Non riesco a chiedere aiuto, devo sempre cavarmela da sola

  • Ti capisco molto bene Lupetta, anch'io sono come te. Chiedere aiuto è proprio l'ultima cosa che farei, non mi viene proprio naturale.

    Chissà da cosa dipende :/

    Forse nel mio caso c'entra anche il fastidio di sentirmi in debito nei confronti di chi vorrebbe aiutarmi, oltre al fatto che ho sempre la sensazione di andare a disturbare gli altri..


    Eppure sento che avrei un gran bisogno di farmi aiutare... ma non ci riesco proprio.

    Mi associo alla categoria! <3

    È paura e orgoglio insieme. Ho un sacro terrore di affidarmi, non ce la faccio, qualcosa dentro di me mi tiene indietro, distante.

    Secondo me tu l'hai detto benissimo, nel parlare di "paura e orgoglio insieme", ma anche il "fastidio di sentirsi in debito e la sensazione di disturbare" citati da Evelyn91 non sono da meno...


    Se io dovessi cercare di dettagliare per me, la direi alla Evelin91.


    Non so spiegarmi neanche io le ragioni.

    O meglio, su di me, se ci rifletto, ho avuto un padre che avrebbe fatto di tutto e di più per me, ma ho anche avuto una madre di cui ricordo benissimo il mio affidamento fideistico infantile a lei, ma ricordo anche i suoi momenti nevrotici di "rifiuto e negazione" della propria disponibilità, e anche in frangenti che non avrebbero avuto nulla di particolarmente impegnativo per lei, ma che, se li ricordo, un segno importante dovrebbero pure averlo lasciato.

    (Ragionare e scrivere è sempre prezioso: sto realizzando questa possibilità solo ora, giuro. E questa possibilità è molto verosomile, quando hai interiorizzato il concetto di poter essere di peso e disturbo, da bambinetta, a chi è fideisticamente il tuo tutto...) ?(

    Tutti pensano a cambiare il mondo, ma nessuno pensa a cambiare se stesso. (L. Tolstoj)

  • Purtroppo per qualcuno, se chiedi aiuto sei obbligato ad accettarlo, altrimenti sei tu il colpevole del tuo problema.

    Ed accettarlo significa adattarti all'aiutante, ossia "se hai avuto bisogno significa che non sei stato in grado di aiutarti da solo e quindi ora fai come dico io". A chi verrebbe fiducia con questi presupposti?


    In che senso farti aiutare ti farebbe bene, nel senso psicologico?

  • Questo mio modo di essere ingenera discussioni con tutti, che si sentono non considerati ed esclusi dalla mia vita, e in realtà è così.

    Cara Lupi, leggendo, mi sono venuti subito in mente gli "stili di attaccamento" e il tuo mi ricorda l'insicuro-evitante.


    Nel tempo ho potuto scorgere, attraverso i tuoi interventi e racconti, qualche elemento della tua storia e, se non erro, hai avuto una madre che non è stata presente, poi un'infanzia in collegio e, tra gli eventi "più recenti", una sorella che non può esserti di supporto e la perdita di tuo marito.


    In sostanza, rilevo già diversi possibili eventi che, sia nell'infanzia che in età adulta, avranno intaccato duramente la possibilità di potersi fidare ed affidare. D'altronde, l'archetipo del lupo è un po' quello di un guerriero solitario, animale da branco ma anche sfuggente, che affronta la foresta e la natura con le sue sole forze.


    Non ti dico nulla di nuovo, ma forse a volte è utile sentirselo dire da campane, per così dire, "esterne".


    Il mio pensiero è che i contorni della personalità si possono modellare ma non cambiare del tutto, e certi imprinting resteranno. Questo è un bene perché, se si va a vedere, sono gli stessi lati che hanno salvato la vita, spingendo a reagire alle difficoltà esterne.


    Dunque, si possono conoscere questi contorni e le tante sfumature di noi stessi, al punto che non sia una paura, l'orgoglio o un blocco emotivo a decidere inconsciamente, ma sia eventualmente la nostra coscienza a decidere se ci si sente pronti a fare un passo oltre, oppure no.


    Infatti, ritengo che nulla debba essere dentro di noi forzato o violentato per essere reso diverso da come è. È sufficiente essere sinceri e vedere, senza giudizio alcuno, anche quei lati che potrebbero non piacerci, man mano che li scopriamo nelle varie sfaccettature, alcune a volte insospettate.


    Detto ciò, è importante in un rapporto – per renderlo intimo – poter mostrare le proprie fragilità. Ma questo può voler dire, al di là di ogni filosofia e ad un livello puramente pratico, porgere il fianco. Quindi, è un bel dilemma tra l'anelito ad aprire il cuore e poi pentirsene di averlo fatto, subendone inevitabili o prevedibili conseguenze.


