Buongiorno Shylock,
Halloween (e le feste in maschera in generale) è sicuramente un momento "catartico" per molte persone, in quanto si ha la possibilità di esprimere una parte di sè senza conseguenze o giudizio, di liberarsi per una sera insomma, per essere qualcun altro o essere completamente se stessi come si vorrebbe.
Potrà inoltre sondare la reazione di sua figlia (e anche di sua moglie) nel vederla abbigliato in modo femminile, proponendo il tutto come scherzo, come gioco.
Per il resto posso dirle che questa esperienza l'ha fatta stare bene perchè l'ha completata, ha potuto esprimere liberamente una parte di sè così importante, ha dato corpo e visibilità alla sua amica interiore che non riusciva più ad essere costretta nella sua mente.
Se queste esperienze la appagano, non rinunci, perchè la propria serenità è un aspetto fondamentale della vita di una persona e della sua realizzazione. E' interessante e importante anche il significato che ha per lei questa esperienza, che va oltre all'evento in sè ma racchiude una visione del mondo, del rapporto uomo-donna che è parte del suo sistema di valori. Lei non è solo un uomo che si veste da donna, ma una persona che con coraggio si pone in sintonia con le sue idee e le porta avanti con coraggio, in un modo inusuale ma significativo.
Messaggi di Dott.ssa Roncallo
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Buongiorno Franco,
immagino che lei sia seguito da uno psichiatra visto che prende dei farmaci, ma ha provato ad affiancarli ad un percorso terapeutico che possa aiutarla a comprendere il motivo della sua ansia? -
Buongiorno Sera,
premesso che il mio orientamento è psicoanalitico-psicodinamico come quello della sua attuale terapeuta, penso che se non si risolvono eventi significativi traumatici del passato, il lavoro sul presente ha un'efficacia che difficilmente persiste nel tempo, in quanto gli irrisolti portano con sè delle dianmiche che agiscono sul qui ed ora e si ripresentano, perchè quel pezzo di storia deve trovare il suo senso e la sua conclusione nella mente della persona.
Il trauma è una rottura nella storia di vita di una persona, nel senso che rappresenta un evento (a sè o ripetuto nel tempo) che ha avuto un impatto così forte o così inspiegabile che non può essere pensato, narrato e quindi elaborato, per cui resta un vuoto di esperienza che non permette di avere un senso di continuità. Il trauma racchiude paure e sentimenti forti oltre che il bisogno di avere un senso, per cui (più o meno inconsapevolmente) la persona cerca di ripetere quell'evento riproponendolo in esperienze del presente, in cui si cerca di agire con maggior controllo per avere un finale diverso (il senso di colpa consiste nella convinzione che si sarebbe potuto fare qualcosa per evitare il trauma o addirittura che si è agito in modo da "meritare" il trauma). Il problema è che, non avendo consapevolezza dell'accaduto o meglio, dell'impatto che ha avuto l'evento e del senso che gli è stato attribuito, si crea un circolo vizioso in cui il finale è sempre lo stesso e il senso di colpa e la ferita si rafforzano.
Riguardo alla mia esperienza professionale, posso dirle che ho potuto lavorare partendo dal presente e pian piano sono emersi dettagli del trauma passato, fino a ricostruire, se non l'evento in sè nella sua interezza, quantomeno le emozioni collegate ad esso; lavorando poi sull'accettazione delle emozioni negative e del fatto che la violenza avviene indipendentemente dalla nostra volontà e dalla nostra capacità di opporci, abbiamo cercato di ricostruire un senso nuovo all'esperienza e al modo di rapportarsi alla vita del paziente, meno vincolato all'evento traumatico. -
Buongiorno Wolverine,
l'incapacità di dire no in sè non richiama tratti narcisisti e tantomeno borderline, l'importante è tuttavia il perchè non riesce a dire di no.
Le posso dire che le etichette diagnostiche lasciano il tempo che trovano, mentre mi focalizzerei su quanto questa sua caratteristica incide sulle sue scelte quotidiane e relazionali, perchè a dover sempre dire sì poi si perdono di vista le proprie esigenze e i propri desideri, trovandosi incastrato in situazioni forzate.
Cosa le impedisce di dire no? O meglio, cosa la gratifica nell'essere costantemente utile e presente a qualcuno? -
Buongiorno Little star,
da quanto tempo presenta questo sintomo ansioso?
E' intererssante il fatto che la difficoltà avvenga in situazioni in cui si sente giudicata, ci sono persone con cui mangia tranquillamente? Genitori, parenti etc.. E se cucina a casa sua e invita il fidanzato o amici a mangiare, avviene lo stesso o è un problema relativo al ritrovarsi in ambienti sociali non famigliari?
