Lucio Battisti

  • Stasera aprendo il sito ho trovato il post di Patrizia che ha proposto una canzone di Lucio...sono sprofondato...chi è che non è legato a qualche emozione ascoltando una sua canzone, questa di cui parlo però fa parte del "nuovo corso" iniziato e purtroppo finito, con il poeta Pasquale Panella. Un nuovo corso che non è molto conosciuto a differenza dei testi di Mogol, solo perchè è un po più difficile da capire, meno immediato nei testi, ma dove c'è sicuramente una sublime esposizione poetica, surreale e parafrasante, condita dall'abile mano di Lucio che inanella note e motivi di una semplicità estrema, basati sempre sul supporto ritmico del basso e della batteria ma con arrangiamenti magistrali.
    Penso che queste canzoni del periodo post-mogoliano devono ancora essere scoperte. Adesso siamo a dieci anni dalla sua morte ed io, prendendo spunto dal suggerimento di Patrizia, ho deciso di aprire questo thread tutto dedicato a Battisti; penso che così facendo tutti avranno modo di esprimere le loro "emozionì" postando una canzone del grande.......buon ascolto a tutti!
    Grazie a Patrizia.

    La mia prima proposta è tratta proprio dall'album "L'apparenza"......il titolo: Per nome (...pura poesia)



    ...diso:cool::cool:

    Sussurra al Mondo ciò che sei, ma urla a te stesso per capirti. (Kahlil Gibran)



  • La lotta dei cuscini
    senza sonno che spiumano,
    che fanno zampilli di pollini che pullulano
    aggressivi, irsuti, istigatori di starnuti.
    Così tu te la spassi amoreggiando,
    e te la prendi comoda,
    con morbida ovvietà,
    sembrando tu un guanciale
    contro un altro che t'assale,
    il tutto in una schiuma,
    che coi talloni monti come l'uva.
    E come un muschio domestico stampato e
    quanto inutilmente rimboccato.
    Questo composto di onesta futilità
    mista a passione come un cialdone si sfa;
    sulle rovine, vorresti forse anche tu
    in bricioline come una reggia andar giù.
    Tu non ti pungi più,
    e la vaghezza non osa,
    vai molto oltre, tanto poi ti raggiungi.
    Impenni una montagna solidale
    e nel suo fianco falle, falle rudimentali,
    aperte come portali
    per i tuoi puntuali
    appuntamenti molto occasionali.
    E la pianura s'ingrossa:
    fra la cresta e la fossa,
    tu non ti pungi più,
    l'erba enorme cavalca
    bianca e verde cobalto,
    prendendo al volo forme di caduta e di salto,
    infine dorme
    come un binocolo nella custodia
    la tua vista.
    Se un santino
    ti visita e t'indora,
    ma rimandando a poi,
    perché dilegua,
    tu, perché ti accora,
    canonica lo fai
    languire prima
    e mormori un oramai
    come una preghierina.
    Oramai, ora cosa, ora che:
    perso per perso ohimè.
    Candida o perversa
    che non ti pungi più,
    raccolta o dissipata,
    esausta o fresca fresca,
    quasi niente per niente
    pungente pungente,
    ma rizzi e doni quel barbaglio alla Luna.
    Questo è quanto.
    Con una belva accanto,
    è questo il modo in cui
    fai la morosa:
    assumi pose inesplose,
    e non ti pungi più,
    non fai più la raccolta
    d'incanti ardenti ed arsi.
    Una vela è un sottile perché,
    un avvilito ohimè,
    e non si dorme bene
    ché lune piene
    tutte beate, mutevoli e brune,
    tutte toccanti.

    I giorni e le notti suonano in questi miei nervi di arpa, vivo di questa gioia malata di universo e soffro di non saperla accendere nelle mie parole.




  • Potrebbe essere sera,
    potrebbe essere una sera
    alabastrina,
    con le sue venature ed una serpentina
    fessura per passare dalla sera alla notte
    con la nostra piccina.
    Viola il colore della sera,
    l'ora nella quale tutto resta
    non tanto com'era, ma come sarà.
    Rinviate le schegge,
    s'infrangono come vetrate
    le saracinesche,
    come se non dovessero riprendersi più,
    risalire, riaprire un domani.
    E i viali vanno avanti in due filari,
    per pura educazione, così per cortesia
    non finisce la via,
    pur avendo diverse
    ragioni per fermarsi:
    cercare gli aggettivi catarifrangenti
    infranti e lucenti.
    Ma con l'educazione e con la cortesia,
    c'è da fare attenzione tra i viali e sulla via
    nell'ora in cui si avvera
    soltanto il colorito della sera.
    Viola paonazza, la ragazza è sola
    con suo grande sollievo per godere con me,
    si permette un coda, roteata all'intorno,
    se la mette, la leva:
    potrebbe essere sera.
    Le foglie fanno i compiti sui rami:
    i bilanci, i conti,
    la lettura con occhi castani,
    potrebbe essere sera.
    E tu potresti ridendo dire
    "Non ho spiccioli, resti d'inverno,
    né di primavere, davvero non ne ho,
    e non posso cambiare, scusate,
    né l'autunno, né l'estate."
    Viola, paonazza la ragazza è sola,
    passa e ripassa la linguetta rosa
    sopra il quesito del suo labbro squisito.
    E come resiste, ma come resiste
    al lamento ottimista di una felicità;
    si permette un rifiuto con il mento levato,
    più bellina più altera
    potrebbe essere sera.
    Come chi in sonno dicesse una frase così,
    giorno dopo giorno, un rumore così,
    a dissolvere a smorire un frase così
    "Non è così com'è, non è com'era"
    Tu cedi all'insistenza dolce e viola,
    seguendo la pendenza della sera.

