Punto di non ritorno con mia madre, che fare?

  • Mi sembra di vedermi con gli occhi del passato.


    Una sola parola ti dico:


    Vattene.


    Quello che ho patito io non hai nemmeno idea, ed è stata una delle tante cause che mi ha portato a finire in depressione, riempirmi di porcherie e finire in questo forum (ma quello è stato un bene).

    Quindi il mio consiglio è nella parola che ti ho detto sopra. C'è chi non sarà d'accordo, ma io ho risolto così. E non ho rimpianti di sorta.

    - Tutto questo sacrificio.. solo per questo? -

  • Per la seconda volta quoto questo passaggio, che a me sembra di una maturità e umanità senza pari. :thumbup:

    Grazie Gloria, mi fai arrossire.

    Purtroppo Patrick non la considera una via percorribile per il carattere della madre. Carattere che si presenta anche sulla questione eredità con i fratelli. Io sinceramente leggendo queste dinamiche provo angoscia, posso solo cercare di immedesimarmi in queste situazioni, perché fortunatamente ho dei genitori fantastici. E non saprei davvero cosa sia il giusto in una situazione del genere. Io so che farei di tutto per i miei, ma farei di tutto per i miei se vivessi quello che vive Patrick? Forse arriverei alla conclusione di Manta, guarderei avanti con egoismo alla mia vita, che è la cosa più importante che ho e mi aggrapperei ai miei "sogni", o meglio obiettivi, che nel caso di Patrick potrebbero essere laurearsi, trovare un buon lavoro e andare a vivere da solo.

    Certo mi pare che Patrick non voglia abbandonare la madre al proprio destino (e come si fa a prendere una decisione del genere a cuor leggero?!), però mi chiedo se sia conciliabile il tutto. Ammesso che Patrick voglia aiutare la madre economicamente e a livello di sistemazione, lei vuole questo aiuto? E' conciliabile la tua autonomia con la sua o lei ti vuole a casa con lei a subire i suoi attacchi alle sue condizioni? I nonni (che non credo siano materni ma potrei sbagliarmi) possono avere un ruolo in tutto ciò? Un ruolo nell'assicurarsi che tua madre "stia bene". Comunque credo sia un'opportunità la tua di adesso, di vedere davvero come evolve il vostro rapporto e il comportamento di tua madre con la lontananza.

    In conclusione, comunque vada, io farei dell'indipendenza il mio faro, l'obiettivo da raggiungere e per come ti ho inquadrato io (consapevole che chissà poi come sei per davvero), tu sei una persona che vuole raggiungere l'indipendenza, quindi ok preoccuparsi della madre, ma anteporrei a tutto il mio obiettivo. Complementarmente, mi preoccupo di mia madre, ma sta anche a lei decidere se accompagnarmi o cercare di sabotarmi. E pazienza se in questo percorso devo stare un po' di tempo dai nonni, ti laurei prima dell'estate se non sbaglio, sono solo pochi mesi. Un abbraccio, spero riuscirai a stabilizzare velocemente questa situazione, facci sapere.


    P.S. Mi piace Garden che considera concretamente come vivere in maniera economica alternativa.

    Sono morto nel passato, platinato nel presente. Fine.

  • Premetto che ho prima letto tutte le risposte, pensando di portare avanti la discussione, ma credo che occorra andare alla radice della questione.

    Si dovrebbero scindere i problemi: da una parte l’eredità, dall’altra lo stato di salute (mentale o di altro tipo) di tua madre. La prima cosa che mi vien da pensare è allearsi con gli altri parenti (presumo che siano anche gli altri ereditieri) e chiedere loro aiuto. Scopo: prima si risolve il problema mamma, poi si pensa all’eredità. Del resto, è anche parente loro.

    Prenotare una visita psichiatrica mi sembra il minimo: il punto è che (salvo intervento del giudice) non puoi obbligare nessuno ad andarci.

    A questo punto, potrebbe essere utile un tramite: qualcuno esterno alla famiglia che sia al corrente della situazione che possa avere ascendente su tua madre. Dici che è fattibile?

  • Grazie Gloria, mi fai arrossire.

    :* Non c'è ragione di arrossire. :)

    Ho stimato e stimo tantissimo la tua risposta , e...benchè io abbia una madre che, per limiti propri e più forti di lei, io possa considerare più "matrigna" che Madre... non riuscirei mai, mai,mai ad obliare quel tanto che cercò di fare come madre...pur essendo oggettivamente negata alla funzione...

    Ha fatto quel che ha potuto (più danni che altro), ma era in piena buona fede e vittima di limiti che pagava lei per prima...


    Penso solo che essere Adulti significhi comprendere questo, e solo in questo senso prendere le distanze di salute, che nel mio mondo sono MENTALI e non fisiche...


