Cappa pesante sulla testa e sul nucleo interno del mio essere.

  • Sento come una forte cappa che mi opprime, rendendomi al contempo più leggero. La leggerezza è quella che ti porta lentamente al nulla, la cappa invece c'è ed è forte. Pongo troppo l'attenzione sugli altri, su chi in questo periodo è costretto a vivere con me. Penso seriamente che si tratti di costrizione: un po' come chi perde la moglie di parto e si trova a vivere con una figlia che istintivamente considererà sempre come la causa di quella morte. Il figlio brillante non c'è più, s'è trasformato di colpo in uno sfaticato perdigiorno che per giunta crea problemi a causa dei suoi "disturbi" di ansia e depressione, e a causa dei suoi irritanti momenti bipolari. Sento che verso di me c'è odio, e questa è una sensazione autentica, non istintiva, mediata da un ragionamento (anche se a ragionare è comunque la mente, con tutti i suoi limiti, momentanei o presenti sin dalla nascita). Tutto sta nel precisare la natura di questo odio. Non è l'odio di chi sinceramente viene a prepararti la camomilla, di chi sinceramente viene ad asciugarti le lacrime. E' l'odio di chi non riesce a sopportare l'irritazione, fondata su tutta una serie di idee sbagliate, che a causa di questo mondo i miei genitori, mio fratello, mio cugino (che per me era come un fratello), i miei nonni, i miei zii si sono formate nella mente. Non lo dicono apertamente, ma per loro la mia sofferenza è "evitabile", è quasi se come pensassero che non sia autentica, che sia autovoluta. E' più forte di loro, non gliene faccio una colpa. L'irritazione trapassa in quell'odio sottile, quell'odio che dura pochi istanti, non di più, giusto il tempo che serve al cervello per dire: "No, è comunque mio figlio/fratello/cugino/nipote e lo DEVO amare". L'amore che scaturisce dopo questo istantaneo pensiero negativo è comunque vero: segno che il Singolo, alieno dalla società, ama ancora, perchè è talmente puro che è capace di amare sempre; è l'uomo-alienato che non può amare pienamente.

    L'ignoranza di chi si adatta troppo al mondo, purtroppo, è davvero inevitabile. Però a soffrirne sono io, a soffrire e a pensare di essere nato in un posto sbagliato, di dover fuggire senza lasciare notizia, di avere l'impressione di non essere più a mio agio qui. A soffrire per il fatto che nella mia mente ci sia qualcosa che mi faccia ritenere superiore agli altri, che mi ha fatto perdere l'umiltà e la vera, genuina voglia di vivere. Adesso se guardo dentro di me mi sento un diamante che brucia totalmente: un diamante consapevole, che sa di perdere piano piano la sua purezza, e con essa la sua essenza.

    Allora la mente pone l'attenzione solo alle frasi brutte, da cui traspare nitida la delusione dei miei genitori. Il cuore si gonfia, la mente si blocca, va in panne, gli occhi non riescono, pur volendo, a piangere. Una cappa si divide per quante sono le mie cellule e le avvolge con il suo manto nero. Quelle frasi rimbombano nella mente, quando pare ci sia uno spiraglio di luce d qualche parte. Quando pensi di non essere veramente inferiore agli altri per tutto quello che si fa. Quando ti accorgi di poter essere te stesso nonostante il mondo. Quando scopri una cosa, quando capisci un principio della fisica su cui hai buttato il sangue per tre giorni interi; quando risolvi un problema capace di stimolare veramente la tua mente; dall'attimo di felicità che ne scaturisce, si passa subito a queste parole, che come il tuo peggior nemico, come chi osteggiava Falcone e Borsellino nel loro prezioso lavoro, vengono a ricordarti che tu devi soffrire. Nel pieno di quei momenti provi a pensare che i tuoi genitori non siano poi così trasformati: poi ti rendi conto che non è così. Provi pietà per loro, non gli vuoi male: però dentro maceri come un cane, un po' perchè senti di essere superiore a loro (questa esperienza mi ha aiutato, forse, ad apprezzare persone come me e i barboni e i falliti che loro considerano esempi negativi), un po' perchè ti rendi conto che la tua esistenza, per loro, è un nulla, e che il mio vivere, non avendo altre persone con cui condividerlo, non sarà servito a niente, almeno su questa terra.

    Come vedete questo post non pone domande. Non pone richieste di aiuto. Tuttavia parole di altri utenti saranno ben accette come al solito. Perchè ho scritto allora? Perchè dovevo vomitare qualcosa, fosse anche per andare a letto con il senso di aver impresso qualcosa sull'intangibile pellicola della storia. Anche se questo qualcosa è sempilcemente la storia del mio sentire, e non qualche conquista o risultato.

  • Se vi può aiutare a capire come mi sento, mi guardo ognimomento, soprattutto quellidi gioia (che si trasformano in dolore) in un ipotetico specchio, e mi vedo come quel barbone di cui parlo sempre. Io una persona la guardo negli occhi prima di tutto. Non le guardo il c∙∙o se donna o le tette, no, le guardo lo sguardo, nemmeno gli occhi. In questo esercizio, io guardo me stesso negli occhi, nel passato nel presente e nel futuro. E guardo, per il futuro, me con le mani ai fianchi e con quello sguardo. E' uno sguardo comunque triste.

  • Ora ho un pò di fretta ma risponderò dopo. Volevo solo fare un appunto, sei molto lucido quando affermi che per gli altri la nostra sofferenza è autovoluta...è così...io prima stavo dalla parte dei sani e guardavo negli occhi il mio papà depresso e ci vedevo dentro sofferenza, rassegnazione, e un pò di autocompatimento, ero sicura che fosse come dici tu e ti dico che in effetti anche se poi sono passata alla depressione in prima persona, mi rendo conto che un pizzico di verità c'è lo stesso. Si sceglie di vivere nel limbo della depressione... in qualche modo...chiarirò poi il mio pensiero, ora scappo!

    I giorni e le notti suonano in questi miei nervi di arpa, vivo di questa gioia malata di universo e soffro di non saperla accendere nelle mie parole.

  • Il figlio brillante non c'è più, s'è trasformato di colpo in uno sfaticato perdigiorno che per giunta crea problemi a causa dei suoi "disturbi" di ansia e depressione, e a causa dei suoi irritanti momenti bipolari

    Non so se sei disoccupato e troppo depresso per cercare lavoro, ma mi ricordi mio figlio quando, disoccupato e senza aver terminato gli studi, stava tutto il giorno al computer e non faceva niente- Lo capivo, ma mi irritava tornare dal lavoro e avere tutte le faccende da sbrigare, preparare il pranzo ecc. mentre lui non muoveva un dito.
    Lo amavo ma...provavo un certo fastidio nel suo ciondolare in pigiama.
    Di colpo ha trovato lavoro in un'altra città e ha ritrovato tutte le sue forze, mettendosi in gioco.E' letteralmente rinato! Devi iniziare a fare qualcosa di attivo e vedrai come starai meglio!
    Se ho detto stupidaggini, scusa, non conosco bene la tua situazione. :hmm:

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