Inutile percorso di aiuto psicologico

  • Ciao Asia mi dispiace molto per la situazione che stai passando, ma da quanto scrivi mi sembra di capire che hai una soglia del dolore molto forte,motivo per cui mi sento di dirti che nel tuo caso soltanto la psicoterapia non fa effetto ma è meglio che tu ti rivolga prima ad uno psichiatra che potrebbe farti la diagnosi e darti intanto un aiuto farmacologico e successivamente prendere in considerazione la psicoterapia se poi proprio non ti trovi puoi sempre cambiare terapeuta.Per quanto riguarda la psicoterapia ti dico che a prescindere dalla fortuna o meno di trovare un professionista valido,devi sempre tener conto che la psicoterapia include anche sofferenza motivo per cui va sempre intrapresa con grande consapevolezza. Ti dico questo anche per esperienza personale perché anche io sto facendo terapia, il mio psicoterapeuta è molto bravo mi ha aiutato tantissimo però questo non toglie il fatto che questo percorso delle volte mi fa anche soffrire perché cn lui sto rimettendo in atto le dinamiche che metto in atto fuori cioè vorrei le sue conferme,vorrei che tutte le sue attenzioni fossero solo per me,lo odio quando ad un cero punto mi dice ci vediamo al prossimo appuntamento,quando invece starei per sempre dentro quella stanza a parlare cn lui.Questo per dire che non è affatto un percorso semplice spesso noi pazienti vogliamo sentirci unici,vogliamo tutte le attenzioni ma se il terapeuta ci assecondasse non farebbe i nostri interessi ovviamente deve essere empatico,deve capirci ma assecondarci no e questo capisco che è molto duro da accettare.Ti dico questo perché devi cercare di capire se proprio non ti trovi cn lui oppure perché quando hai intrapreso questo percorso ti aspettavi di trovare una persona che ti assecondasse perché credo che tante persone ad un certo punto abbandonano la terapia perché non riescono a sopportare più la frustazione di accettare che il terapeuta non può essere un amico,non può risolvere i nostri problemi cn una bacchetta magica ecc quindi a quel punto la frustrazione è talmente grande che si abbandona la terapia ma nel momento che lo facciamo ci togliamo la possibilità di poter cambiare veramente,io pure qundo le sedute mi fanno soffrire vorrei abbandonare ma so che farei un torto solo a me stessa.Per quanto riguarda l'indifferenza della gente ti capisco purtroppo quello che vivi tu nell'ambiente lavorativo lo vivono la maggior parte delle persone bisogna fortificarsi anche se non è facile ma non puoi permettere a nessuno di demoralizzarti talmente tanto di farti pensare al suicidio in fondo le persone che si comportano male cn gli altri sn persone che fanno male a loro stesse perché non hanno altra arma per farsi valere sn i primi a non amarsi.
    Un abbraccio :)

  • Grazie a tutti per i vostri interventi, apprezzo molto e spero di far in tempo a rispondere ai vostri spunti , di sicuro ci rifletterò su.
    Riguardo al discordo resistenze o frustrazione relativa alla psicoterapia, posso dire che fondamentalmente l'aspettativa che è stata disattesa è relativa alla fiducia. Speravo di sentirmi capita, dal momento che non parlo mai dei miei problemi interiori proprio per la paura di sentirmi dire che sono tutte schiocchezze. Il fatto è che queste "sciocchezze", che per altri lo siano o meno, a me fanno soffrire davvero. E' dura convivere con l'angoscia costante e osservare che, pur resistendo e andando avanti, le cose non migliorano, anzi il mio stato d'animo peggiora col passare del tempo. Me ne accorgo perchè ogni anno perdo un pezzo di me, nel senso che anche quelle cose che prima mi davano un attimo di sollievo, adesso è come se non avessero più senso. I rapporti con gli altri poi non parliamone, fino a qualche anno fa riuscivo anche a provare qualcosa di diverso dalla paura, adesso ogni conversazione per me è una trincea in cui cerco di evitare aggressioni (solo verbali, per fortuna).
    Può essere che abbia frainteso, magari il minimizzare, il distacco, facciano parte di un metodo. Ipotizzo, non ho termini di paragone. Un'altra sfumatura che mi è tornata alla mente riflettendo sulle sedute in cui parlavo del rapporto con i colleghi: mi sono ricordata alcune frasi dello psicologo in cui mi faceva capire che se la mia personalità era tale da farmi diventare, nelle dinamiche di gruppo, una specie di capro espiatorio dell'aggressività altrui, ci avrei dovuto convivere. Mi parlava di ruoli come se fossero qualcosa di fisso e che la maturità consisteva nell'accettazione, fondamentalmente.
    Ora tra i vari pezzi di me persi per strada, c'è anche quel coraggio, o coraggio da disperazione, che mi aveva spinta a rivolgermi ad un professionista, per cui al momento non riuscirei a rimettermi in gioco, però proverò a darmi tempo.
    Riguardo allo psichiatra, oltre all'attuale mancanza di coraggio, mi frena anche l'idea di dover assumere farmaci. Ammesso che me li prescrivesse, perchè in realtà non ho sintomi invalidanti e gli episodi in cui l'ansia mi ha provocato veri e propri blocchi da panico, si contano sulle dita di una mano. Sono piuttosto incline alle dipendenze, lo vedo con il fumo che ho provato ad interrompere svariate volte. Temo di entrare in un circolo che, se da una parte mi offre qualche vantaggio, dall'altra rischierebbe di provocarmi conseguenze difficilmente gestibili. Immagino che un farmaco che ti tolga l'ansia, in un certo senso ti "addormenti", non perchè si perda la lucidità o si sia intontiti, ma mi immagino una percezione delle cose in cui tutto ti scivola addosso, non so se rendo l'idea. Ti toglie un disagio ma non ti risolve il problema di base, perchè dietro quella sorta di serenità, le mie insicurezze sarebbero uguali a prima ed invece è lì che vorrei intervenire per cambiare le cose.