In ogni caso posso dirle che il sintomo è l'espressione di un conflitto o un malessere interiore che nel suo caso potrebbe essere il timore del giudizio o di trovarsi in situazioni sociali potenzialmente non controllabili; una volta compresa la causa del suo disagio, il meccanismo di sfogo che utilizza (l'ansia e il panico quando mangia) si "disinnesca" automaticamente, in quanto il sintomo è il linguaggio che utilizza il suo corpo e la sua psiche per esprimere ciò che non va. Le consiglio di rivolgersi ad uno psicologo-psicoterapeuta in modo da approfondire queste riflessioni e trovare un modo per gestire l'ansia che sia più funzionale alla sua vita. -
Buongiorno Gianmorandi,
non è semplice dover insegnare a persone anziane proprio per l'evoluzione delle abilità mnemoniche: con il passare degli anni la capacità di apprendimento di nuovi concetti ed esperienze si abbassa in favore della memoria di eventi passati (gli anziani hanno una capacità nel ricordare dettagli di decenni addietro migliore della nostra, per esempio) e della visione d'insieme che permette loro di collegare eventi e conoscenze (la cosiddetta saggezza degli anziani deriva da questo) anche se talvolta in maniera non corretta (come nel suo esempio del bilancio e dell'interpretazione che ne ha dato la signora).
Un consiglio che posso darle è di selezionare gli argomenti, scegliendo qualcosa che possa collegarsi alle loro utilità pratiche e che non abbia bisogno di molti concetti e troppi passi da ricordare. L'informatica è una materia ostica perchè per loro è un terreno decisamente nuovo e con una logica che non appartiene loro. Abbia molta pazienza e non dia nulla per scontato, vedrà che con un passetto alla volta otterrà qualche risultato apprezzabile. -
Provi con un altro terapeuta, spesso è necessario cambiarne un po' prima di trovare quello che fa per noi.
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Buongiorno Jen,
posso dirle che non ho mai percepito come mostruoso il profilo del paranoico, anzi mi da l'immagine di una persona che affronta tutti i giorni una battaglia con la vita e i suoi pericoli (che siano reali o immaginati). Non dev'essere semplice capire di chi ci si può fidare, non sapere fino a che punto contare sulle proprie sensazioni e intuizioni.
Solitamente quando abbiamo un rapporto importante con una persona (genitore, partner, amico etc..) proviamo dei sentimenti contrastanti in quanto accanto al bene e alla stima, alcune caratteristiche dell'altro possono farci provare rabbia, possiamo "odiare" alcuni atteggiamenti etc.. La persona paranoica non riesce a integrare questi sentimenti contrastanti per l'ansia intollerabile che è originata dal timore che ciò che è odiato finirà con il prevalere e distruggere l'amore. Per difendersi (e difendere l'amore), la persona proietta i propri sentimenti negativi sugli altri, che diventeranno cattivi e con un secondo fine che è teso a danneggiarla.
Questo porta ad avere diffoltà nel mantenere relazioni durature, perchè c'è una sospettosità continua e un passo falso dell'altro (magari fatto in buona fede o con ingenuità) andrà a confermare i sospetti del paranoico sulle presunte cattive intenzioni dell'altro.
Tutto ciò comporta una stima di sè bassa, in quanto il paranoico in fondo è convinto che nessuno possa avvicinarsi a lui/lei in modo disinteressato e con affetto, perchè, nonostante veda come cattivi gli altri, si sente cattivo e distruttivo lui stesso.
I farmaci rappresentano un aiuto importante per tenere a bada l'evolversi dei pensieri negativi, tuttavia una psicoterapia può rivelarsi utile per comprendere l'origine di questo meccanismo e aiutare ad accettare che le proprie parti rabbiose o "cattive" non distruggono tutto, ma sono naturali e fanno parte della complessità di un rapporto importante con gli altri.
Riguardo al titolo del suo thread, le personalità paranoica e narcisista hanno dei significativi punti di distanza, per cui, se può capitare che un paranoico abbia anche dei tratti narcisisti, in generale la presenza di uno non implica necessariamente quella dell'altro. -
A me sembra che questo problema qua venga aggirato come se niente fosse ed alcuni filosofi già ci erano arrivati a capire che qualcosa non reggeva in tutti i discorsi più o meno simili a quello di Freud.
Io non credo che il problema venga aggirato, Freud spiega sempre molto bene le sue posizioni teoriche, che possono chiaramente essere condivisibili o meno. Le teorie sono tali perchè sono modi di osservare un fenomeno, da qui poi si sviluppano degli strumenti per intervenire su tale fenomeno, ma senza una teoria non si può creare una pratica clinica sensata. Inoltre nessuna teoria è verità assoluta, altrimenti ci si sposterebbe in un ambito religioso.
