Messaggi di nba00

    C'è del profano travestito da sacro. È questo oggi il mio pensiero.


    Mi trovo in una località dove la connessione è praticamente inesistente e dove per inviare un SOS (tipo questo) devi scalare, sventolando in aria lo smartphone, la cima di un albero di banano. Ok, mi va bene. L'ho scelta proprio per questo. Senonché mi viene l'assurda idea di dedicare parte del mio tempo all'approfondimento della pratica yoga e meditativa. Durante una delle mie rare apparizioni in paese, contatto un'associazione yoga chiedendo se sia possibile scaricare, sottoscrivendo il loro abbonamento mensile, alcune lezioni di una pratica di yoga a me poco familiare, data la mia impossibilità di praticare in streaming. Mi viene testualmente risposto: "assolutamente no! voi furbetti ci provate sempre a rivendervi poi le lezioni spacciandole per vostre". Location della rispostaccia: un centro yoga. Non so cosa rispondere. Mi viene solo, per istinto, di guardare in alto, in un punto preciso del soffitto, per sorridere alla candid camera, ma trovo unicamente un dipinto mal riuscito di Parvati, talmente trasfigurata nelle sue fattezze, che sembra aggiungere "e ora fuori dalle p***lle".

    Esco. Me ne faccio una ragione. Allora controllo tra i gruppi WhatsApp per vedere se finalmente un centro di spiritualità a cui sono iscritta (che predica pazienza, empatia e tolleranza) ha pubblicato la lista dei testi che mi occorrono. Sorpresa: sono stata bloccata, bannata.


    Motivo: è trascorso il tempo massimo per effettuare la presentazione.


    Il tempo, che era di circa 30 minuti, è scaduto. "I testi, se li vuoi, te li cerchi in biblioteca". Cioè. Il Buddha ha predicato h24 sotto un albero di fico, in una dimensione a-spaziale e a-temporale, senza che nessuno gli rompesse le scatole, e uno non può avere manco il tempo mentale e materiale di mettere 3 parole in croce, issato come un idiota su un albero di banano.

    Ma poi ripenso a quella volta in cui mi recai nell'ufficio di un insegnante di raja yoga che, mentre ravanava nel cassetto alla ricerca del foglietto degli orari, infastidito dalla presenza di una zanzara, sbatte' violentemente il palmo aperto sulla scrivania spiaccicandola sul colpo. "Tie', t'ho beccata finalmente".

    Buio.

    Boh. Certe volte è difficile dire o scrivere qualcosa di sensato, e talaltre mi è difficile finanche capire questo mondo.

    Ieri sera visita obbligata a casa di persone con cui, in passato, mi sono sempre sentita fuori posto, a disagio. Un tempo, ferma sulla soglia della loro casa estiva, avevo come l'impressione che, solo per il fatto di dare una sbirciatina all'interno, avrei dovuto combattere una crociata. Neppure un piede nell'atrio che subito cominciava la battaglia tra ciò che sentivo di essere e ciò che invece, inevitabilmente, quella sera, avrei dovuto essere. Quelle persone, con il loro carico di ostentazione, avevano un potere incredibile di infilarsi tra me e l'accettazione di me stessa, prendendo così il sopravvento. Io ero una. Loro, invece, compresi i miei familiari, erano almeno una decina. Davanti a porte come quelle ho imparato che viaggiare su lunghezze d'onda non canoniche può fare parecchio male, paura, addirittura. In fondo, quando tutto è uguale, nessuno deve sforzarsi. Se però in quel quadro bizzarro che se ne sta impalato sulla soglia appaiono altre tinte, altre sfumature, per accettarle bisogna fare uno sforzo. Bisogna capire. E perché mai complicarsi in questo modo la vita quando c'è un altro vernissage a cui partecipare? Così dato che sensibilità e luccicanza sono doti rare, ieri ho elaborato delle strategie di autodifesa. Ok, io queste cose non le ho. Pazienza. Non serve sfidare gli altri per dimostrare che si può anche vivere diversamente. Non è una resa e non si tratta di una sconfitta. È solo la vittoria di chi non ha più niente da dimostrare. Irrigidita in abiti e in ruoli che non erano i miei, prima sembravo un cavaliere con la corazza. Ieri invece mi sono sentita finalmente libera. Era così leggera, la mia armatura.

    Condivido pienamente il tuo pensiero, sono riflessioni che mi è capitato di fare spessissimo, soprattutto in questo periodo di polemica vaccinale. Dal canto mio, conduco una vita decisamente spartana, motivata anche da mie esigenze personali. E se questo può contribuire a salvaguardare, ovviamente nel mio piccolo, l'ambiente, ecco.. questo non può che rendermi felice. Il rispetto per l'ambiente non lo vivo come un tornaconto personale, dato che non credo di poter vivere abbastanza per vederne eventuali effetti positivi, quanto piuttosto come una mia personale forma di ringraziamento verso qualcosa che, mettendo a disposizione le sue risorse, ha contribuito al mio benessere e alla mia sopravvivenza. Un piccolo dono, per una natura che invece mi ha donato tanto.

