gentile dottoressa,
vorrei chiederle un'opinione su una mia intuizione personale,provata sulla mia pelle. fin da piccoli siamo bersagliati dal messaggio NO LIMITS, in pubblicità,film,cartoni animati, il vincente supera ogni suo limite e diventa felice, ma la realtà non è così, spesso, per quanto noi ci sforziamo, ci impegnamo, arriviamo ad un punto morto oltre cui non riusciamo ad andare, perchè vi sono delle variabili che non dipendono da noi. un esempio: abitare nel sud italia dove il lavoro è scarso e non trovarne nonostante gli sforzi,l'impegno, i sacrifici.
da qui nascono frustrazioni, zero autostima, nei casi più estremi depressione e invidia verso i vincenti,cioè coloro che sono riusciti a superare il loro limite.
quindi per essere sereni è meglio accettare il proprio destino o combatterlo?
lei cosa ne pensa?
in tal senso potrebbe suggerirmi una bibliografia sull'argomento?vorrei approfondirlo.
grazie.

autostima e accettazione del proprio destino.
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Buongiorno Saphira79,
la società moderna propone dei modelli di perfezione molto difficili da raggiungere: perfezione fisica unita ad una carriera brillante, macchina sportiva e compagna/o più giovane da esibire alle feste. Al contempo la società educa le persone all'illusione che tutti possano raggiungere qualunque obiettivo, basta che si impegnino; il risultato di questa "mentalità" è che se non ci si realizza (nei modi e nei tempi dettati dai media) non è responsabilità di un modello errato e perfezionistico, ma colpa del singolo che non si è impegnato abbastanza. In tal modo il modello resta indiscutibile e se non si riesce ad essere vincenti, allora li si può apparire comprando i prodotti appositi (esempio dell'operaio, o ancor peggio del disoccupato con il telefono di ultima generazione da top manager).
Da un punto di vista più psicologico posso dire che il pensiero "tutti possono fare tutto" è un'illusione di onnipotenza narcisistica che è radicata nel pensiero occidentale, il prezzo da pagare per il fallimento (che è ovvio visto che non siamo superuomini o superdonne) è proprio il senso di frustrazione, invidia verso chi ce la fa (ma a che prezzo?) e un'autostima che, poggiando su conferme esterne di successo, carriera, bellezza, è più che mai fragile. Anche chi sembra incarnare tale modello spesso dopo qualche anno si spegne, oppure vengono fuori problemi di droga, depressione, tentati suicidi e quant'altro. Perchè non è uno stile di vita sano, ma una corsa verso il nulla nella quale l'obiettivo finale non si raggiungerà mai.
Io penso che, una volta consapevoli della "follia" di questo meccanismo di pensiero, non sia questione di accettare o combattere il proprio destino, ma capire che destino vogliamo noi, quali sono i valori che per noi sono importanti e che ci possono far vivere bene. E anche accettare i nostri limiti, non
come una sconfitta ma come punto di partenza per cercare le nostre risorse e impiegarle nel modo giusto. La realizzazione lavorativa è importante per la persona, ma non sono da sottovalutare i rapporti affettivi, amicali, famigliari, una buona rete sociale che può essere un sostegno nei momenti critici (es. perdita del lavoro), la realizzazione tramite un'attività di interesse culturale, sportivo, intellettuale, che non coinvolge necessariamente la sfera lavorativa.
Insomma, la società propone ma noi non siamo obbligati ad accettare tutto quello che ci offre, abbiamo il nostro spazio di libertà che ci permette di
decidere quale parte del nostro "destino" combattere perchè si ha un'ambizione nostra, quale è invece una battaglia non personale, ma un modo per assecondare le richieste sociali.
Riguardo alla letteratura, posso consigliare Christoper Lash, sociologo statunitense che spiega molto bene l'evolversi della società contemporanea con il suo libro "La cultura del narcisismo"; poi uno psicologo italiano, Filippo Bellavia, con il suo libro "Narcisismo politica e società". Si discosta un po' dal tema ma è un'interessante intuizione sui mass media e la loro trasformazione della realtà negli anni: Guy Debord con "La società dello spettacolo", scritto nel 1967, soprende quanto sia avveniristico.
Infine non disdegnerei Marx, lasciando da parte le coloriture politiche, ha spiegato magistralmente i meccanismi della società capitalistica (consumistica) e lo trovo sempre attuale nelle sue premesse e nell'analisi della realtà sociale. -
risposta esaustiva,gentilissima e cortese.
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Grazie, sono contenta che la mia risposta le sia stata utile.
Buona giornata.
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