    Personalmente, risolverei con questo principio: sempre sulla scia della conoscenza di noi stessi, dobbiamo accordare la fiducia che sentiamo potrà eventualmente essere delusa (o tradita). Non di più. Doniamo (anche della nostra intimità e fragilità) quello che possiamo donare.


    Un certo sforzo nel donare è necessario, ma questo non deve, come dicevo, sbilanciarsi nella forzatura. Poi, è impossibile non fare errori nel cammino, perché lo facciamo appositamente per imparare e conoscere chi siamo.

  • Grazie Juniz :* Devo dirlo, mi hai fatto una radiografia dell'anima. Quando hai citato l'attaccamento insicuro evitante mi sono ricordata di averne letto qui, forse anche in un tuo intervento, e subito qualcosa mi è risuonato dentro, mi sono detta "Hey ma sono io". Quando ho letto il tuo post non sono riuscita a rispondere subito perché mi ha colpita nel profondo, è stato come se tu avessi restituito un'immagine nascosta di me <3 devo metabolizzare :)

  • Grazie Juniz :* Devo dirlo, mi hai fatto una radiografia dell'anima. Quando hai citato l'attaccamento insicuro evitante mi sono ricordata di averne letto qui, forse anche in un tuo intervento, e subito qualcosa mi è risuonato dentro, mi sono detta "Hey ma sono io". Quando ho letto il tuo post non sono riuscita a rispondere subito perché mi ha colpita nel profondo, è stato come se tu avessi restituito un'immagine nascosta di me <3 devo metabolizzare :)

    Dopo aver letto l'intervento di Juniz, qui posso dirlo, mi sono messa a piangere e io non piango quasi mai. E, forse per la prima volta, ho pianto per ME ben consapevole di farlo per ME.

  • D'altronde, l'archetipo del lupo è un po' quello di un guerriero solitario, animale da branco ma anche sfuggente, che affronta la foresta e la natura con le sue sole forze.

    Ecco infatti. Ad esempio quando sto male, sia psichicamente che fisicamente, io faccio come gli animali, mi nascondo. Naturalmente nella misura in cui è ragionevole farlo, chiaro che se ho bisogno di un medico mi ci rivolgo ma sempre da sola, non mi faccio accompagnare mai. Pure quando ho avuto l'incidente, io volevo tornarmene a casa, sono state le persone che mi hanno soccorsa a chiamare l'ambulanza. E quando ho avvertito il mio ex, e l'ho fatto solo perché stavo andando da lui e quindi mi stava aspettando, gli ho detto che stavo benissimo, benissimo un corno, le costole mi facevano un male cane X/ ^^

  • Ciao, sono tendenzialmente anche io così. Non chiedo aiuto per due motivi: non voglio "sentirmi in debito" con gli altri, dover magari sentirmi in dovere di ricambiare il favore, e da un lato voglio risolvere le mie cose da me. Non sono al tuo livello, in effetti, ma la tendenza è quella.


    Il bello è che, quando sono io ad offrire aiuto a qualcun altro, non aspetto mai qualcosa in cambio e, perciò, perché mai dovrei sentirmi in debito con chi mi aiuta? In generale, essere fatti in questo modo è un problema, prima di tutto perché evitiamo agli altri di "entrare" nella nostra fragilità e poi, soprattutto, perché chiedere aiuto equivale a capire i propri limiti e accettarli. Noi forse non lo facciamo e andiamo troppo oltre. Quando superiamo il limite, non ce ne accorgiamo... Io non mi sono accorta di avere un problema finché non sono crollata con la depressione ansiosa.


    E adesso sto lavorando su me stessa, dico dei NO più spesso a me stessa e agli altri e cerco di eludere il senso di colpa. Si tratta di un lavoraccio.

  • In generale, essere fatti in questo modo è un problema, prima di tutto perché evitiamo agli altri di "entrare" nella nostra fragilità e poi, soprattutto, perché chiedere aiuto equivale a capire i propri limiti e accettarli. Noi forse non lo facciamo e andiamo troppo oltre. Quando superiamo il limite, non ce ne accorgiamo... Io non mi sono accorta di avere un problema finché non sono crollata con la depressione ansiosa.

    Parole sante! :thumbup:

    E non solo non ci accorgiamo noi di aver superato il limite, ma tanto meno se ne accorge chi riceve i nostri aiuti o favori! Con la conseguenza che hai detto tu, e cioè che diventa un crescendo di richieste che davvero può sconfinare nell'umanamente e letteralmente insostenibile, fino a quando ci si trova costrette alla "scelta" estrema tra il crollare oppure il cominciare a mettere paletti in nome della propria salute!


