Salve a tutti. Sono una ragazza di 23 anni, sono una studentessa universitaria, ho una famiglia di tutto rispetto, non mi manca nulla, sto bene fisicamente. Nonostante tutto ciò ho un malessere perenne da molto tempo e non so più come uscirne. Sono sempre stata una persona abbastanza timida fin da bambina, con una madre iperprotettiva che aveva e ha paura tuttora che mi succeda sempre qualcosa; non vivo da reclusa ma non mi sono mai sentita libera di esprimere me stessa sino in fondo. è come se sapessi che potenzialmente avrei potuto diventare qualcos'altro nella mia vita e invece sono soltanto repressa. Non so se avete presente quando delle persone che ti vogliono bene vogliano a tutti i costi che diventi la bambina modello studiosa, educata, che non strilli, che non faccia la monella, ecco io sono sempre stata così, anche se ero comunque una bambina serena, però tendevo sempre ad isolarmi quando non conoscevo qualcuno, non riuscivo mai ad intraprendere delle amicizie di mia iniziativa, all'asilo però giocavo normalmente con gli altri bambini e quando si trattava di fare recite o saggi ero entusiasta e non vedevo l'ora di mettermi in gioco (per questo dico che potenzialmente avrei potuto essere un'altra persona), anche alle scuole elementari ero così, nello studio mi impegnavo diligentemente perché i miei genitori mi hanno sempre educato così; è difficile da spiegare, mi hanno posto davanti allo studio come qualcosa di normale e naturale, mai me lo hanno inculcato con la forza, mia madre mi comprava delle lavagnette e mi dava la penna per scrivere, e io imparavo tranquillamente quasi per gioco. Poi man mano ho cominciato a perdere fiducia in me stessa, alle medie continuavo a studiare e intervenire alle lezioni ma era diverso, era subentrata un'ansia straziante che a volte mi costringeva a scappare in bagno, dopo riuscivo comunque brillantemente nei miei compiti e avevo voti alti, ma li pagavo a caro prezzo. In prima media mi sono iscritta a pallavolo, mi piaceva tantissimo, anche lì ho avuto problemi nel socializzare, all'inizio me ne stavo sola, poi un giorno mi sono presa di coraggio e ho chiesto alle altre di giocare assieme e poi mi sono fatta delle amicizie. Alle superiori avevo sempre ansia e man mano i voti a volte ne risentivano, i miei professori mi accusavano di essere troppo chiusa e io ne soffrivo, non riuscivo a cambiare, coi miei compagni avevo rapporti normali ma ero la compagna silenziosa e per nulla interessante. Ho raccontato tutte queste cose perché voglio far capire che mi sento dannatamente repressa, io penso che mi abbiano domato in un certo senso, ora mi sento sola, ho avuto troppe delusioni da parte delle persone a cui voglio più bene, ho la sensazione che non vogliano stare con me, sono apatica un pò e non ci sto bene con loro, vorrei soltanto allontanarmi come loro fanno con me. Non ho mai avuto un ragazzo, non riesco a lasciarmi andare, a farmi conoscere, la sola idea che possa avere una qualche relazione sia fisica che mentale mi butta nello sconforto, mi sento bloccata, fredda; e poi ho un'ansia terribile per qualsiasi cosa, come se dovessi sempre affrontare degli esami, anche per guidare la macchina, per uscire, per andare a correre, perché mi sento sempre inadeguata, non capisco perché poi; mi sento brutta, fin da piccola, ma so che esagero, non ho fiducia in me stessa, e tutto questo mi rende ancora più nervosa e più chiusa agli occhi degli altri perché è come portare con me un segreto inconfessabile. Ho un difetto: mi tengo tutto dentro e di conseguenza se mi fanno del male non glielo dico per paura di perderli, così è successo con la mia migliore amica, adesso ne ho preso coscienza e mi sono allontanata, lei è una di quelle persone un pò egocentriche e che hanno atteggiamenti che infastidiscono ma le voglio sempre bene; nonostante tutto anche se a modo loro fanno parte della mia vita e non ce la faccio al pensiero di perderli. . Non so affrontare la vita e non sono così piccola da potermelo permettere. Accuso i miei genitori di avermi dato soltanto la possibilità di studiare, ma lo studio non è tutto, per me contano anche gli affetti. Non so essere espansiva, e non so neanche se riuscirò a farvi capire come mi sento davvero, ma sto male davvero. Nessuno se ne rende conto. E non credo che mi sia di aiuto uscire e distrarmi perché il punto è proprio questo, io non riesco a fare queste cose spontaneamente, non riesco a vivermi le cose, succede raramente e quando succede mi rendo conto di quanto sia bello poter lasciarsi andare. Ho bisogno di aiuto.