    Personalmente vacillo sempre quando leggo i vari "fuggi, fuggi" (molto comuni, peraltro).

    Resto convintissima che quando le "fughe" siano rispetto ai propri genitori...potranno servire soltanto a vivere disdette eterne in quello che è un rapporto troppo essenziale per potersi illudere di "rimuoverlo", sic et simpliciter.

    Non si possono rimuovere le proprie radici, per me.

    Ed è anche nel nostro interesse CAPIRLE, quali che siano.

    Il che non significa assolutamente immolarsene a vittima sacrificale.

    Significa "solo" saper vivere la pietas. Da adulti.

    Tutti pensano a cambiare il mondo, ma nessuno pensa a cambiare se stesso. (L. Tolstoj)

  • Personalmente vacillo sempre quando leggo i vari "fuggi, fuggi" (molto comuni, peraltro).

    Più che fuggire bisogna mettere una distanza per preservare la propria salute mentale. Uscire dalle famiglie disfunzionali è molto difficile e doloroso per chi ci si trova, per l'importanza del legame, l'amore.


    Riuscire a mettere una distanza fisica permette di uscire da questa continua tensione ed elaborare le dinamiche che la governano. Rimanere e stare in continua tensione, spesso vuol dire dover sviluppare un disturbo che permette di sopravvivere.


    Peraltro distanza non vuol dire recidere il legame, anzi, vuol dire prendersene cura e migliorarlo.

    namasté

    Love all, trust a few, do wrong to none

  • Riuscire a mettere una distanza fisica permette di uscire da questa continua tensione ed elaborare le dinamiche che la governano. Rimanere e stare in continua tensione, spesso vuol dire dover sviluppare un disturbo che permette di sopravvivere.

    Questione di punti di vista.

    Dal mio (esperito nel concreto) l'uscire dalla tensione e dalle dinamiche tossiche non dipende affatto dalle distanze fisiche, ma da quelle mentali e proprie che (da adulti) portano a comprendere i limiti altrui, e comprendere che, appunto, sono limiti (di cui solitamente soffre più il portatore che le sue "vittime").

    Personalmente ho duvuto adottare distanze fisiche (non rispetto a mia madre) , ma l'ho fatto solo quando e solo perchè ero arrivata quotidianamente a serissimo rischio della mia incolumità fisica.

    Tutto quello che stava/sta a monte di questo rischio, francamente mi era già chiaro e, proprio per questo, non mi avrebbe scalfita granchè.

    Peraltro distanza non vuol dire recidere il legame, anzi, vuol dire prendersene cura e migliorarlo.

    Non sono per nulla concorde. E tanto di meno posso esserlo quando rifletto che il "fuggi, fuggi!" ritualmente consigliato sia traducibile con un più esteso "vattene, taglia, pensa e vivi altro, pensa ate !" (= proprio: recidere il legame!).

    Chi vuol prendersi cura e migliorare un rapporto essenziale, qual è quello con la propria madre, se vuol prendersene cura e migliorarlo, non "fugge": piuttosto (e appunto) se ne prende cura, negli ovvi e soli limiti dell'umano, dove chi ha miglior cervello...lo usa.

    Mia madre non è mai arrivata alle frasi/pugnalata ricevute dall'opener, ma è da una vita intera che ci si avvicinaVA (ora non più).

    Chissà...magari è stata anche una fortuna che tutto sia "esploso" durante la mia adolescenza, in cui - anche volendo - non avrei potuto "prendere e andarmene" .

    Magari è questo che mi allenò da allora (con il conforto di un padre meraviglioso, e questo devo dirlo) a cercare di spiegaarmi quel che non potevo cambiare. Come peraltro faceva, in esercizio di Intelligenza pura, mio papà, dandomene sia l'Esempio che le Motivazioni umanissime...

    In sintesi: penso sia più che legittimo e/o anche doveroso fuggire da rapporti tossici di natura amicale e passionale.

    Il rapporto con i genitori, e con la madre in particolare, è tutt'altra cosa. Non ricordo a quale film o intervista appartenga questa frase incontrovertibile : "di mogli puoi averne tante, ma di madre ne avrai sempre UNA sola!"

    E se quel rapporto lo recidi a causa di incomprensioni e alterchi...ci si rimette TANTO almeno in due: madre e figlio/a . Con la conseguenza di "irrisolti eterni ma fondanti" che peseranno fino all'ultimo respiro di entrambi.

    Certo che non è facile rapportarsi a chi abbia una qualunque "caratterialità" o addirittura sofferenza psichica!

    Ma (secondo me) comprendere che c'è qualche serio problema e sapersene fare una ragione ha una valenza immensamente più costruttiva e rasserenante per tutti e sempre, piuttosto che illudersi di fuggirne.