  • Citazione

    Speravo di sentirmi capita, dal momento che non parlo mai dei miei problemi interiori proprio per la paura di sentirmi dire che sono tutte schiocchezze. Il fatto è che queste "sciocchezze", che per altri lo siano o meno, a me fanno soffrire davvero.

    ciao Asia, ho recuperato il topic e questa frase mi ha dato da pensare.
    In parte, mi riconosco in questo tuo atteggiamento. Ed è un atteggiamento di resistenza, fondamentalmente, di non condivisione. Dalla sfiducia sembri già partita insomma, un po' come me. Ma purtroppo se non "vuotiamo" mai il sacco sfalsiamo le coordinate del colloquio, togliamo al terapeuta la possibilità di orientarsi nella nostra realtà.
    E' vero che è difficile pure orientarci noi, eh, vuotando il sacco.
    La mia terapeuta ogni tanto si esaspera, mi dice "abbassi il ponte levatoio, lei è inespugnabile" :D
    A suo dire, troppi anni passati a tirare avanti a testa bassa in mezzo ai casini cavandomela da sola, rinunciando a ricevere aiuto del tutto dopo una serie di rifiuti clamorosi anche in circostanze "estreme". (le malattie dei miei cari, ad esempio, nelle
    quali ho sperimentato con sgomento l'allontanamento e i "no, grazie" di chi pure teoricamente era coinvolto quanto me).
    E altre "cosette" :rolleyes:

    sugli psicofarmaci non avere pregiudizi, ma per non rischiare di averli prescritti ad minchiam devi purtroppo partire da una massima sincerità dei tuoi sintomi , sentimenti, umori. E in ogni caso il professionista serio non li descrive come fossero caramelline. Lo psichiatra che lavora in sinergia con la mia terapeuta, ad esempio, a meno di crolli e crisi gravi mi ha detto che sarebbe un grave errore prenderli in questo momento. E' anche possibile che proprio parlando, o cominciando ad accennare dei tuoi "grumi" più interiori da ansia generalizzata si cambi diagnosi, si passi a depressione o altro ancora.
    L'accettazione è sicuramente parte indispensabile della maturità, ma come maniera di mettersi al lavoro per salvare il salvabile e ottenere miglioramenti, sollievo. Prova un minimo a "sbloccare" questo tuo livello più profondo.
    Può darsi che qualcosa migliori (psicoterapeuti e psicanalisti sono spesso di fronte a clienti "da apriscatole"), può darsi che tu abbia conferma di dover cambiare terapeuta e approccio. Ma parti forzando un po' il blocco, o provandoci la prossima seduta... Condivido la tua stessa, pazzesca fatica, ma non ci sono scorciatoie in alcuni casi. Ti abbraccio.

  • Asia, tu la comprensione te la meriti. Togliendo il fatto del suicidio di mezzo, in cui comunque in questo caso lo sconforto è lecito e legittimo, mi trovi d'accordo su tutto quello che dici.
    Mi hai colpito in positivo quando hai detto che le solite quattro frasi fatte del cavolo non servono a niente e che è ridicolo riallacciare i rapporti con i parenti se non è possibile. Consigli del cavolo che non ti serviva uno specialista per capire da sola e che nel tuo caso ovviamente non servono.
    La verità, cara Asia, è che agli altri di te non frega niente perché è facile parlare sugli altri ma volevo vedere loro al posto tuo cosa avessero fatto.
    Sei bersagliata da tutti i lati. Questa non è vita. È bella in se la rima che hai fatto nel finale anche se non voglio vederti fare brutti gesti. I tuoi sono problemi serissimi, dispiace per la solitudine, non ci fosse quella sarebbe meglio, forse di molto.
    Forse nella tua situazione sarebbe utile una grandissima forza interiore. A dare i consigli che non servono sono tutti bravi.
    Ciao Carissima.

