Mostra di PiùCiao a tutti!
Dopo diverso tempo ritorno con una riflessione sulla mia esperienza passata qui che si può estendere anche alla vita reale.
Ho 30 anni e nel 2022 mi ero iscritta a questo forum circa 6 mesi dopo la morte di mio padre a causa di un ulteriore fattore di stress importante rappresentato dalla richiesta del mio compagno di trasferirmi in un'altra regione, cambiare casa comprandone una nuova e allontanarmi da ciò che mi rimaneva della mia famiglia (mia sorella e il mio nipotino).
Avevo spiegato come mi trovassi in una situazione probabilmente di lutto complicato per via dell'età (perdere un genitore a 28 anni implica delle dinamiche diverse dal perderlo a 60), dell'assenza di figli (perdere un genitore quando si è già genitori è diverso dal perderlo quando non hai ancora figli), del fatto che mio padre avesse da sempre rappresentato l'Unico genitore in presenza di una madre fortemente abusante e violenta e per il fatto che sono stata il suo unico caregiver, ma anche il suo medico nel periodo in cui il cancro lo stava consumando con tutti i sensi di colpa derivanti dal sentire o temere di "non aver fatto abbastanza per salvarlo". Non mi sono appoggiata ad una struttura ospedaliera perchè il suo desiderio era quello di stare a casa e l'unica persona con cui mi interfacciavo era l'oncologo. Per questo motivo io sono stata con lui ogni giorno durante l'ultimo anno di progressiva agonia e mi è morto tra le braccia in un modo che non auguro a nessuno di vedere e provare e che purtroppo ho stampato nella mia mente. Impossibile descrivere cosa si provi di fronte a quel calvario, il senso di impotenza, di disperazione, ma soprattutto di scadenza ...come un condannato a morte. Il condannato a morte non è solo colui che morirà fisicamente, ma anche chi ama questa persona e sa perfettamente che anche se non fisicamente morirà anche lui, almeno in parte, quel giorno. "Quel giorno" quando si parla di malattia cronica di questa gravità potrebbe anche essere "da un momento all'altro" e quindi al senso di essere comunque un condannato a morte si aggiunge uno stato di iperattivazione costante che ricorda quello stato di ipervigilanza e terrore (che talvolta si traduce in sindrome da stress post traumatico) di un soldato in guerra.
Potrei andare avanti a descrivere altri aspetti che complicano questo lutto, ma la verità è che chi non sa cosa significa ricevere una diagnosi di morte certa della persona che si ama di più al mondo non può minimamente capire. Chi capisce questo ma pensa che questo dolore possa essere "concesso" solo ad un genitore a cui muore il figlio non può capire perché non vuole capire che non esiste una gerarchia del dolore di fronte alla morte di chi si ama e che mentre una persona può avere un pessimo rapporto con i suoi genitori, un'altra può amarli più di ogni altra in base alle esperienze della vita.
Il giorno della diagnosi avevo 24 anni e da quel momento ho smesso di essere giovane, ho smesso di poter avere anche solo qualche istante di spensieratezza. Quando uscivo con gli amici non potevo non pensare che mentre la loro principale preoccupazione fosse come divertirsi la mia era come ritardare il momento della morte del papà. Loro facevano progetti a lungo termine citando date in cui sapevo che il papà molto probabilmente non ci sarebbe stato più. Ogni volta che ero fuori di casa temevo che potesse accadere qualcosa e di non fare in tempo a soccorrerlo. Mentre vi racconto questo sono consapevole che possa sembrare ad alcuni incomprensibile e che vi saranno le solite persone che si sentiranno in diritto di giudicare, senza capire la profondità del dolore che può provare la persona che cerca con fatica di aprirsi.
Quando avevo scritto su questo forum mi sono sentita aggredita da alcune persone che senza comprendere minimamente chi avessero di fronte hanno iniziato ad insinuare che fossi immatura e sbagliata perché dopo 6 mesi non mi ero ancora ripresa come secondo loro avrei dovuto. In quel momento di forte dolore e quindi di fragilità estrema quelle risposte hanno esacerbato la mia disperazione e sono stata contenta di aver chiesto agli amministratori di cancellare il mio account e li ringrazio per avermi riaccolto.
Ora, sono voluta rientrare oltre che per riprovare a trovare uno scambio costruttivo anche per cercare di far comprendere a quelle persone che con troppa facilità sputano sentenze che quando si tratta di sentimenti e di tragedie ogni parola andrebbe pesata con cura. Tutti i Mali del Mondo derivano dall'attacco prima dell'ascolto, dalla violenza prima della comprensione, dal pregiudizio, dal senso di superiorità nei confronti dell'altro che viene sminuito nel suo essere, dall'incapacità di entrare in empatia con gli altri. In quel momento mi hanno aiutato la preparazione medica e la razionalità, ma soprattutto l'abitudine all'autoanalisi e all'introspezione che conservo fin da piccolissima (mi serviva per sopravvivere). Non posso però non pensare a tutte quelle persone che chiedono aiuto e che ricevono questi calci nelle loro ferite ancora sanguinanti invece che supporto senza avere strumenti efficaci a supportarle.
Tutti dovrebbero ricordarsi di pesare sempre le parole quando pensano di poter dare dei consigli utili, di riconoscere con umiltà quando non si comprende a sufficienza la situazione dell'altro senza scadere nell'effetto Dunning-Kruger e nel caso non si sappia cosa dire decidere di "limitarsi" a supportare umanamente chi soffre con una parola dolce e positiva che a volte piò fare più di mille prediche.
Auguro a tutti di poter trovare la strada per stare Bene.
Un abbraccio.
Ciao Cassandra, innanzitutto bentornata! Spero che questa volta la permanenza sul forum sia più piacevole per te.
In merito al dolore vorrei lasciarti la mia opinione che si basa su una relativamente lunga storia di dolore e l'elaborazione di quattro lutti importanti.
Quando "siamo" nel nostro lutto, viviamo l'assoluto, siamo fragili ma inarrivabili, inaccessibili. Ogni storia di dolore è un percorso individuale e solitario. Come un viaggio in treno, dove qualcuno sale, qualcuno scende, qualcuno parla, altri guardano o sorridono e alcuni si vedono dai finestrini come ombre. Dentro di te sei fragile e le ombre possono fare male se ti voltano le spalle o anche se escono dal cono di buio.
Nei miei lutti sono stata molto sola e molto chiusa. Il dolore fisico mi ha aiutato ad ancorare, a dare corpo a quel dolore nell'anima. Ho scelto di condividere poco e nonostante quel poco, alcune parole, alcuni gesti non sono stati utili, anzi, mi hanno fatto male. Ma che ne può sapere uno che sta fuori in che punto del mio viaggio mi sto trovando? Magari quella frase risultante urticante in un altro momento avrebbe avuto un altro effetto.