Poliamore, cosa ne pensate?

  • Sei poliamoroso? Ok dillo prima, fatti un bugiardino da presentare agli incontri "si rende noto che sono poliamoroso", altrimenti si cade nella disonestà

    Secondo me chi sente l'amore come donazione di sé verso gli altri, non pensa nemmeno alle relazioni nel senso romantico del termine. Ma dedica la sua vita agli altri, nei modi in cui la società consente di fare.


    E' pieno di persone così, anche se non fanno rumore. A mio avviso, è il caso di alcuni (non tutti ovviamente), missionari, o suore, ma anche laici, mi è successo di sentire discorsi che sembravano provenire da altre dimensioni: persone che credono profondamente nel donarsi, ma proprio come vocazione... evito di riportare esempi del tipo "Madre Teresa", ma ce ne sono. Già guardando la vita di certi mistici, si capisce che il discorso va oltre la fede religiosa, è proprio un'altra visione.

  • Anche perché non mi è chiaro, tornando all'esempio della donna attratta dal collega: come questo possa trovare un'applicazione concreta sul piano morale ed etico.

    Tornando all'esempio del collega.

    Beh, ma nei confronti di una persona che si frequenta in ambito lavorativo e che, umanamente e comprensibilmente, può suscitare attrazione, quale altro sentimento più profondo e consolidato, a tuo avviso, potrebbe esserci? Dopotutto, non la si conosce davvero e lei non conosce te.

    Perché?


    Una persona con cui magari lavori da anni, non vedo perché non dovresti finire per conoscerla. In fin dei conti, tutte le persone finiscono per incontrarsi in qualche ambiente, che sia al corso di pilates o in ufficio; non cambia tanto.

    Vedi sopra. Anche se trattasse di un interesse che vada al di là del desiderio fisico, ma abbia tratti propri dell'infatuazione, non ne puoi conoscere la natura finché non lo hai vissuto.

    Ok, da persona senza esperienza vissuta, posso cedere terreno su questo punto. Però allora anche per gli amori non corrisposti diviene errato utilizzare la terminologia amore; invece, si utilizza comunemente.

    E non riducendosi semplicemente a un "sperimentare": conoscere altri al di fuori della coppia, andarci a letto e, solo in seguito, arrivare magari alla conclusione che non fanno per sé.

    Se dici che solo l'unione fisica sia il banco di prova che possa portare un sentimento oltre il livello di intensità dell'infatuazione, non controbatto.

    Come ho già evidenziato, parliamo di eventualità già conosciute come "relazioni aperte", dove uno dei partner si mostra tollerante verso la promiscuità dell'altro, quindi l'introduzione di un terzo elemento nella coppia.

    Nel concreto sì, penso sarebbe simile alla relazione aperta: ognuno frequenterebbe chi gli fa piacere spontaneamente frequentare, ma non penso avverrebbe il riconoscimento di una coppia predominante; altrimenti sarebbe un primo passo verso l'esclusività.


    Nessuno vieta che poi nel tempo alcuni possano virare spontaneamente verso l'esclusività.

    Che io sappia, non è possibile obbligare nessuno a fare ciò che si vuole; tutt'al più la pretesa può restare una pretesa, ma non cambia poi la realtà.

    Sì, la pretesa è solo un aspetto interiore in definitiva; cambiano unicamente le reazioni emotive che poi manifestiamo nella realtà.

  • Perché?


    Una persona con cui magari lavori da anni, non vedo perché non dovresti finire per conoscerla. In fin dei conti, tutte le persone finiscono per incontrarsi in qualche ambiente, che sia al corso di pilates o in ufficio, non cambia tanto.

    Diciamo che non basta condividere lo stesso ambiente, anche per anni, per poter dire di conoscere davvero una persona. Al limite la si può conoscere per quello che sceglie di mostrare di sé, ma resta aperta la questione dell'intimità.


    Il livello di intimità dipende da quanto ciascuno è disposto (o è in grado) ad aprirsi all'interno del rapporto, affinché si possano esplorare insieme quei lati che tendiamo a nascondere, talvolta persino a noi stessi, perché ci fanno sentire inadeguati o difficili da accettare. Per questo motivo, l'intimità richiede tempo per instaurarsi, pazienza e la volontà di comprendersi.