    I giorni e le notti suonano in questi miei nervi di arpa, vivo di questa gioia malata di universo e soffro di non saperla accendere nelle mie parole.

  • ...molto sensuale...al primo impatto questa canzone mi sconvolse per le allusioni erotiche "..m'estasiai, e si spostò la tua testa estranea che rotolò.." ," ..ti smemorai, ti stemperai..", "..quando sei dolcezza e liturgia orgetta e leccornia..", che possono anche non essere così erotiche, ma come tutte le poesie l'interpretazione stimola i propri personali sentimenti...
    ...la musica?...trascinanti scale di pianoforte su un tappeto di accordi di bassoritmico


    Lucio Battisti & Pasquale Panella
    -le cose che pensano-

    In nessun luogo andai
    per niente ti pensai
    e nulla ti mandai
    per mio ricordo
    Sul bordo m'affacciai
    d'abissi belli assai
    Su un dolce tedio a sdraio
    amore ti ignorai
    invece costeggiai
    i lungomai
    M'estasiai. ti spensierai
    m'estasiai, e si spostò
    la tua testa estranea
    che rotolò
    Cadere la guardai
    riflessa tra ghiacciai
    sessanta volte che
    cacciava fuori
    la lingua e t'abbracciai
    Di sangue m'inguaiai
    Tu quindi come stai
    Se è lecito che fai
    in quell'attualità
    che pare vera
    Come stai, ti smemorai
    ti stemperai e come sta
    la straniera, lei come sta
    Son le cose
    che pensano ed hanno di te
    sentimento. esse t'amano e non io
    come assente rimpiangono te
    Son le cose prolungano te
    La vista l'angolai
    di modo che tu mai
    entrassi col viavai
    di quando sei
    dolcezza e liturgia
    orgetta e leccornia
    La prima volta che
    ti vidi non guardai
    da allora non t'amai
    tu come stai (ah come stai)
    Rimpiangono te
    son le cose, prolungano te
    certe cose:cool:

    Sussurra al Mondo ciò che sei, ma urla a te stesso per capirti. (Kahlil Gibran)

  • Ah! come sono vivace come uno che tace.
    Avrei una voglia, un taglietto d'affetto.
    Cosa sento ma niente.
    Un affetto non si prova
    s'indossa direttamente.





    Ah! questa poi
    sento di star per vivere
    e nello stesso momento
    tremila riluttanti col lunghissimo mento
    e i denti scricchiolanti avidamente
    tremila debuttanti sfondano
    contemporaneamente
    le quattro pareti nemmeno tanto ingenuamente
    perché non c'erano segnali di divieti. Ah! questa poi
    sento di star per vivere
    e i villini camminano
    dopo i pranzi con l'inquilino in bocca stuzzicante
    anzi tutte le belle pancione
    dovrebbero fregiarsi di un balcone.
    Ah! come sono triste mi mangerei oltre il pasto
    le liste dei vini
    se fossero di sfoglie coi croccantini
    al posto delle scritte.
    Avrei una voglia, un taglietto d'affetto.
    Cosa sento ma niente.
    Un affetto non si prova
    s'indossa direttamente.
    Ah! come siamo vivi come tutto accade
    per tutt'altri motivi.
    Mettiti nei tuoi panni
    dove sei più aleatoria.
    Siamo nella preistoria
    ecco una frase che durerà.
    Sapessi tu come me ne ricordi un'altra
    della quale non ho alcun ricordo
    perché non avemmo motivi
    nemmeno di disaccordo
    anzi come i lati
    di un triangolo isoscele
    non avemmo motivo di conoscerci.
    Ma sento un tepore carnale che cresce
    sarà un saldatore che al naso mi unisce.
    Ah! come sono vivace come uno che tace
    e ci si domanda
    chi ha fiatato ed ognuno si voltò dall'altro lato
    credendo di aver pronunciato
    lui stesso quella frase chi ha parlato è l'autista
    che pronuncia il discorso
    più lungo che esista.
    Al ritorno la strada restò sola
    e le corsie incontrandosi
    non dissero nemmeno una parola.
    Ah! questa poi
    sto per vivere di fresco
    e me ne esco
    uno da una parte
    uno dall'altra la Commedia dell'Arte.
    Ah! come sono vivace come uno che tace.