    Avendolo sperimentato soprattutto in ambito familiare esteso (e cioè comprensivo della mia famiglia d'origine), io sono giunta alla conclusione che abbiamo una grande responsabilità in questo, perché la spontaneità e il garbo del nostro dare senza mai far pesare effettivamente ingenerano nell'altro (e parliamo di altri che ci amano, eh!) la convinzione sincera (quanto sballata) che a noi tutto pesi nulla.


    Personalmente ho preso a dire NO ad altrui richieste, quando la misura era davvero più che colma.

    E ti dirò che il senso di colpa, anche per me, tende a riproporsi sulla scena.

    Ma forse è stato persino un bene aver atteso che la situazione divenisse insostenibile, perché sapendo a quale esasperazione fossi arrivata... non avevo letteralmente altra opzione che quella tra il no agli altri oppure il no più assurdo e kamikaze a me stessa.


    Per cui: oggi, a diradare il senso di colpa, come fumo di una sola sigaretta spenta dopo tre tiri, mi è sufficiente ricordare in quante miliardi di occasioni non ho intuito il benché minimo senso di colpa in chi avrebbe avuto ottime motivazioni per viverne nei miei confronti e invece non l'ha mai provato, e mi vedeva (mea culpa? Possibile) come Wonder Woman.

    Diciamo anche, se vogliamo dirla tutta, che – malgrado legami familiari di indubbio affetto – a volte fa anche COMODO chiudere due occhi su due e sognare la favola bella del congiunto/a che ha superpoteri.

    Peccato sia una favola, e che chi è adulto ed ha Coscienza, siamo seri... se non si gira dall'altra parte o chiude tutti e due gli occhi... può ben saperlo, solo che sceglie di non volerlo sapere...


    E allora: che sensi di colpa ragionevoli dovrei/dovremmo vivere per A) non essere nate Wonder Woman e B) averlo spiegato con calma a chi (madre, ad esempio, ma anche fratello) avrebbe in realtà dovuto arrivarci da solo/a, e invece se n'è bellamente impipato?


    Un abbraccio a tutte le colleghe di questa (superabile) sventura <3

    Tutti pensano a cambiare il mondo, ma nessuno pensa a cambiare se stesso. (L. Tolstoj)

  • Onestamente quando ho compreso questa dinamica perversa me ne sono tirata fuori, avrò fatto bene, avrò fatto male? A dirla tutta non me ne frega una cippa, quando sono stata sola a combattere con una solitudine viscerale me la sono smazzata per conto mio, non ho chiesto niente a nessuno per cui.

  • Ciao Lupetta, ricordo bene che avevi già espresso in altri thread questo lato di te così indipendente e al contempo limitante.

    Lo ricordo perché in questo ti assomiglio molto. Quindi non ti so dire come provare a cambiare, ma posso capirti veramente.

    Nel mio caso, non so da cosa nasca; forse da una chiusura di base, da una sorta di imbarazzo nell'essere consolata o nell'essere la vittima della situazione. Forse, ipotesi, dal fatto che mia madre mi ha sempre trasmesso indipendenza, l'arrangiarsi, il senso pratico. Rarissimamente mi confido, e se lo faccio è sempre in maniera superficiale e approssimativa (a parte qui sul forum eheheh dove propino i miei papiri): in tre parole ti dico come sto e liquido il tutto, per poi passare probabilmente a una domanda su come stai tu. Sono più ascoltatrice che oratrice.

    Spesso sento i racconti di amiche, gli sfoghi, e faccio il confronto: mi rendo conto che io magari ho attraversato le stesse difficoltà o peggio, ma le altre persone nemmeno lo immaginano, perché non l'ho raccontata, o non con quei toni. Ci ho convissuto e basta.

    Non sono a mio agio nella parte della vittima da consolare.

    Ma mi rendo conto che questo atteggiamento accade anche in questioni più pratiche: ora per esempio che sto affrontando un probabile cambio lavorativo, ne parlo giusto a grandi linee, tutto il resto è nella mia mente. Mi do da fare, sento i recruiter, mi immagino in nuove e diverse routine. Ma non chiedo appoggio o comprensione.

    Ma anche in altre piccole cose: magari mi capita di andare con la mia auto in un luogo, e poi qualcuno mi dice "ma se me lo avessi detto, avrei potuto darti un passaggio", io sapevo che avrei potuto chiedere, ma mi sento meglio nell'autonomia.

    So che sono atteggiamenti che mi "isolano", ma non mi ci vedo nella povera ragazza indifesa da aiutare.

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