    Ci sono anche i lati egoistici, che spesso non riconosciamo come tali e tendiamo a giustificare a noi stessi, non per cattiveria, ma perché siamo umanamente portati a misurare la realtà esterna in relazione ai nostri bisogni. E certamente l'altra persona mostrerà i suoi umani egoismi e questo diventa talvolta terreno per i conflitti. Conflitti che bisognerà in qualche modo superare senza inasprire le reciproche posizioni o creare rancori, quindi senza forzare, mantenendo il senso della responsabilità e, per tornare in tema, senza usare la pretesa, ma saggezza.


    Insomma, non è facile né scontato.

    Diviene errato utilizzare la terminologia amore: invece si utilizza comunemente.

    Dipende dal caso. Gli amori non corrisposti non sono tutti uguali o vissuti con la stessa consapevolezza. In certi casi, potrebbe anche trattarsi di amore, pure se non vi è (o non vi è più) il lato della relazione, con tutti i limiti che ciò comporta, ma può essere un sentimento rispettabile.


    Diciamo che l'amore non corrisposto non è che abbia poi tanto da proiettare sull'altro, a differenza di quando si va per sedurre o per essere sedotti. È già una forma di accettazione in sé.

    Se dici che solo l'unione fisica sia il banco di prova che possa portare un sentimento oltre il livello di intensità dell'infatuazione: non controbatto.

    No, non intendo dire che sia soltanto l'unione fisica a costituire il banco di prova. Tuttavia, la sessualità nel suo complesso - non solo l'atto in sé - attiva una serie di fattori che consentono di conoscere l'altro e, al tempo stesso, di approfondire la conoscenza di sé.

  • Diciamo che non basta condividere lo stesso ambiente, anche per anni, per poter dire di conoscere davvero una persona. Al limite la si può conoscere per quello che sceglie di mostrare di sé, ma resta aperta la questione dell'intimità.

    Ok, questo lo capisco, però (intimità a parte), questo l'ho visto succedere anche in coppie rodate, il classico: "Non pensavo che tu fossi così!". Detto di solito con astio, dopo che è stata disattesa una qualche idea o proiezione. Ovvero, messi di fronte alla realtà, magari anche dopo anni, una realtà differente rispetto a ciò che si desiderava o credeva.

    Il livello di intimità dipende da quanto ciascuno è disposto (o è in grado) ad aprirsi all'interno del rapporto, affinché si possano esplorare insieme quei lati che tendiamo a nascondere.

    Diciamo che, forse, dipende anche dalla capacità individuale di essere in grado di "leggere" l'altro, di saperne cogliere i dettagli, evitando invece di proiettare nell'altro i propri desideri.


    Certo, se poi tizio o tizia di turno porta una maschera spessa due dita: a voglia di riuscire a conoscerlo o conoscerla. Eventuali errori di "lettura", in quel caso, non sono attribuibili alla scarsa capacità del "lettore".

    Poi: che tornino utili oggettivamente a creare garanzie sull'accudimento della prole, questo sì. Tutti gli istinti hanno un perché.

    Insomma: un conto è la logica utilitaristica (per quanto possa essere funzionale), un conto è la logica del sentimento. Se la logica utilitaristica si mischia al sentimento, a mio avviso lo rende meno puro: come mischiare sabbia e cemento.

    No, non intendo dire che sia soltanto l'unione fisica a costituire il banco di prova. Tuttavia, la sessualità nel suo complesso - non solo l'atto in sé - attiva una serie di fattori che consentono di conoscere l'altro e, al tempo stesso, di approfondire la conoscenza di sé.

    Sì, questo immagino di sì. Senza dubbio penso che sia un'esperienza che offra la possibilità di cogliere molto di più dell'altro: sensibilità individuale e assenza di maschere o proiezioni permettendo.

  • È piuttosto quindi il suddetto poliamore, al contrario, a apparire come un prodotto culturale legato a esigenze sociali di una società che tende a trasformare ogni capriccio in un presunto diritto, senza poggiare su alcuna base naturale consolidata, se non sull'intento di soddisfare impulsi momentanei edonistici, evitando responsabilità e impegno a lungo termine.