oltre il limite della disperazione
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Forse ciò che ti instilla ansia nell'idea di avere una relazione è che anche in questo caso ti sentiresti sotto esame,come se dovessi dimostrare quanto vali anche da questo punto di vista,così come hai fatto nello studio.Poi non conosco la tua situazione più di tanto,e forse un analista potrebbe aiutarti. Dò spesso questo consiglio,non voglio fare la paladina della psicoanalisi,semplicemente credo che per comprendere i meccanismi che ti hanno fatto reagire così e sentire così tanto sotto pressione si debba indagare la tua personalità,la tua infanzia,il tuo modo di reagire alle sollecitazioni.
Probabilmente ti sei senti così anche perché,anche se dici che i tuoi genitori ti hanno trasmesso il valore dello studio in modo naturale (che è di per sé una cosa bellissima), per te poi così naturale non lo è stato,nel lungo periodo.
Forse senti di avere questo "potenziale inespresso" proprio perché non ti sei mai sentita più di tanto spontanea in quello che facevi. -
ti capisco..abbiamo la stessa età e anch'io mi sento come te...ormai ho perso il controllo della mia vita e ogni giorno che passa sento sempre più vicina la morte...
oltretutto anche io non ho ho mai avuto una ragazza e come te sono terrorizzato all'idea di una relazione.... -
Il fatto è che mi è stato concesso in un certo senso soltanto la "libertà" di poter studiare, invece secondo me è importante concedere la libertà anche di commettere errori; io adesso sto studiando scienze biologiche e mi piace molto e non mi pento della mia scelta, ma se mi fermo a rifletterci credo che già la strada dell'università era stata decisa, cioè era ovvio che mi fossi iscritta un giorno, ovviamente nella facoltà da me preferita (su questo non ho mai avuto pressioni), e sicuramente li ringrazio per avermi dato questa opportunità perché ci sono famiglie in cui i genitori non hanno alcuna intenzione di mantenere i propri figli, e se un giorno diventerò qualcuno (sempre ammesso che si trovi lavoro) lo devo anche a loro, ma il punto non è questo, ma il fatto che secondo me si deve lasciare completamente liberi di scegliere la propria strada, rischiando anche di far prendere la decisione da loro temuta, di non diventare "dottore in" a quel punto se prenderai comunque quella strada è sicuro che lo hai fatto coscientemente. Non so se mi sono spiegata, non vorrei che passasse che mi hanno costretta ad andare dove non volevo, non è così.
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esponi la cosa come un che va al di à della classica condizione del disadattato, quello che invece mi fa riflettere e che tu, ripiegandoti su te stessa, rifuti ciò che invece la ratio di una persona acculturata dovrebbe facimente superare, cioè affontare il problema di petto. credimi non ci sono ne sedute di psicanaisi, ne amici o amiche, qui ci vuoi tu e la tua volontà di cambiare, poichè soffri vuol dire che conosci e se conosci..., di una cosa devi però convincerti le cose nella vita non vanno, ne sono così come tu dici o ti appaiono, sai perfettamente che a prenderti per mano e portarti fuori da questo guscio, proprio perchè sei donna, sarà l'amore, di quelli romantici, un po contemplativi che creino i presupposti di una ottimistica attesa, un curioso attendere, la novità del cambiamento sarà la forza motrice del tuo uscire dalla tana, una carezza e il suo calore, l'intimità di un bacio che turba, la solidità di una relazione fatta di complici segreti che sarà quel proiettile in canna che riuscirà a spararti insieme al tuo lui verso la vera vita...piano piano non c'è fretta.
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Oltre il limite della disperazione c'è solamente il suicidio.
