Uno dei punti centrali sta proprio nella frase quotata: "Io fra dieci anni non mi vedo da nessuna parte". Io personalmente mi chiedo se tra dieci anni saro' ancora vivo, e immaginare un futuro concreto mi sembra una roba fantascientifica.
L'incapacità di una visione progettuale della propria vita, è purtroppo uno dei (dis)valori molto frequenti nella generazione giovanile del nostro tempo.
E' un problema, innanzitutto, educativo: quindi proviene già dall'impostazione con cui ci crescono i nostri genitori.
Molti forse lo hanno dimenticato (o non lo hanno mai saputo), ma il fine di una educazione corretta all'interno della famiglia è proprio quello di dare al figlio gli strumenti orientativi per compiere le grosse scelte della vita, e per avere un sistema basato su delle certezze.
Mai come oggi l'ambiente ha avuto a disposizione strumenti di così dispotica invasione delle coscienze: l'educatore - o il diseducatore sovrano - è l'ambiente, con tutte le sue forme espressive.
Educare significa "introdurre una persona nella realtà".
Ma non si introduce una persona nella realtà se non la si introduce nel significato della realtà.
La risposta alle due domande fondamentali..: "che cosa è ciò che è? che valore ha ciò che è?" Una persona è introdotta nella realtà... quando ne sa dare un'interpretazione sensata.
Ora, la cultura attuale è dominata dalla negazione di questo principio: non esiste una realtà da interpretare. Esistono solo delle interpretazioni della realtà, sulle quali è impossibile pronunciare un giudizio veritativo, dal momento che esse non si riferiscono a nessun significato...
Nessun vero discernimento è oggi possibile, se non si pone come radicale e totale alternativa alla posizione che nega che esista un originario rapporto della persona con la realtà.
Poiché "non ci sono fatti, ma solo interpretazioni" (F. Nietzsche), diventa impossibile dare un giudizio di verità sopra di esse.
Ogni interpretazione ed il suo contrario è ugualmente valido. La realtà è semplicemente ..questo gioco di interpretazioni. Cioè: è semplicemente privo di senso porsi la domanda della verità.
E questo è in definitiva il "relativismo" contemporaneo che conduce all'incapacità di scelta, e nella vita avviluppa e trattiene molti in un brodo gelatinoso dal quale sembra sempre più difficile uscire.
Questa dissoluzione del reale nel gioco senza fine delle interpretazioni ha avuto un effetto devastante: ha estenuato la passione per l'uso della ragione.
Essere persone ragionevoli, che cosa significa se non cercare il vero? Se non discernere il vero dal falso? Se non desiderare di sapere "come stanno le cose"?
...vale ancora la pena sobbarcarsi la fatica del ragionare, se qualsiasi conclusione ha lo stesso valore del suo contrario?
Seconda implicazione: lo smarrimento del senso della libertà. Ci si priva della sua drammatica e grandiosa consistenza, poiché la si vive riducendola a mero arbitrio.
Arbitrio significa: libertà che si esaurisce interamente nella scelta fra infinite possibilità aventi tutte lo stesso valore, dal momento che sono prive di una qualsiasi radicazione in un senso obiettivo. Poiché l'essere è neutrale di fronte ad ogni impatto che la libertà ha con esso, una scelta vale l'altra.
Questa è certo una libertà: "libera dagli affanni della realtà, ma libera anche dalle sue gioie, libera dalla sua benedizione" (S. Kierkegaard, Sul concetto di ironia).
Questa dissoluzione della libertà nella pura scelta, genera un senso di "stanchezza" interiore: ed oggi si può vedere stampata nel volto di tanti ragazzi e giovani.
Terza implicazione, forse la più importante. Viene meno il senso della propria vita come una storia.
Il tempo che passa non è più vissuto come occasione perché si maturi, si cresca nell'essere verso la propria pienezza, e nella fedeltà ad una scelta che per il suo valore è stata definitiva.
"Ora - per sempre": i due poli della nostra vicenda storica. Il secondo è tolto, e così anche il primo ha perduto ogni serietà. Ad esempio, le convivenze spesso preferite senza serie ragioni al matrimonio sono un segno di questa condizione interiore.
È possibile rieducarsi in questo contesto? È possibile riavere la passione per la verità, il gusto per la libertà, unite alla gioia della definitività di una propria scelta?
L'educazione attuale è un'educazione che non introduce nella realtà, ma dentro al gioco senza fine delle contraddittorie interpretazioni della realtà: dei vari significati decisi liberamente da ciascuno.
Da una parte un'esistenza umana vissuta da una persona che, sganciata da ogni appoggio al reale, vuole essere libera nel senso "astratto" del termine: rimandare il più possibile le decisioni più serie; si ridicolizza ogni definitività nelle decisioni.
Si vanifica il reale dell'esistenza (e quindi della libertà).
Essere liberi è ormai sinonimo di assenza di impegno: "sono libero" vuol dire anche ormai nel linguaggio comune, "non ho impegni".
A mio parere l'unica proposta ragionevole è quella che consiste nel re-introdursi come persona umana nella realtà. E per far questo occorre reintrodurre un sistema di valori, cosa che la psicologia spesso evita di fare.
Ciascuno di noi esiste come un essere limitato in un mondo limitato, ma la sua ragione è aperta all'illimitato; a tutto l'essere.
Ne è prova la conoscenza della sua finitezza e limitatezza: "io sono, ma potrei anche non essere" (H.U. von Balthasar).
Ne è prova quel senso si insoddisfazione che proviamo continuamente.
Introdursi nella realtà significa guidarsi verso la pienezza interiore, la quale poi sarà guida e bussola per qualsiasi scelta si faccia nella vita. Sia per lo studio, il lavoro, l'affettività e tutte le cose cui la vita stessa ci chiama a rispondere.