Una parte di me vuole vincere, una parte di me vuole perdere, sono in bilancia e nessuna delle due riesce a prevalere. Coloro che non decidono sono ignavi, il girone più distante da Dio.

Percepirsi inaccettabili è mania di controllo?
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Coloro che non decidono sono ignavi, il girone più distante da Dio.
Tecnicamente, gli ignavi sono collocati nell'antinferno. Il girone più distante è quello della palude ghiacciata di Cocito, dove sono puniti i fraudolenti contro chi si fida, dunque i traditori
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Tecnicamente, gli ignavi sono collocati nell'antinferno. Il girone più distante è quello della palude ghiacciata di Cocito, dove sono puniti i fraudolenti contro chi si fida, dunque i traditori
Apparentemente sì, ma in realtà il fondo del pozzo è appena prima della cima. Non esiste il sopra e il sotto nel pozzo, quindi scendere equivale a salire. È solo il mio pensiero, non ho fonti da citare a riguardo.
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Riflessione di passaggio: più passa il tempo, anche interagendo in questo sito, più mi rendo conto oggettivamente che il lato di me che trovo non amabile era deterministicamente inevitabile; forse non è neanche un lato, è solo una forte impressione che però non si incastra con tutto il resto. Devo ammettere che ha anche un risvolto positivo, mi fa stare con i piedi per terra. Fatto stà sono instabile nella sua percezione, un giorno mi sembra un pigmeo, un altro è un gigante. In generale sono stabile quanto il tempo su un passo di montagna, e non solo in questo.
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Continuo l'autoanalisi. Rileggevo i miei scritti, probabilmente l'unica soluzione è davvero applicare l'attenzione divisa anche su questa carica emotiva. Non che ami l'idea, in quanto crea una sorta di disumanizzazione nell'estrarre dall'identificazione. Vedremo: sono solo riflessioni.
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Riprendendo il filo dell'autoanalisi.
Forse ho capito quale è il nocciolo della questione, io non accetto una certa persona a livello emotivo, non odio questa persona, ma effettivamente la rifiuto
L'idea di spostare il fulcro dell'accettazione "all'esterno", ossia accettare quella persona per accettare me stessa, è interessante. Considerando che si tratta di una persona ormai morta di vecchiaia, ciò che resta da accettare è l'immagine residua; diverso sarebbe se potessi interagirci in attenzione divisa.
Anche se l'immagine distorta di me può avere la matrice sopra descritta, il nocciolo più profondo della non accettazione non deriva da quella persona, ma dalla mia famiglia. È un bagaglio famigliare: idee perbeniste di stampo cattolico, una sorta di ipocrisia che non ammette il difetto e non vuole vederlo.
Lo stesso vale per un mio amico cresciuto nel medesimo contesto sociale, la cui famiglia non ha mai ammesso i problemi, rendendo dunque implicita l'idea che siano inaccettabili.
Come ho scritto, si tratta di persone "cieche" e con scarse risorse mentali: inutile portare rancore. Il problema è che ho interiorizzato tali idee perbeniste di giudizio, non solo a parole, ma associandole al trauma in sé. Dunque, non mi sono state fissate solo a parole dalla mia famiglia, ma in maniera indelebile dal trauma stesso, attraverso la proprietà associativa. Per questo l'autogiudizio è così forte in me.
Devo però ammettere che questo sito è una vera e propria palestra. Interagendo con altri ho smorzato notevolmente la carica emotiva "pesante" di autogiudizio, anche se vale meno per la diffidenza atavica.
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Il non accettare una persona, trovare respingenti alcune sue parti (o esserne altamente attivati), è perché quella specifica parte risuona in profondità dentro di noi, e spesso per motivi difensivi non vogliamo vederla in noi stessi (ci provoca troppo disgusto) allora la notiamo nell'altro, è più "facile" proiettare il nostro disgusto e non accettazione al di fuori di noi. Integrare tutte le parti, anche quelle contenti storture e brutture (spesso sono bias...) è la grande fatica per costruire un "me" intero.
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Il non accettare una persona, trovare respingenti alcune sue parti (o esserne altamente attivati), è perché quella specifica parte risuona in profondità dentro di noi, e spesso per motivi difensivi non vogliamo vederla in noi stessi (ci provoca troppo disgusto) allora la notiamo nell'altro, è più "facile" proiettare il nostro disgusto e non accettazione al di fuori di noi. Integrare tutte le parti, anche quelle contenti storture e brutture (spesso sono bias...) è la grande fatica per costruire un "me" intero.
Grazie Paoletta, ci rifletterò
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Seguito autoriflessivo.
Penso di aver sciolto un nodo: il non "investire" si origina da un infantilismo.
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Chiudo il thread su richiesta dell'autrice.
Ailene per lo Staff di moderazione
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Ailene
Thread chiuso.
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