La svalutazione di sé stessi come espressione ansiosa

  • Buongiorno a tutti.

    Vorrei aprire questa discussione qui per parlare di un “effetto collaterale”, o forse causa primaria (non mi è dato saperlo), dell’ansia generalizzata che mi accompagna da sempre e della derealizzazione comparsa ad ottobre del 2018.

    Ebbene: come ogni persona, credo, ho una moltitudine di interessi e passioni nei/nelle quali mi cimento piuttosto frequentemente coi più disparati risultati.

    Con il tempo, ho imparato a distinguere tra le attività e/o discipline nelle quali sono carente da quelle in cui sono invece bravo, ed è proprio su queste ultime che vorrei soffermare la mia riflessione.

    Ad esempio: sebbene di per sé una laurea non significhi per forza molto, sono un fisico dell’atmosfera e conosco bene la meteorologia.

    Esattamente come mi ritengo più che discreto nello scrivere opere, brevi o meno, di narrativa.

    Eppure, sono proprio queste le attività nelle quali mi cimento meno in assoluto, poiché sono quelle che creano in me le più grandi aspettative e, di conseguenza, quelle dalle quali ho paura di rimanere maggiormente deluso.

    E questo meccanismo aspettativa -> delusione/gratificazione non gira tanto attorno a ciò che io mi aspetto e pretendo da me stesso, quanto a ciò che gli altri penserebbero di me, al loro giudizio.

    Non mi sento più in grado di fare ciò che mi piace senza paragonarmi costantemente ad altre persone che fanno la stessa cosa.

    So che, in generale, dovrebbe essere una cosa positiva e che spinge a migliorarsi; tuttavia, nel mio caso specifico non sembra essere così, poiché la mia non è una valutazione obiettiva, bensì un incessante ricerca di ciò che gli altri fanno meglio di me, non supportata però dall’analisi critica di ciò in cui io mi sento/sono migliore rispetto agli altri.

    Per farla breve: spesso non faccio/non mi cimento in ciò che mi piace e in cui credo di essere abbastanza bravo per timore di non esserlo davvero, di essermi sopravvalutato e che le persone vedano tutto questo e mi giudichino male.

    E credo che tutto ciò sia, al contempo, una delle cause e una delle conseguenze della mia ansia.

    Pian piano sto imparando ad avere una maggior consapevolezza di me stesso e delle mie capacità, che passa attraverso un profondo lavoro e una maggior conoscenza di chi siamo; nonché, dalla consapevolezza che ciò che ci piace e ci fa sentire bene va perseguito e praticato sempre, a prescindere da quanto possiamo esserne (o non esserne) capaci e da ciò che altre persone potrebbero pensare o credere.

    Capisco che possa sembrare un discorso molto contorto ma credo che qualcuno si rivedrà in queste parole. Mi piacerebbe se voleste portare le vostre idee/esperienze a supporto della discussione.

    Grazie a chiunque vorrà rispondere.

    ~ Gli uomini di più ampio intelletto sanno che non vi è alcuna netta distinzione tra il reale e l’irreale; che le cose ci appaiono come sono solo in virtù dei delicati strumenti fisici e mentali attraverso i quali le percepiamo. ~


    H.P. Lovecraft

  • Non è affatto un discorso contorto. O meglio, è umano, quindi probabilmente intrinsecamente "contorto", nel senso di complesso.


    Mi riconosco in ciò che scrivi e, azzardo, siamo in folta compagnia.

    E questo meccanismo aspettativa -> delusione/gratificazione non gira tanto attorno a ciò che io mi aspetto e pretendo da me stesso, quanto a ciò che gli altri penserebbero di me, al loro giudizio

    Nella situazione che stai vivendo può anche succedere, proprio per quel che hai scritto, che le aspettative verso noi stessi possono assumere connotazioni più dimostrative che attitudinali. E questo ancor prima di addentrarci nell'attività specifica in cui vorremmo eccellere.

    Di fatto questo è uno dei meccanismi più determinanti quando si tratta del nostro autosabotaggio, perchè è ovvio che implicitamente spostiamo l'obiettivo dall'oggetto alla dimostrazione di valore.

    So che, in generale, dovrebbe essere una cosa positiva e che spinge a migliorarsi

    Non è affatto scontato.

    Da un lato (umanamente, succede a tutti) mitizziamo i soggetti che prendiamo come modello e dall'altro ci "ammaliamo" della sindrome dell'impostore. A vari livelli ovviamente.

    Questo risulta in ciò che hai perfettamente descritto nel tuo post.

    Per farla breve: spesso non faccio/non mi cimento in ciò che mi piace e in cui credo di essere abbastanza bravo per timore di non esserlo davvero, di essermi sopravvalutato e che le persone vedano tutto questo e mi giudichino male.

    E credo che tutto ciò sia, al contempo, una delle cause e una delle conseguenze della mia ansia.

    "Jesus died for somebody's sins but not mine"

  • Concordo appieno con quel che scrivi e ti ringrazio per la risposta articolata.

    Effettivamente, riflettendoci, è un meccanismo comune a molte persone.

    Forse è perfino intrinsecamente umano mettersi a paragone con altre persone e/o fare qualcosa non per l’atto di fare la cosa in sé quanto per la gratificazione che ne dovrebbe derivare.

    E, come ogni cosa intrinsecamente umana, un meccanismo che dovrebbe spingerci verso il miglioramento, finisce per generare competizione (nel senso negativo), dalla quale deriva la paura del fallimento o del poco apprezzamento e, da esse, l’ansia.

    ~ Gli uomini di più ampio intelletto sanno che non vi è alcuna netta distinzione tra il reale e l’irreale; che le cose ci appaiono come sono solo in virtù dei delicati strumenti fisici e mentali attraverso i quali le percepiamo. ~


    H.P. Lovecraft

  • E, come ogni cosa intrinsecamente umana, un meccanismo che dovrebbe spingerci verso il miglioramento, finisce per generare competizione (nel senso negativo), dalla quale deriva la paura del fallimento o del poco apprezzamento e, da esse, l’ansia

    I meccanismi più efficaci che dovrebbero spingerci al miglioramento, a mio avviso, sono sempre endogeni.

    Possono avere uno stimolo esterno (esempio stupido per semplificare: un coetaneo che fa jogging molto più in forma di noi), ma senza una spinta interiore (per proseguire con l'esempio stupido, ci guardiamo allo specchio, decidiamo che è il momento di seguire il suo esempio e ci infiliamo immediatamente le scarpe da jogging) non solo quello stimolo può assumere le più disparate forme (dalla competitività distorta all'ansia, con infinite sfaccettature nel mezzo), ma può arrivare anche a paralizzarci.


    Nell'esempio tra parentesi ho per semplicità usato il verbo decidere. Non è esaustivo. Va declinato in un più ampio concetto, non sempre di natura intenzionale, ma che presuppone un certo attivismo.


    decidiamo che è il momento di seguire il suo esempio

    Perché non ci piacciamo più/perché ci è sempre piaciuto correre.

    "Jesus died for somebody's sins but not mine"

    Modificato una volta, l'ultima da _LucyInTheSky_: Incorporato un post creato da _LucyInTheSky_ in questo post. ().

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