queste cerco di somigliare, da un punto di vista stilistico.
E se a dare una certa idea, magari di disponibilità, è la mia fisionomia, ovviamente qui poco posso fare.
Mi sono trovata a riflettere sul fatto che forse io possa dare dei segnali sbagliati, nel senso che lascio intendere qualcosa di me che non sono, che non cerco.
Quindi ho pensato che forse l'essere solare, aperta alla socialità e all'accoglienza possa presentare diversi svantaggi.
La mia psicologa mi ha fatto riflettere sul fatto che non dovrebbe essere considerato un male il fatto che un uomo mostri il suo interesse, che forse la lunga relazione dalla quale sono uscita mi ha disabituata a tal punto a questo tipo di attenzioni che ora mi fanno sentire a disagio. E infine, cosa più importante, mi ha fatto riflettere sul fatto che anziché chiedermi cosa abbia di sbagliato da indurre un uomo a manifestare questo tipo di interesse, potrei provare a ribaltare la prospettiva e iniziare a pensare che posso anche risultare interessante.
Andando oltre questa parentesi, vi è mai capitato di sentirvi sbagliati in virtù dell'impressione che ricevono gli altri?
Vi è mai capitato di mettere in discussione le vostre capacità relazionali perché quello che trasmettete non coincide con chi vi sentite?
Vi è mai capitato di pensare che l'essere male interpretati sia, di fatto, colpa vostra, della vostra (eventuale) incapacità di comunicarvi?
Infine, vi è mai capitato di pensare che foste voi a dover cambiare qualcosa di voi stessi per evitare fraintendimenti? Quindi, di fatto, di dovervi costruire una maschera socialmente accettabile per non sentirvi mortificati dalle attenzioni ricevute (magari anche collettivamente considerate piacevoli)?