    Ottimo spunto di riflessione, grazie Alba Cremisi.

    Io credo che l'uomo sia in perenne lotta tra il suo lato apollineo ed il suo lato dionisiaco, tra la ricerca dell'ordine e dell'armonia e il fascino del caos.

    Un po' fuori tema forse... comunque è curioso come dal poliamore si sia scatenata questa discussione molto profonda che tocca tanti altri temi.

  • Ok, questo lo capisco, però (intimità a parte), questo l'ho visto succedere anche in coppie rodate, il classico: "Non pensavo che tu fossi così!".

    Sì, certamente: accade anche alle coppie che si conoscono da anni.

    Ciascuno di noi, tendenzialmente, si costruisce un'immagine degli altri (o, per meglio dire, dell'intera realtà, colorandola a seconda della propria personalità e quindi astraendo dalla stessa certi elementi piuttosto che altri).


    L'immagine non è altro che il nostro punto di vista soggettivo sul mondo: può risultare più o meno aderente alla realtà, ma resta comunque una percezione personale. A volte, infatti, guardiamo attraverso il filtro dei nostri giudizi, delle paure, delle emozioni o dei bisogni.


    Inoltre, l'Io tende a censurare ciò che potrebbe renderci più sinceri con noi stessi. Un esempio è il meccanismo della proiezione: attribuiamo agli altri ciò che non riconosciamo in noi, perché ammetterlo incrinerebbe l'immagine che l'Io ha costruito di sé.

    Diciamo che, forse, dipende anche dalla capacità individuale di essere in grado di "leggere" l'altro, di saperne cogliere i dettagli, evitando invece di proiettare nell'altro i propri desideri.

    Esattamente.

    Insomma: un conto è la logica utilitaristica (per quanto possa essere funzionale), un conto è la logica del sentimento. Se la logica utilitaristica si mischia al sentimento, a mio avviso lo rende meno puro: come mischiare sabbia e cemento.

    Se ci pensi, lo stesso atto di sopravvivere ci pone ogni giorno di fronte a scelte istintive ed egoistiche, spesso lontane dalle logiche di un amore puro. Cercare a tutti i costi di distinguere gli istinti - e quindi l'utilitarismo - dal sentimento genera inevitabilmente molti paradossi filosofici.


    In realtà, tutti noi siamo mossi da istinti egoistici: è naturale. Senza di essi non esisterebbe nemmeno l'impulso a entrare in relazione con gli altri, fino al desiderio di avere dei figli.


    Questo, però, non significa che non si possa amare il partner o i propri figli, arrivando perfino a dare la vita per loro. L'utilitarismo si manifesta quando si sfrutta una persona e poi la si abbandona come se nulla fosse: lì risiede la vera indifferenza.


    Anche quando si ama con tutto l’egoismo del caso - fatto di possesso, di desiderio - resta comunque impossibile restare indifferenti. E lo dico per esperienza personale: persino quando l'altro, con i suoi comportamenti, ci causa sofferenza, non possiamo smettere di sentirci responsabili nei suoi confronti.

    DALI :hibiscus:

  • In realtà, tutti noi siamo mossi da istinti egoistici: è naturale. Senza di essi non esisterebbe nemmeno l'impulso a entrare in relazione con gli altri, fino al desiderio di avere dei figli.

    Esatto! Se non ci fosse un minimo di spinta iniziale egoistica ci estingueremmo.

    I ricordi sono sempre bagnati di lacrime

  • Esatto! Se non ci fosse un minimo di spinta iniziale egoistica ci estingueremmo.

    "Curare, curat", dicevano i Latini: curare gli altri è anche una forma (egoistica, apparentemente, secondo taluni) di curare sé stessi.


    In amore funziona allo stesso modo: dare all'altro genera spesso un ritorno positivo, e può rafforzare equilibrio e felicità personali, si tratta di un meccanismo naturale. Quindi amare l'altro e amare sé stessi non sono in contraddizione; anzi, spesso si potenziano a vicenda.

  • Cercare a tutti i costi di distinguere gli istinti - e quindi l'utilitarismo - dal sentimento genera inevitabilmente molti paradossi filosofici.

