L'invidia

  • L'invidia è uno dei sette vizi capitali.

    Come tutti i vizi capitali, l’invidia è antica come l’uomo; a differenza della superbia, della gola e della lussuria, l’invidia è forse l’unico vizio che non procura piacere; evidentemente le sue radici nascoste affondano nel nucleo profondo di noi stessi, dove si raccoglie la nostra identità, che per costituirsi e crescere ha bisogno del riconoscimento; quando questo manca, l’identità si fa più incerta, sbiadisce, si atrofizza, ed entra in scena l’invidia che permette a chi è incapace di valorizzare sé stesso, una salvaguardia di sé nella demolizione dell’altro.

    Oltre ad essere un vizio è un meccanismo di difesa, disperato tentativo maldestro di recuperare la fiducia e la stima di sé stessi impedendo la caduta del proprio valore svalutando l’altro; questa è la strategia dell’invidioso: svalutare le persone percepite come «migliori» di sé non solo in pensieri e parole, ma anche danneggiando il malcapitato invidiato, considerato colpevole di farsi apprezzare e stimare dagli altri più del dovuto, più di quanto non lo sia l’invidiante.

    Non confondiamo invidia e gelosia: la prima è risentimento verso qualcosa che qualcuno ha, ma che non mi appartiene; la seconda è la paura che qualcuno mi porti via ciò che già ho; l’invidia è figlia della frustrazione e di un senso di impossibilità a realizzarsi, che si riflette in un odio distruttivo verso l’altro; in realtà l’invidioso «è un carnefice di se stesso» (S. Pier Crisologo) e di chi gli è vicino.

    Nella società della competizione, del successo e della nuova ricchezza, l’invidia cresce a dismisura, è proporzionale all’esibizione esagerata di pochi contro il disagio e la delusione di molti.

    Il sociologo Paolo De Nardis parla dell’invidia nel suo "L’Invidia. Un rompicapo per le scienze sociali (2000)" e avanza l’interrogativo se l’invidia non sia un peccato capitale della nostra società: così Helmut Schoeck nel suo L’invidia e la società (1974) dimostra che l’invidia è uno dei più importanti motori sociali sia nelle società comuniste, sia in quelle capitalistiche, e c’è anche chi annota che l’invidia è stata considerata una pecca della democrazia già dal mondo greco, dalle Vespe di Aristofane fino alle acute analisi di Tocqueville.

    L’invidia è un sentimento che non sopporta il limite naturale in forza di una pressione sociale, perché è la società a decidere il valore degli individui, e nella società contemporanea il criterio di decisione è il successo.

    Il sentirsi limitati e impotenti ha un carattere costitutivamente relazionale, nel senso che dipende dalle relazioni sociali attraverso cui passa il riconoscimento individuale; quando la società fa mancare il riconoscimento produce la metamorfosi dell’impotenza in invidia, e aumenta al suo interno la circolazione di questo sentimento che impoverisce il mondo senza riuscire a valorizzare chi lo prova; è proprio questa la ragione per cui l’invidioso è costretto a nascondere il suo sentimento e a non lasciarlo mai trasparire perché altrimenti darebbe a vedere la sua impotenza, la sua inferiorità e la sua sofferenza.

    L’invidia, in questa prospettiva, oltre un vizio capitale è un indotto sociale, e fatta salva l’istanza di giustizia che può promuovere, è un sentimento «inutile» perché non approda alla valorizzazione di sé, «doloroso» perché rabbuia e impoverisce il mondo, e per giunta è un sentimento da tenere «nascosto» senza neppure il conforto che può venire dal parlarne con qualcuno; pochissimi, infatti, parlano chiaramente e volentieri dell’invidia che provano: parlarne apertamente inibisce perché è come mettersi a nudo, svelare la parte più meschina e vulnerabile di sé; parlare della persona che si invidia e spiegare il perché, significa parlare della parte più profonda di sé stessi, delle aspirazioni e dei fallimenti personali, delle difficoltà e dei limiti che si trovano in noi stessi.

    Chesterton dice che l’uomo che non è invidioso vede le rose più rosse degli altri, l’erba più verde e il sole più abbagliante, mentre l’invidioso le vive con disperazione. Uno sguardo purificato, aiuta a cogliere il valore delle cose, la loro intima bellezza e non riduce tutto all’oggetto da catturare e possedere ad ogni costo.



    (*di Guglielmo Borghetti)

    “Se qualcuno ti dice che non ci sono verità, o che la verità è solo relativa, ti sta chiedendo di non credergli. E allora non credergli.”