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Il tuo quadro è chiaro,
sei una bambina cresciuta in un determinato ambiente protettivo e tendenzioso al risultato e alla disciplina.
Da un certo punto di vista è positiva la cosa ma dipende come tu, in base ai tuoi schemi, l'hai percepito.
Se noti per un certo periodo della tua vita ti ha dato tante soddisfazioni ( i voti a scuola) però per motivi almeno per ora sconosciuti ti è nata una complicazione mossa dall'ansia.
L'ansia invalida tutto, lo so...io da una media dell'8 ero passato alla bocciatura.
Quindi è importante subito intervenire con una terapia sia cognitico comportamentale che farmacologica.
Hai paura di una relazione perchè sei diventata diffidente verso il mondo a causa della tua poca stima.
Ma c'è una via di uscita...devi lavorarci su -
Cara Joe,
mi viene spontaneo rivolgermi a te come se stessi parlando ad un amica perché nelle tue parole ho riletto la mia situazione, i motivi della mia frustrazione, le preoccupazioni sul futuro… Avrei potuto veramente essere io l’autore del tuo intervento e questa cosa, da un certo punto di vista, mi rende felice; ho pensato quanto sia curioso che persone che apparentemente nulla hanno a che vedere l’una con l’altra e che nemmeno si conoscono siano, in realtà, legate da un’ “affinità di pensiero” così sorprendentemente profonda. Mi ha fatto riflettere su tutte quelle volte che ho pensato di star scontando un’ “infelicità criptata”, incomprensibile, esagerata, immotivata agli occhi di tutti. L’incomprensione - talvolta l’indifferenza - di chi ci sta vicino, la paura di far allontanare le persone care facendo pesar loro troppo il nostro disagio, in una parola, la solitudine sono tutte esperienze che, come te, ho vissuto sulla mia pelle. Come te, e chissà quanti altri. Questo pensiero, per quanto banale, mi rende felice, mi fa sentire un po’ più “normale” e speranzoso.
Sono un ragazzo della tua stessa età (ho un anno di meno) e conosco perfettamente la sensazione di star vivendo un’esistenza “repressa”. Anch’io sono stato cresciuto dai miei genitori nel “culto” dello studio: esattamente come hai detto tu, mi è stato presentato il mondo della scuola come una realtà “normale” e familiare; mia madre durante i primi anni delle elementari mi ha seguito molto affinché svolgessi con cura i compiti, responsabilizzarmi; insomma, più o meno implicitamente i miei genitori hanno contribuito enormemente a inculcarmi l’idea dell’ “istruzione” come unico mezzo di affermazione, anche e soprattutto personale… con questo non voglio dire che mi obbligassero a studiare, che mi punissero se prendevo un brutto voto perché la realtà è che loro non mi hanno mai costretto in nulla (di questo sono loro molto grato) e credo che se alla fine del liceo avessi voluto prendere una strada diversa dall’università me lo avrebbero senz’altro permesso… ma non ne sarei stato in grado io in prima persona perché studiare era diventato l’orizzonte della mia normalità.
Lo studio è sempre stato un impegno nel quale e per il quale ho consumato moltissima passione ed energie (ricordo ancora le ore sottratte al sonno per preparare qualche interrogazione ai tempi delle superiori, o anche adesso i tour de force estenuanti nei periodi di esami: ti scrivo appunto mentre sto facendo una pausa!); lo studio - certo, mi riferisco a questo mio modo di viverlo in maniera fin troppo esasperata - mi ha insegnato tanto in termini di responsabilità e civiltà ma mi ha tolto anche tantissime opportunità di poter vivere pienamente la mia adolescenza. Non ho mai trovato il tempo, almeno prima di questi ultimi 2 o 3 anni, di avere un hobby (che so, suonare uno strumento), fare sport, coltivare una relazione… qualsiasi cosa… perché mi sembrava mi sottraesse tempo prezioso per studiare. Essere uno studente modello, impeccabile, che - almeno sul piano della “preparazione scolastica” - non venisse mai colto in fallo mi dava l’illusione di essere completo (magari, con un po’ di superbia, di essere migliore dei miei compagni normali).