Una valutazione lucida della realtà per caso poi la possiede qualcuno? Per esempio ci sono persone credenti e persone non credenti... Chi di questi valuta lucidamente la realtà... Freud e gli altri seguaci suppongono di poterlo stabilire per caso? Conoscono tutto lo scibile?
Poi rispetto all'idea che una persona sia maggiormente libera in certi contesti e con certi pensieri bisognerebbe chiederlo sempre a lei in prima persona. Questa libertà qua è relativa sempre e dipende dai sistemi di valori adottati, non esiste una libertà assoluta in sé.Ma infatti non si parla di libertà assoluta, si parla di liberarsi da trappole mentali che creano circoli viziosi, i quali impediscono alla persona di uscire da una situazione di sofferenza invece di trovare delle soluzioni nuove, che le permettano un maggiore benessere. Le soluzioni alternative non le suggerisce certo il terapeuta ma sono a discrezione della persona a seconda delle sue aspirazioni e del suo sistema di valori.
Il discorso della valutazione lucida della realtà è su un piano diverso da quello che pone lei, non significa conoscere tutto lo scibile, ma vivere in sintonia con il proprio sistema di valori, che può essere diverso per ognuno.Insomma essere liberi in certi sensi potrebbe implicare di essere nevrotici secondo la definizione di Freud o di altri... Come si risolve questa incogruenza?
Freud non dice da nessuna parte che la persona sana sia quella che accetta un sistema di valori altrui? Lo dice nel momento in cui afferma di possedere un sistema per rendere più libere le persone.
Nel momento in cui si parla di libertà si mettono in mezzo sempre dei sistemi di valori. Se si etichetta una persona come "non libera" in certi sensi, e questa persona in questi sensi qua non si sente affatto non libera, chi ha ragione tra i due punti di vista che appiccicano questa etichetta? Per me avrà sempre più ragione il punto di vista in prima persona, questo deve giudicare che significa essere liberi, che significa essere più felici in base al valore che si dà alle cose, che significa vivere meglio.
E se per qualcuno vivere meglio significasse esser pazzo furioso? Freud e gli altri cosa direbbero? Che non riconosce di non essere libero? Ma perché mai Freud partendo dal suo punto di vista dovrebbe avere il monopolio del concetto e del senso da dare alla libertà individuale?Parta dal presupposto che Freud si interroga su ciò che accade a persone che si rivolgono a lui; se vanno da lui è perchè stanno male e intendono risolvere dei conflitti che causano una patologia. Non si mette a sindacare sulle scelte di persone che stanno bene e scelgono liberamente il proprio modo di vivere.
In poche parole, non ipotizza un insieme di scelte in assoluto migliori o peggiori, in tal caso avrebbe ragione lei su un'imposizione del proprio sistema di valori; ciò che cerca di capire è perchè la persona sta male e trova dei nodi irrsolti nel senso di conflitti interiori. Il passaggio successivo è ipotizzare che scliogliendo quei nodi e risolvendo insieme alla persona quei conflitti, la persona si libera di quel tipo di sofferenza. E' un discorso molto medico in realtà e il fatto che ci siano dei meccanismi interni alla persona che possono essere disfunzionali al suo benessere è una posizione condivisa anche dalle teorie psicologiche più lontane da Freud.
Ciò che poi dice Freud sulla differenza tra infelicità nevrotica (che è quella appena descritta) e infelicità normale, oltre ad essere frutto di un'osservazione realistica del mondo, trovo che sia (al contrario di ciò che afferma lei) una posizione molto umile nei confronti della propria teoria, in quanto non pretende che sia una panacea per tutti i mali, ma che sia uno strumento utile per intervenire su determinati disturbi, il resto non è controllabile perchè è la realtà personale, ambientale e sociale a determinare il resto.
Ricordo inoltre che Freud è uno dei 3 "maestri del sospetto" in quanto a posizione filosofica, secondo cui l'essere umano non sarà mai del tutto libero, perchè i meccanismi psicologici agiscono sempre e sono frutto di influenze ambientali. Può però essere più consapevole di certi meccanismi e, di conseguenza, esercitare una maggiore libertà.
Freud non è in antitesi con il suo pensiero che debba essere la persona stessa a decidere la propria libertà o a determinare ciò che sente essere male o no per sè, anzi afferma il contrario in molti suoi scritti.
Se uno nella sua follia ci vive bene Freud e gli altri non lo considererebbero neanche pazzo, la patologia mentale è tale nel momento in cui le istanze interne alla persona agiscono in modo da creare sofferenza alla persona o da minacciare l'incolumità altrui, non è uno stile di vita alternativo a quello socialmente condiviso.Insomma chi stabilisce quale sia la mente che è intrappolata davvero? Ci sono modi di funzionare e valutare diversi, quale sia il migliore non si sa in modo oggettivo, sarà sempre qualche soggetto a doverlo valutare tutto questo, e quale soggetto privilegiato dovremmo usare?