  • Si può essere invidiosi anche in silenzio, senza danneggiare nessun altro se non se stessi. Non sempre l'invidia si coniuga alla cattiveria, a un animo torbido, molte volte è figlia dell'insicurezza, nasce dalla paura di non essere o di non possedere ciò che ci rende apprezzati agli occhi degli altri.

    In questa società, più ancora che in quella di ieri, è facile essere invidiosi. E' la società dell'apparire, dell'immagine. Tutto quello che fai, che possiedi, viene messo in mostra nelle varie vetrine esistenti, internet, social network, tv. La società ti chiama ogni giorno a dimostrare di essere qualcuno, sembra quasi una gara. Facebook è strapieno di foto di vacanze, di divertimenti, di uscite con gli amici. Gli album delle ragazze sembrano book fotografici di modelle. Se ti compri un auto nuova corri a scriverlo sul tuo blog, su facebook, su twitter. Tutti praticamente mostrano tutto e continuamente. Chi è fuori da questo giro, per i motivi più svariati (chi non è fotogenico, chi non esce perché non ha amici, chi non ha i soldi per viaggiare, chi ha una vita piatta per scelta o imposizione) si sentirà inevitabilmente invidioso, ipocrisie a parte, naturalmente. Ma questo era solo un esempio, una piccolissima goccia nell'oceano.

    Ovviamente il problema non sono i social network in se, ma rendono bene l'idea della logica complessiva di questa società, che non ti spinge ad accontentarti, ma che istiga di continuo alla competizione, all'infelicità per ciò che non possiedi. La tv manda in onda la vita di personaggi famosi e bellissimi, con relative ville e case da sogno, come se volesse dirci: "è questo il modello a cui aspirare, è da loro che si dovrebbe prendere esempio, la felicità si raggiunge così". La tv non critica, anzi elogia tutto questo, lo pone sull'altare. E' una società che ha praticamente proclamato moda e bellezza come valori quasi imprescindibili per sentirsi una persona brava e bella. Pensate ai canoni di bellezza, alle pubblicità, al nostro mondo insomma. Tutto istiga a un confronto con gli altri, con relativa (e in certi casi inevitabile) frustrazione.

  • pochissimi, infatti, parlano chiaramente e volentieri dell’invidia che provano: parlarne apertamente inibisce perché è come mettersi a nudo, svelare la parte più meschina e vulnerabile di sé; parlare della persona che si invidia e spiegare il perché, significa parlare della parte più profonda di sé stessi, delle aspirazioni e dei fallimenti personali, delle difficoltà e dei limiti che si trovano in noi stessi.

    Ma chi prova simili sentimenti, a mio parere, non li ammetterà mai e quindi: come regolarsi invece verso chi, per invidia, non si fà scrupolo di ferire cercando di mettere alla berlina l'invidiato?

  • Non so se ho capito bene la domanda: ti stai chiedendo quale comportamento adottare verso coloro che ci invidiano? O verso coloro che invidiano terzi?

    “Se qualcuno ti dice che non ci sono verità, o che la verità è solo relativa, ti sta chiedendo di non credergli. E allora non credergli.”

  • credo che però possa essere un ottimo carburante per migliorarsi.

    io la vedo come una specie di benzina.

    ovviamente bisogna stare attenti a non andare a fuoco...

    “In Rock you play 3 chords and have 1000 people listening, but in Jazz you play 1000 chords and have 3 people listening!” ~ Frank Zappa on differences between Jazz & Rock music

  • Ammettiamo la frustrazione, che ci sta benissimo, ma perchè invece di denigrare ed invidiare non si cerca di migliorare sè stessi?

    Alcuni lo fanno, altri no.

    Ad ogni modo non sempre è possibile farlo. Se non sono bella, se il mio viso è quello che è (lineamenti duri e sgraziati) se sono poco brillante nei rapporti interpersonali perché non posseggo una buona parlantina ma vorrei avere la stessa disinvoltura di tante mie amiche, se ho un'incredibile sfortuna con gli uomini mentre la maggior parte delle ragazze del mio giro di amicizie sono felicemente sposate con prole.. beh c'è poco da fare. Ovviamente sono tutti esempi che non hanno a che fare con la mia diretta persona, li ho sparati un po' così per rendere l'idea di quello che voglio dire.

    La bacchetta magica non esiste, purtroppo. Dove è possibile sarebbe giusto migliorarsi, ma per molte cose non basta solo la volontà e resta un gran senso di vuoto, che può prendere le sembianze dell'invidia come dell'infelicità.

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