So cosa pensi a riguardo. Si può scappare da un buco in cui sei caduto, quasi tutti lo hanno fatto. C’è chi lo ha scalato con sudore, chi con le unghie, chi ci è rimasto, chi se lo sta scavando, e chi guarda solo il cielo che traspare e ne viene estasiato dalla vista ma è privo di ogni forza e mezzo per raggiungerlo, quindi si stende e aspetta, aspetta di avere la forza di risalirlo. Osservandolo si possono notare due cose: il cielo bellissimo, pieno di stelle che tutti guardano ma che nessuno raggiunge. C’è chi per la stessa bellezza piange, paragonabilmente con il proprio male perché l’io e il cielo sono paralleli, ma completamente distaccati.
Vedo il cielo annebbiato, cupo, coperto, ma so che sopra, al di là delle nuvole, è stupendo. Lo guardo e capisco. Resta il fatto che è irraggiungibile, perché siamo legati alla terra e al suo male. Vedo il cielo coperto da troppo tempo, sento una mancanza interna profonda quanto il nulla, non capisco dov’è la fine ma so che è possibile toccarla.
Odio tutti e me stesso. Tutti vomitano odio, ed io sono la fonte che lo cerca e se lo restituisce più forte di prima. Sono causa ed effetto.
Nessuno mi guarda in faccia con del bene da mostrarmi, e se lo fanno capiscono che non c’è nient’altro che nero, odio. Nessuno sa perché sto fermo immobile a guardare il vuoto quando mi sto consumando dentro, scavando nel mio nulla. A nessuno interessa. Patetico, debole, malefico, a convenienza, nessun sentimento tranne il blu scuro (depressione), il nero (odio), il rosso (rabbia) e la mia paura più grande il bianco.
Due opzioni di sopravvivenza: i miei occhi sono bianchi, non c’è niente, ma so cosa fare, so andare avanti, so parlare, ma sono vuoto. La seconda, il suicidio: tutto ciò che ho dentro verrà lasciato andare nello spazio, ed ogni male sarà liberato. La poca felicità volata via non suscita tristezza, a differenza del rimpianto di non averla cercata, ottenuta. Entrambe le opzioni sono invitanti ma nella prima si instaurerebbe apatia, un bene esterno, e un nulla interno, la seconda sarebbe la liberazione dal male e del bene non avuto.
La terza opzione non la vedo bene, non riesco a riconoscerla, nessuno mi interessa, sono io che sto male, nessuna connessione con qualcuno mi attrae, la terza opzione sarebbe la prima ma con emozioni; forse anche la seconda è intersecata con la terza, la liberazione di qualcosa.
L’unica ragazza con cui mi sono sentito accettato mi ha solo usato e tenuto stretto perché faccio pena. La mia famiglia mi odia, ma io l’ho odiata per primo. Le persone attorno a me vogliono il mio male, quando mi sono solo protetto dal loro. Io voglio la felicità, ma non posso ottenerla perché come strumento di questo mondo c’è solo il male e non voglio usarlo; inconsapevolmente, pur di non usarlo, lo inglobo, mostro il bene, ma straripa l’odio, esce da ogni poro, cicatrice della mia pelle, della mia anima.
Non posso andare avanti perché l’odio mi attanaglia, il male mi sfama, e la morte mi libera: non c’è nessuna antitesi in quello che ho detto. Forse.
Il mio ego non può essere usato. Il suo colore è verde scuro, e da esso scorre l’irrefrenabile voglia di fare/ottenere, AGIRE tramite poca inibizione del male, poco interesse degli altri, restituire il male che mi viene dato. Alla fine tutti lo fanno, ma io perché dovrei? Sto ammazzando il mio ego, lo sto intrappolando, e quando scaturisce porta solo distruzione, odio e solitudine, anche se mi fa sentire forte.
La fine del buco si vede, ma il cielo è coperto.
Per piacere, chiedo aiuto.