    I giorni e le notti suonano in questi miei nervi di arpa, vivo di questa gioia malata di universo e soffro di non saperla accendere nelle mie parole.




  • AVER PAURA D'INNAMORARSI TROPPO


    Aver paura d'innamorarsi troppo
    non disarmarsi per non sciupare tutto
    non dire niente per non tradir la mente
    è un leggero dolore che però io non so più sopportare.
    Non farsi vivo e non telefonare
    parlar di tutto per non parlar d'amore
    cercar di farsi un po' desiderare è proprio un vero dolore
    Abbandonarsi senza più timori senza fede nei falliti amori
    e non studiarsi ubriacarsi di fiducia
    per uscirne finalmente fuori
    Aver paura di confessare tutto
    per il pudore d'innamorarsi troppo
    finger che anch'io le altre donne vedo
    è un leggero dolor temere di mostrarsi interamente nudo
    e soffocare la sana gelosia
    e controllarsi non dirti che sei mia
    voler restare e invece andare via è proprio un vero dolore
    Abbandonarsi senza più timori senza fede nei falliti amori
    e non studiarsi ubriacarsi di fiducia
    per uscirne finalmente fuori


  • Tu mi sembri un po' stupita
    perché rimango qui indifferente
    come se tu non avessi parlato
    quasi come se tu non avessi detto niente
    ti sei innamorata cosa c'è cosa c'è che non va
    io dovrei perciò soffrire d'adesso
    per ragioni ovvie d'orgoglio e di sesso
    e invece niente no non sento niente no
    nessun dolore
    non c'è tensione non c'è emozione
    nessun dolore
    Quand'eri indecisa combattuta
    tra l'abbracciare me o la vita
    ti ricordi i miei silenzi pesanti
    che tu credevi gelosia per inesistenti amanti
    allora già intuivo che c'era qualcosa che mi sfuggiva
    quella fragile eterea coerenza
    di bambina senza troppa pazienza
    non sento niente no adesso niente no
    nessun dolore
    non c'è tensione non c'è emozione
    nessun dolore
    non sento niente no adesso niente no
    nessun dolore
    non c'è tensione non c'è emozione
    nessun dolore
    Il vetro non è rotto dal sasso
    ma dal braccio esperto di un ingenuo gradasso
    l'applauso per sentirsi importante
    senza domandarsi per quale gente
    tutte le occhiate maliziose che davi era semi sparsi al vento
    qualcosa che perdevi
    e m'inaridivi e m'inaridivi e m'inaridivi
    non sento niente no adesso niente no
    nessun dolore
    non c'è tensione non c'è emozione
    nessun dolore
    non sento niente no adesso niente no
    nessun dolore
    non c'è tensione non c'è emozione
    nessun dolore

    I giorni e le notti suonano in questi miei nervi di arpa, vivo di questa gioia malata di universo e soffro di non saperla accendere nelle mie parole.


  • Amato tanto così
    me lo ridici
    amato tanto.
    Timida molto audace
    la stessa diversa persona sei tu,
    e per cambiare ti basta saperlo,
    che non sei mai la stessa,
    nemmeno a volerlo.
    I simboli non sai cosa siano,
    un'ortensia non è nemmeno quella.
    Hai la pazienza di un'onda
    compresa la tendenza
    a soffermarti mai,
    come fosse la fine.
    Non un dito notevole,
    ma dieci impercettibili soprusi,
    aperti come i mari,
    e come i mari chiusi.
    Neri i tuoi neri sconvolti
    divampati imperi irrisolti,
    e matematicamente rivolti
    a contenere zeri.
    Impensabili però malleabili,
    ballabili mammelle
    abbracciate alle quali volteggi
    sotto il lampadario delle stelle,
    inutilmente imitatrici dei tuoi denti.
    Prendi, e dagli spaventi
    tanto sentimentali,
    tiri le diagonali dei sospiri violenti.
    Svegliata la mattina,
    guardi nel posto accanto
    lo sfinito e per quanto
    respira o non respira.
    Sai che non si è mai la propria vita,
    la tua ti serve appunto per certezza,
    tu vivi e lasci vivere te stessa
    con un congedo, con una carezza
    sicura con la mano, sicura con la mano,
    con la guancia perplessa.
    Sciolta come le braccia
    scomparirà la neve:
    per sempre se ne andrà,
    e se dovrà ricadere
    sarà come un armadio che si sgancia
    e precipita dal cielo in tante schegge.
    E tuttavia, però comunque sia,
    bellezza e compagnia
    non vanno bene,
    non si legano insieme.
    Risentirai la neve risuonare
    dentro le risatine,
    come un piacere
    che non sai trattenere.
    La neve tornerà come un pretesto
    dipinta e sempre finta,
    e tu la irridi,
    la lusinghi e la sfidi
    e la solleva il tuo sbuffo selvaggio.

    I giorni e le notti suonano in questi miei nervi di arpa, vivo di questa gioia malata di universo e soffro di non saperla accendere nelle mie parole.

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