Perciò anche in questi casi il guadagno rappresenta qualcosa di arbitrario, non è oggettivamente quantificabile senza partire dal soggetto e l'individuo stesso.Insomma è intrappolata la mente del "sano" che sceglie in certi modi, o quella di un cosiddetto "malato di mente" che sceglie in altri modi?
Secondo me dal punto di vista razionale non si potrebbe dire proprio nulla relativamente a questa forma di intrappolamento, perché è necessario conoscere come la persona valuta le cose, anche l'attributo di libertà è qualcosa di arbitrario. Ad esempio io ho tendenze eterosessuali ma non mi sento meno libero o intrappolato dalla mia mente da queste tendenze rispetto a chi ha altre tendenze sessuali, ha più voglia o meno voglia di me di avere relazioni sessuali e così via, mentre per un pedofilo si sosterrebbe (e si sostiene) che è imprigionato dalle sue tendenze sessuali. Ma praticamente noi due siamo sullo stesso piano, il problema è rappresentato da certi sistemi di valori che devono per forza di cose giudicare il pedofilo come non libero rispetto ad altri.Qui aggiungo il fatto che se lei vive bene la sua eterosessualità e un altro vive bene la sua omosessualità o bisessualità o assenza di vita sessuale, su questo nessuno entra in merito.
Si entra in merito nel caso del pedofilo perchè questi con la sua condotta va a compromettere l'incolumità psichica e fisica di un altro essere umano che non ha facoltà di difendersi. In un senso più psicologico, il pedofilo distorce i segnali di tenerezza provenienti dal bambino considerandoli come atteggiamenti con un connotazione sessuale provocatoria e considerando il bambino come partner sessuale consenziente e con una mente sviluppata. Questa è distorsione della realtà in relazione ai propri meccanismi e bisogni interni.Essere liberi dai propri meccanismi mentali è un altro concetto confuso, perché chiunque dalla propria mente non può uscirci, nei meccanismi ci è invischiato fino al collo. Praticamente tutto quello di cui facciamo esperienza e pensiamo dipende da qualche meccanismo mentale che si attiva e funziona in qualche modo, siccome non siamo solo spirito non possiamo emanciparci davvero da questi meccanismi, quindi quel che succede normalmente è che un soggetto stesso inizia a giudicare male certi suoi meccanismi tramite un sistema di valori che gli dice che disporre e fare uso di questi meccanismi significa "non essere liberi" e così viene costruita una forma di egodistonia, ma non si è liberi secondo quale punto di vista? E' davvero il proprio?
Quale sarebbe questo punto di vista o sistema di riferimento assoluto privilegiato che traccia una linea di demarcazione tra libero/non libero? Quello che stabilisce Freud?
Il punto di vista soggettivo di un individuo specifico non potrebbe essere un punto di vista completamente diverso da questo punto di partenza qua?Come dicevo, non afferma una libertà assoluta, anzi il contrario, i meccanismi sui quali intervenire terapeuticamente (linea di demarcazione se vogliamo) sono quelli che creano sofferenza e non permettono al soggetto di perseguire i propri obiettivi di vita.
La causalità poi non funziona così. Cosa si dovrebbe cambiare in un contesto per far cessare un disturbo? Non si può decidere una volta per tutte se non si chiede alla persona stessa lei cosa ritiene disturbante. Quando si parla di cause lo si fa in modo improprio. Il dolore al livello cerebrale che proviene dallo stomaco è causato in ultima analisi dal cervello comunque, distruggere o modificare certi circuiti cerebrali eliminerebbe Il dolore. Quindi qualcuno potrebbe sostenere che la sofferenza è causata da un meccanismo interno cerebrale, ed avrebbe ragione, mentre qualcun altro potrebbe sostenere che la disfunzione si trova ad un livello più distale che prossimale, ed avrebbe ragione lo stesso, se si mette a posto lo stomaco c∙∙∙a il dolore, nella catena causale ci si può spostare fino all'ambiente, e così via...
In questo caso posso dire che il dolore è sintomo, non causa. Il sintomo non è altro che un segnale di allarme che qualcosa non funziona come dovrebbe. Se si elimina il sintomo del dolore agendo su connessioni cerebrali sarebbe controproducente perchè l'organismo non avrebbe un segnale di allarme che permetta all'individuo di sapere che qualcosa non va nel suo organismo.
Ascoltare il sintomo invece permette di comprendere quale sia la causa della disfunzione organica e intervenire su di essa, di conseguenza cesserà anche il sintomo. -
Cosa la incuriosisce rispetto a questo evento?