  • Mi associo a quanto dice Settembre per la comprensione che meriti e per i problemi che affronti... unicamente ti chiedo di fare attenzione a quanto in realtà lasci *davvero* passare di te in terapia. Se con questo professionista o un altro più adatto, non so, ma questa tua lunga disabitudine a chiedere aiuto, questa rinuncia in partenza ad essere capiti , fondata su mille cose dure e oggettive, diventa una corazza più forte di quanto non ci rendiamo nemmeno conto.
    E complica le cose anche a chi noi stessi coinvolgiamo per provare a smuovere e migliorare la situazione.
    Può darsi che sia un dubbio del tutto mio, per la somiglianza di alcune cose che vedo fra noi, ma non ho potuto fare a meno di chiedermi se in questo tuo tentativo comunque importante e vitale davvero come dice Poletti - e come succede ancora a me - tu non sia partita e ancora in qualche modo sia "fermata".

  • Sicuramente il mio non è alzare un muro contro tutti per poi isolare la vittima e farla morire. Io dico che in casi estremi gli equilibri sono precari. Ovviamente Asia se può fare qualcosa allora è chiamata a farla, anche se gli auguro qualcosa di concreto, degli amici. Possibilmente non bisogna isolarsi come al tempo stesso non bisogna andare nella bocca degli squali. Bisogna giostrarsi bene.
    Se poi per psicologo intendi un essere umano che ti può confortare e dare buoni consigli, allora io ti dico vacci pure, ma possibilmente evita i medicinali. E alla fine la gente diventa pazza e muore per via della solitudine e maltrattamenti, perciò fosse bello se Asia trovasse qualche amico. La ragazza vive i mali dell'epoca in questo esatto periodo, un periodo in cui la pazienza della gente viene messa a prova estrema. Se supera questo fosso di qualche mese, allora ce la farà e ce la deve fare perché io credo nella forza delle persone. Ciao a tutti.

  • Speravo di sentirmi capita, dal momento che non parlo mai dei miei problemi interiori proprio per la paura di sentirmi dire che sono tutte sciocchezze

    E se la chiave fosse proprio questa? Il non aprirsi perché sono tutte sciocchezze?
    A parte il fatto che mi sembra corretto dover parlare con il tuo terapeuta di questo tuo disagio, ma ho come l'impressione che da questo spunto possa nascere una sorta di risvolto positivo.

  • Nelle sedute avevo parlato delle mie difficoltà a rapportarmi con gli altri, nello specifico con i colleghi, citando vari episodi che mi avevano fatta star male.
    Ho parlato della mia famiglia, narrando fatti che mi hanno fatta scoppiare a piangere, facendomi provare un grande imbarazzo perchè lo psicologo mi guardava in silenzio e questo mi esasperava ancora di più. Il tutto per concludere che dovevo riallacciare i rapporti con la mia famiglia, quando il mio intento era superare quel passato e andare avanti.
    Vi assicuro che gli episodi di cui ho parlato non erano facili da tirare fuori, per cui ritengo di essermi aperta, pure troppo, ricavandone una reazione asettica e qualche conclusione preconfezionata.
    Probabilmente secondo il suo metodo i rapporti con la famiglia devono esserci a tutti i costi, però a me ha lasciato l'amaro in bocca perchè gli ho ben specificato che mio padre è un irascibile, facile ad alzare le mani. Devo riallacciare i rapporti col rischio di beccarmi ancora le sberle? E' normale consigliare ad un paziente di riprendere il dialogo con un soggetto potenzialmente violento? A buonsenso, io consiglierei l'esatto contrario: di starsene alla larga il più possibile. Di fronte al mio netto rifiuto lo psicologo insisteva che col tempo, gradualmente ecc., ma si trattava di un passo fondamentale da fare.
    Le mie aspettative a riguardo erano ben diverse, speravo di essere pienamente sostenuta nell'unico atto di emancipazione di tutta la mia vita e che mi aiutasse a rafforzarmi a camminare sulle mie gambe, a diventare un'adulta, nel limite del salvabile, equilibrata. Se torno indietro, questa possibilità, non esisterà più. Mio padre non voleva assolutamente che mi trovassi un ragazzo perchè diceva che il mio dovere era rimanere a vivere lì ed occuparmi di loro quando sarebbero stati anziani. Questa cosa non gliel'ho detta allo psicologo, ma tanto a cosa sarebbe servita? Era la mia parola contro la sua e le "brave persone", persino quelle più istruite, usando parole forbite, la ragione la danno sempre al più forte.

  • In alcuni casi è deleterio riprendere i rapporti con la famiglia. Se poi tuo padre veramente voleva che addirittura non ti trovassi un ragazzo per rimanere con loro ti consiglio di non dare retta allo psicologo e non riprendere i rapporti con la tua famiglia.

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