    Tutti pensano a cambiare il mondo, ma nessuno pensa a cambiare se stesso. (L. Tolstoj)

  • Dal mio (esperito nel concreto) l'uscire dalla tensione e dalle dinamiche tossiche non dipende affatto dalle distanze fisiche, ma da quelle mentali e proprie che

    La mia psichiatria usava dire che la mente non lavora efficientemente se non le dai le condizioni, che sono anche ambientali.


    Non sono per nulla concorde. E tanto di meno posso esserlo quando rifletto che il "fuggi, fuggi!" ritualmente consigliato sia traducibile con un più esteso "vattene, taglia, pensa e vivi altro, pensa ate !" (= proprio: recidere il legame!)

    Non mi sembra fosse formulato in questo modo, in questa discussione.


    Ripeto, se il legame è malato ma non lo di vuole/può recidere la distanza spesso aiuta a respirare, portare calma e mettere ordine nei propri pensieri.


    Sempre la mia psichiatria usava la metafora della barca, di cui si ritirano i remi per recuperare lucidità affinché si possa continuare poi a lavorare sul resto.


    Poi, ognuno ha le proprie opinioni e il proprio vissuto e la necessità di distanze può essere utile o inutile in base a tanti diversi fattori, personali ed ambientali.

    namasté

    Love all, trust a few, do wrong to none

  • Peraltro distanza non vuol dire recidere il legame, anzi, vuol dire prendersene cura e migliorarlo.

    Sono assolutamente d'accordo anche io con questa visione. Tra l'altro, la distanza aiuta a mettere a fuoco, letteralmente, tanti meccanismi che altrimenti non si riescono a vedere, e quindi a riconoscere e a elaborare. Come quando hai un libro aperto e lo metti attaccato agli occhi: la pagina è confusa, le parole sembrano sovrapporsi le une con le altre, non si riesce a leggere. Se metto il libro a una distanza accettabile dal mio viso, allora posso leggere bene e senza difficoltà.

  • Io credo che il "fuggi" non sia recidere il legame, ma vivere da solo la quotidianità in modo da, innanzitutto, stare meglio e poi gestire un rapporto con la madre a distanza e non gomito a gomito, da adulti e non più da "adulto e bambino". A volte bisogna staccarsi dalla famiglia per stare meglio. Non vuol dire cancellare la persona dalla propria vita, ma solo prendersi più spazi per sé.

  • Ma sta anche a lei decidere se accompagnarmi o cercare di sabotarmi.

    Se la madre rientra nella tipologia di persona che immagino, per carità, ovviamente con la sua soggettività, non è in grado di collaborare positivamente, o ne avrebbe già dato dimostrazione anziché scagliarsi contro il figlio. Penso sia in grado solo di aggrapparsi ad ogni appiglio che le si fornisce, per sfogare la sua frustrazione esistenziale o per fare vittimismo, senza calcolarne realmente le conseguenze.


    Dunque: meno appigli le si forniscono, meno feedback negativi di risposta si incamerano. Anche la persona più razionale non è fatta di acciaio.


    Per quello ho parlato di "scavalcarla", di pensare ad una strategia per sistemarla in modo indipendente e di agire interpellandola il meno possibile per evitare stress inutile. Si parla di una persona la cui capacità di pianificazione del suo futuro è: "Vado a vivere in macchina/garage". Mi chiedo se il suo vivere in macchina pensa di protrarlo anche a quando avrà novant'anni e problemi di salute legati alla vecchiaia o, quando arriverà l'inverno e crolleranno le temperature.


    Penso sia evidente che è un ragionamento che si basa sull'iperdrammatizzazione, anziché su un approccio collaborativo: "Troviamo una soluzione assieme", il quale non vede oltre ad un tentativo maldestro di fermare il figlio, per paura dell'abbandono: "Lontano dagli occhi, lontano dal cuore", ma paradossalmente ottiene l'effetto inverso.


    Il problema è che, se ha un carattere così e il figlio ha scritto che "non la può vedere nessuno", dubito che qualche parente se la tirerà in casa. Per quello ho suggerito a Patrick di "imbastire su" una qualche soluzione per renderla più auto-sufficiente, fosse anche con mezzi alternativi, ma comunque più validi di un: "Vado a vivere in garage". Essenzialmente, comunque, mantenendo le distanze e facendosi coinvolgere emotivamente il meno possibile, per auto-tutelarsi dallo stress.


    Perché se lei continua a tirare la cinghia, va a finire che si spezza, e poi, in macchina ci finisce per davvero e con tanta pace di un'assenza di futuro, per come lei è organizzata ora.


    Comunque sia, Patrick si farà le sue riflessioni; anche se alla fine optasse per pensare ad una soluzione per il problema della madre, concordo con chi gli ha suggerito, se possibile, di rimanere fuori dalla casa materna. Anche per trovare eventuali soluzioni, si ragiona meglio da uno stato di calma, che sotto stress.

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