    Può essere, o per lo meno non è una matassa semplice da tentare di sgrovigliare senza fare confusione. Personalmente ci provo, perché tre quarti di quelli che poi sono i conflitti, se si scava, a mio avviso scaturiscono dalla matrice egoico-istintiva. Non è un caso che, folcloristicamente, io li definisca "demoni" egoici, in quanto creano scompiglio. Allo stesso tempo, con rammarico, immagino che lo scompiglio sia movimento e il movimento sia vita. Se tutto fosse perfetto, probabilmente sarebbe fermo.

    Se ci pensi, lo stesso atto di sopravvivere ci pone ogni giorno di fronte a scelte istintive ed egoistiche, spesso lontane dalle logiche di un amore puro.

    Verissimo, anche il solo respirare porta alla morte di virus o altri microrganismi: la vita si ricava la sua esistenza in una nicchia di egoismo. Mi chiedo a volte in che misura avessero ragione gli gnostici con la loro visione sul Demiurgo. Ma non voglio scivolare troppo OT.

    Anche quando si ama con tutto l’egoismo del caso - fatto di possesso, di desiderio - resta comunque impossibile restare indifferenti. E lo dico per esperienza personale: persino quando l'altro, con i suoi comportamenti, ci causa sofferenza, non possiamo smettere di sentirci responsabili nei suoi confronti.

    Perché comunque sia, manifesti un sentimento che mitiga, oppure interviene la coscienza a indossare le vesti di mitigatore. Non è tutto bianco o nero, ma gli istinti in sé tenderebbero a essere ciechi. C'è chi diviene abbastanza "cattivello". Ho avuto a dover "placcare" comportamenti altrui piuttosto distruttivi di matrice istintiva, per questo tendo a farci attenzione.

  • Certo che, però, se esistesse il poliamore, riflettevo che sarebbe in antitesi al concetto di "chiodo scaccia chiodo", a meno che il funzionamento del "chiodo scaccia chiodo" non riguardi solo il poter utilizzare la scarica ormonale emotiva (infatuazione) come potenziale di energia e distrazione per operare una spinta al distacco e, dunque, non l'aspetto del sentimento, il quale eventualmente si aggiungerà in seguito.


    Mi chiedo, oltretutto, come potrebbe inserirsi in personalità più o meno dissociate, ma non voglio divagare troppo.

    Quindi, per superare controllo e possesso e via dicendo, lo si può fare anche in un legame monogamo, a mio avviso. Solo che, quando si prende atto che i bisogni sono cambiati e che vi è necessità di fare altre esperienze con altre persone (o di stare da soli), la relazione si interrompe. Ma può sempre proseguire un'amicizia o un affetto.

    Riflettevo anche su questo aspetto, a cui ti avevo risposto.

    E come lo superi, oltretutto?

    Si prende atto? Dunque, il superamento è automatico? Ad un certo punto avviene semplicemente senza alcuno sforzo o disciplina? A mio avviso c'è solo un modo di superare qualsiasi "demone" egoico: prima lo devi conoscere, certamente, come per la causa del mal di denti, ma poi serve disciplina per eradicarlo, o per lo meno dominarlo anziché esserne dominati, posseduti, emotivamente sequestrati.

    Però, in effetti, è vero che esiste anche un metodo di superamento egoico, in un certo senso per "saturazione".


    Ricordo che avevo letto, non mi ricordo dove, di una specie di tecnica che, per far superare, se non sbaglio, le paure, induceva a imporre a sé stessi di esagerarle a comando: tipo, se avevi paura dei cani, tutti i giorni, ad un orario stabilito, ti mettevi ad esprimere emotività nei confronti dei cani in una maniera esagerata persino per te. Ad esempio, ti mettevi ad urlare con forte pathos: "Oddio, i cani mi mangiano!".


    Alla lunga, il cervello si annoiava per la forzata saturazione di stimolo e mandava in disuso il meccanismo di fobia. O qualcosa del genere.


    Per cui, in effetti, quando si è vissuto abbastanza di un'esperienza, quando si è "sazi", probabilmente si può lasciar andare anche meccanismi istintivi.

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