Risultato: durante i primi anni di università ecco che arriva la botta di realtà. Tostissima. Mi iscrivo a ingegneria (con poca passione, stupidamente), i primi tempi me la cavo bene finché arriva l’esame sul quale mi blocco (fisica). E lì crolla tutto l’altarino… cade la maschera di studente ineccepibile che tenevo su da 15 anni. Lo studio, e in particolar modo, il riuscire bene nello studio era sempre stato il pilastro sul quale si reggeva la mia vita e che giustificava tutte le esperienze e le emozioni per il quale avevo immolato. E’ stato un periodo molto duro, una delle crisi più nere che avessi mai attraversato, costernata da crisi d’ansia e attacchi di panico… Ad oggi mi sono convinto che quella crisi fosse inevitabile perché mi ha fatto riflettere su come avessi sempre vissuto un’esistenza non completamente mia, come se stessi impersonando il ruolo di un attore in una farsa teatrale alla fine della quale, dietro il sipario, restavano solo i miei complessi, la mia incurabile timidezza e un profondissimo senso di inferiorità e di incapacità di vivere.
Questo per dirti che le crisi, come quella che ora stai vivendo, a volte sono una grande benedizione perché sono il modo che il nostro cervello ha per farci aprire gli occhi. Sono dei momenti nei quali ci troviamo faccia a faccia con noi stessi, costretti a fare un bilancio del nostro trascorso. E come avrai capito il mio bilancio segnava un enorme segno meno. A quel punto avevo due scelte, però: abbandonarmi alla disperazione, farmi corrodere giorno dopo giorno dal senso di fallimento totale, farmi sedurre (chi sa) dal desiderio di farla finita (perché veramente - ora ne parlo con fin troppa leggerezza forse - le cose per desiderare il contrario non erano molte) oppure rimboccarmi le maniche e imparare quello che i libri non mi avevano mai insegnato, imparare a vivere a 22 anni. tuttora, da un annetto a questa parte, mi sto rimboccando le maniche e sto muovendo piccolissimi passi per costruire un’autostima che regga, stavolta, su basi concrete. NON è assolutamente facile, i momenti di debolezza e di sconforto sono dietro ogni angolo… e se vai a leggere il mio ultimo intervento su questo forum capirai bene cosa voglio dire… ma questa è la vita. Spesso mi sento solo davanti ad una lotta impari e penso che da solo non avrò mai le forze per imporre un cambiamento sostanziale. Tuttavia, non bisogna mai cadere vittima del disfattismo: immergersi troppo nell’abisso ci fa perdere di vista il faro che illumina il sentiero verso i nostri obiettivi. Bisogna darsi degli obiettivi, anche piccoli, stupidi, quotidiani ma che costituiscano per noi un tavolo di prova. Bisogna chiederci cosa vogliamo da noi stessi e dal nostro futuro da qua ai prossimi 5 anni: chiediti cosa sei disposta a sacrificare perché quell’immagine di futura felicità possa incarnarsi nel tuo presente. Elucubriamo meno e agiamo di più, sospendendo l’eccessivo giudizio di autocritica. Osa voler essere felice!
E mentre scrivo questo sappi che sto incitando anche me, perché ne ho bisogno quanto te, perché non voglio assolutamente credere che alla nostra età muoiano già le speranze di poter vivere una vita degna di essere vissuta!
(Nota personale e opinabilissima: il consiglio di alcuni utenti di ricorrere a psicofarmaci “a priori” - sia in questo post che in altri che ho letto - mi lascia un po’ perplesso. Non voglio dire che ricorrere alle cure di uno psicoterapeuta sia inutile, senz’altro ci sono situazioni PATOLOGICHE serie che giustificano un intervento in quella direzione… Nella tua situazione, Joe, che voglio credere sia la stessa in cui mi trovo io, cioè quella di due ragazzi molto giovani scoraggiati e depressi (come è normale che succeda) per il proprio futuro, BENEDETTA sia la crisi! La crisi esistenziale è la prova della non infallibilità dell’uomo, è il pungolo del cambiamento, è la fiamma che ci ustiona ma che al contempo, quando si raggiunge la maturità giusta, alimenta il nostro desiderio di rivalsa! Gli psicofarmaci, secondo me, a volte non fanno altro che estinguere questa fiamma, rivelandosi solo una soluzione temporanea (ripeto: per questo specifico caso! E’ un po’ come andare all’ospedale per curare l’influenza). Sulle spalle dell'uomo pesano milioni e milioni di anni di qualsivoglia forma di sofferenza eppure, anche prima della nascita dello psicofarmaco, è riuscito, in qualche maniera, a superare se stesso e i propri limiti. Questo mi fa sperar bene che insito nel DNA di ognuno di noi sia già radicata la forza sufficiente di cui abbiamo bisogno) -
la libertà totale, quella di decidere in piena serenità, in totale libertà non esiste. è molto semplice. non esiste.
