Sensibilità

  • Ma l'errore è propio questo: puntare al possesso e non all'esercizio.

    E infatti...

    Quello che veramente è non può saperlo...può sapere/mentalizzare solamente quello che vorrebbe essere/diventare.

    Ero soltanto. Ero. Cadeva la neve. (Kobayashi Issa)

  • Al contrario. La sua domanda è molto più che pertinente: è necessaria. E proprio in virtù dei suoi studi.

    La sensibilità, come altri aspetti rattrappiti, trascurati o disattivati in noi, può essere tranquillamente educata e se incanalata nella giusta direzione, fatta fruttare.

    Sono completamente d'accordo, sempre se anch'io ho colto correttamente la correlazione fra la sua domanda e il fatto di avere esplicitato i suoi studi.

    La sensibilità per un terapeuta è una caratteristica importantissima, né più né meno come determinati requisiti fisici per il salto in alto. Ma va appunto saputa canalizzare e mettere a frutto. Farla fruttare non è un ossimoro in questo senso, ma il giusto dubbio e obiettivo di chi avendo a che fare con una materia incandescente come il dolore degli altri non può farsi bastare lo spontaneismo.
    Perché gli altri esistono , e la sensibilità dev'essere un ponte per raggiungerli meglio e aiutarli di più, non una caratteristica a sé bastante o autoriferita (perché allora può condurre molto facilmente al burnout).

    In ogni caso se clearness vorrà tornare sull'argomento sarà sicuramente il suo il contributo più importante :)

  • Ma un conto è raggiungere la giusta preparazione e professionalità, un altro "allenare" o "far fruttare" la sensibilità.

    Sensibilità ed empatia non le apprendi come l'inglese o la divina commedia a memoria.
    Deve essere un tuo bagaglio in dotazione.

    Non è questione di avere la scienza infusa, ma di caratteristiche personali.

    E puoi ampliarle o in parte perderle in base ad esperienze che vivi, ma non volutamente.

    Non puoi dire "Vado tre mesi nelle favelas brasiliane per alimentare la mia sensibilità": puoi andarci per conoscere meglio il problema, questo sì, ma quello che ti suscita dentro l'esperienza parte da una radice inversa. Cioè se tu hai già una certa sensibilità puoi andare tre mesi nelle favelas brasiliane, per scelta tua, per tuo bisogno di vivere quell'esperienza. Non per calcolo o "allenamento".

    Certe caratteristiche ti appartengono oppure no. Almeno io la penso così.

    Forse perché vivo il problema rispetto a un'altra dote: la diplomazia.
    Nel mio lavoro servirebbe, ma purtroppo ne sono decisamente carente e ho provato e riprovato ad allenarmi e arricchire questo lato.

    Risultati zero.

    E temo si veda anche qui sul forum.

  • :huh:


    Ma infatti, leggendo il post iniziale del thread, si fa riferimento ad una caratteristica che l'utente clearlness si attribuisce e di come poterne vedere i frutti.

    Non conoscendola, ed essendo su un forum virtuale, prendiamo per buono quel che dice. Qui non si sta discutendo se abbia o no o quella caratteristica. Al massimo qualcuno ha segnalato questa possibilità.

    Per il resto, per quanto mi riguarda, chi crede di nascere imparato al massimo coltiva una mediocrità che sta a bearsi tutto il tempo di se stessa invece di porsi dei traguardi e migliorare per raggiungerli.

    Ero soltanto. Ero. Cadeva la neve. (Kobayashi Issa)

  • Sono d'accordo con Vento. Non c'è nessuna contraddizione fra l'avere una dote innata e farla fruttare. E' l'evoluzione naturale del percorso. Evoluzione senza la quale si resta in una mediocrità che può bastare, come no - o essere inservibile.
    Esempio banale: io ho una predisposizione per la musica e il disegno, spontaneamente sono intonata, ho un ottimo orecchio, strimpello chitarra e pianoforote senza aver fatto un giorno di lezione, e con facilità ho sempre schizzato disegni gradevoli: questo ha fatto di me un disegnatrice o una musicista? Ovviamente no, non avendo studiato seriamente stiamo al passatempo piacevole ma professionalmente nullo. E se avevo un talento, di certo non l'ho scoperto, perché il talento anche più plateale non te lo crei a piacimento, ma anche lui resta zavorrato dalla mediocrità e dall'approssimazione - o abortisce proprio - senza perseveranza e studio che appunto lo facciano fruttare, cioè lo facciano evolvere e lo portino a compimento.

    Nel caso della sensibilità e di una professione medica questa riflessione e questo approfondimento, questo studio su sé e sul modo di fare della sensibilità un ponte fra sé e gli altri per aiutarli meglio ha- per come la vedo io - una validità ancora più profonda.
    Anche perché la sensibilità, in generale, non vuol dire necessariamente empatia, comunicazione, ponti con gli altri. A volte non ben sviluppata e incanalata spinge a barricarsi in corazze, o ad altre conseguenze indesiderate.

    Comunque relativamente all'ambito di interesse di clearness, non è un "corso" o una dritta, ma credo potrebbe esserle di ispirazione un bellissimo libro di Eugenio Borgna se già non l'ha letto "Noi siamo un colloquio" :)

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