Mah, insomma. Dici "è anche lo sprone a non restare in una condizione lavorativa che non accetti". Dipende. Se hai 50 anni e sei a pulire i bagni... non credo che svolgendo il lavoro in modo professionale tu possa trovare un qualche sprone verso un'altra condizione lavorativa.
Discorso simile riguardo alla parte conclusiva del tuo messaggio. Un conto è fare i camerieri, commessi etc da ventenni e considerarlo solo un lavoretto di passaggio. Un'altra cosa è farlo ormai da adulti mentre si sognava di fare tutt'altro. Con quale voglia si può portare avanti lavori simili quando magari le nostre aspirazioni erano quelli di fare i professori o i manager?
Esatto, è proprio questo il punto...
Perché a 50 anni sei ancora a pulire i c∙∙∙i?
Perché sei adulto e fai ancora il cameriere o il commesso?
Può esserci un motivo dato dall'aver perso il lavoro che facevi precedentemente, e in quel caso potrei essere d'accordo con te.
Ma se hai fatto sempre quel tipo di lavoro o altri simili e sei arrivato a 50 anni, forse non è che ti sei seduto un po' troppo?
Anche io, se non mi fossi posto il problema e mi fossi seduto, probabilmente oggi starei ancora facendo il commesso a 400€ al mese, o qualche lavoro simile.
Anche io avevo aspirazioni altissime, ma ho dovuto ridimensionarle... non siamo le nostre aspirazioni.
Mia sorella, la persona più intelligente e geniale che abbia mai conosciuto nella mia vita, una gran cultura, laureata con 110 e lode in filosofia, oggi lavora con il diploma al comune in un settore amministrativo in cui ha dovuto imparare tutto visto che in vita sua non aveva mai fatto un esame di diritto, per uno stipendio di 1400€ quando le va bene. Eppure l'ha fatto, ed è anche molto brava in quel che fa, tanto che provano a darle lavoro aggiuntivo che non le spetterebbe e per il quale non percepirebbe un euro in più. Beh, non si sente sicuramente soddisfatta, ma non si sente nemmeno alienata. Ha un lavoro, con quello che guadagna vive, va in palestra, ogni tanto si fa un viaggetto, etc. È stressata nella giusta misura come tutti i lavoratori.
Quindi, se ha potuto lei riprogrammare serenamente con sé stessa le sue aspettative (chissà quali fossero visto che non le piaceva insegnare), perché altri non possono farlo?
Il problema allora forse è solo la distanza che c'è fra le aspirazioni di un ragazzo che comincia e finisce un percorso di studi e la vera condizione del lavoro nel mondo reale. Si vuole applicare un'idealizzazione di qualcosa alla realtà che è ben diversa senza operare nessun compromesso? La vedo dura in questo caso riuscire a realizzarsi in qualche maniera.