la tua personalità si è costruita con grande influenza dei genitori, ti hanno modellato, inculcato idee, schemi. ora tu hai imparato ad agire secondo quegli schemi, non ne conosci altri. esegui ciecamente finché l'ansia ti viene in soccorso e ti avvisa che c'è qualcuno che stai dimenticando. ovviamente, la tua persona.
potresti riflettere su quest'aspetto, senza stare a giudicare persone ed eventi: sottostare agli schemi dei genitori è del tutto normale (addirittura utile) quando sei bambino. da bambino hai bisogno dell'affetto dei genitori per sopravvivere. se ci pensi, facevi di tutto pur di avere la riconoscenza dei tuoi; ed è così per tutti. ora però sono cambiate le circostanza, non hai più bisogno del riconoscimento genitoriale per sopravvivere. puoi iniziare a scegliere altre strade. fondamentale è imparare a chiedersi cosa si vuole, cosa si desidera. chiedersi ogni tanto, davanti ad una decisione: è quel bambino che ha bisogno di affetto che sta agendo o questa cosa corrisponde ai miei bisogni? la risposte che si trovano non servono per giudicare negativamente i genitori o te; prendili senza giudicare, come tesoro su cui costruire (che poi vuol dire scegliere per te). è un lavoro certosino, per niente veloce ed immediato. però è indispensabile per iniziare a stare meglio ed allontanarsi dai genitori.
in bocca al lupo -
Ringazio tutti della attenzione e dei consigli. So benissimo che mi serve tanta forza di volontà per uscirne ma ci ho provato più volte, riuscendo a volte ad illudermi che tutto potesse andare sempre meglio, ma poi appena c'era qualche delusione da parte di altri non riuscivo e tuttora non riesco a vedere qualcosa di positivo che appunto non siano i miei interessi più veri. E poi ci sono i momenti in cui esplodo e non mi resta che piangere e disperarmi per sfogarmi e ricominciare tutto da capo, raccogliendo pezzi di me lasciati ovunque. Provo tanta rabbia e non capisco se sia rivolta a tutti coloro che mi fanno del male o a me stessa che permetto loro di farmene e di non essere abbastanza forte da dire "basta, devo essere più egoista e pensare a me stessa". Ma poi penso che se i rapporti umani si troncano cosa resta di bello? Io ormai sono molto diffidente e scettica, non riesco a fidarmi e forse a volte non voglio neanche trovare la forza di impegnarmi perché so che comunque non piacerei, sono troppo diversa dalla gente comune, e per quanto ogni giorno mi ripeta che forse è anche un bene perché almeno ho una mia testa e non sono nè banale nè mediocre, e per me questo è importante, ho sempre la voglia di riuscire a vivere in mezzo a tanta banalità e mediocrità perché secondo me la vita è questa, non ci si può isolare nel proprio mondo fatato, si deve affrontare la vita di tutti i giorni, superare ostacoli, non essere sempre inetti; voglio imparare a buttarmi nel caso quotidiano senza sentirmi sempre un peso addosso, essere in grado di reagire e non subire sempre passivamente qualsiasi cosa. Ma non so da dove cominciare, non ho un punto di inizio, ormai mi risulta difficile anche vivere nel mio paesino, perché qui non trovo più stimoli, i miei coetanei escono e io lo faccio solo occasionalmente e raramente, ma so che anche se me ne andassi comunque porterei con me tutta questa frustrazione e sarebbe difficile adattarmi ad una vita diversa con persone diverse e sconosciute che al contrario di me, hanno continue esperienze in tutti gli ambiti, so che mi sentirei sempre a disagio, incapace. Non so come trovare il coraggio.
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