    Non bisogna mai essere particolarmente convinti di qualche cosa. Dubitare: sempre. E' la prima regola. Se fossi stata veramente convinta di non farcela, non mi sarei guadagnata, ora, la fantastica soddisfazione di avercela fatta. Ho resistito, mi sono rifiutata di mollare perché per tutto il tempo ho pensato ai limiti. Che i limiti opprimono, che i limiti etichettano. Ti obbligano a diventare quello che non sei, e poi è un serio casino uscire da quella trappola. E con quel mantra in giro per la testa non mi sono mai, neppure per un attimo, voltata indietro.

    Penso che ho fatto male a farmi scappare questa cosa del ritiro del silenzio a cui intendo partecipare a fine mese. Penso a sopracciglia aggrottate, a occhi sbarrati e a quel modo di inclinare la testa di lato, come faceva mio nonno quando andava al Pigorini e non riusciva a capire se quello che stava fissando era un raschiatoio o un monile del Neanderthal. Penso a uno sguardo fisso e turbato, mentre gli altri parlano scanzonati del più e del meno. Penso a una voce che dice "lasciala stare", e che mi mette ancora più in imbarazzo perché non è normale neppure questa voce, dato che so che presuppone che io venga da K-pax. Penso che questa mia leggerezza mi costerà lo squillo del cellulare che mi avvertirà che qualcuno passerà di qui -naturalmente per caso- per fare quattro chiacchiere e penso che il ritiro del silenzio non inizierà a fine mese ma a fine giornata. E poi ripenso a quella volta in cui mia nonna parlava sottovoce con mia cugina di cose giudicate per me "osé" e venni invitata, con una carezza, a occuparmi dei fiori in giardino, mentre io -insospettabile- avevo già letto tutto della Grandes, della Nin e mezzo de Sade.

    "....e sminuendo prepotentemente il disagio altrui con parole dure come "svegliati" "sempre a piangerti addosso" "disperato". Qualche anno fa sempre la stessa persone mi rispose "ma cosa stai dicendo?!?!", come allibito, infastidito, sbalordito.

    Sì, lo capisco, ecco perché ti ho detto che pur trovandolo empatico nel contenuto (e non ci posso fare niente, lo penso veramente) è stato probabilmente troppo irruento nella forma. Eppure io mi chiedo quale dei due approcci (il mio e il suo) sia più adatto allo scopo (che è quello di farti osservare le cose da un altro punto di vista). Di questo argomento, come ti dicevo, nella vita di tutti i giorni ne parlo solo se qualcuno mi chiede un parere, e ne parlo come ne parlerebbe, che ne so, un monaco tibetano quando varchi le porte di un tempio. Chi lo fa, è già pronto per ascoltare quello che gli viene detto, perché si presuppone che qualche passettino in quella direzione, per conto suo, l'abbia già fatto, e quindi il tono gentile fa presa di suo. Ma quando non si è abituati a ragionare in questo modo, la forma gentile è come acqua che scorre su una superficie liscia, non fa presa, non rimane impressa. Forse dimenticherai il mio intervento però ciò che è certo è che non dimenticherai il suo. Ti ha colpito, in negativo, talmente tanto che ne hai fatto un thread, e ora ne stai parlando, ci stai riflettendo sopra, e questo è un bene, perché -nel bene o nel male- qualcosa ti è entrato dentro. Ho un amico che è un pò il Mario Brega della comitiva: lui dice le cose senza peli sulla lingua, te le sbatte in faccia e sa essere parecchio brutale. Cose di questo tipo non ha problemi a dirtele (tranne a me, ma questa è un'altra storia: nessuno è mai brutale con me, e non so se sia un buon segno). Ho visto reazioni di rabbia spropositata davanti ai suoi interventi. Le stesse che ho visto accadere in certe dinamiche familiari. E allora ho capito che le persone non amano sentirsele dire perché lo vivono come un attacco al proprio dolore (non parlo di te, parlo della mia esperienza). Ho visto amici e familiari fare del proprio dolore una sorta di idolo da venerare, una reliquia da proteggere, un qualcosa di sacro a cui dedicare altari e a cui portare fiori freschi tutte le mattine. Ho visto gente che se offendi la figlia, la moglie, il marito non batte ciglio ma se provi a dire qualcosa del loro dolore, ti si rivolta contro come Regan nell'esorcista. Il dolore diventa qualcosa davanti al quale un "estraneo" non può dire niente, non può esprimere un parere, non può dire la sua, può solo parlare a bassa voce, neanche si trovasse di fronte a un'istituzione organizzata, davanti a cosa nostra. Questo non accade con la gioia: se commenti la gioia di qualcuno, a quest'ultimo non frega nulla, resta contento e soddisfatto come lo era prima, mentre al dolore viene sempre tributato un onore che non deve avere, un privilegio che non ha motivo di essere, perché è solo un'emozione come un'altra. Mia madre davanti a un lutto ha creato un altare per il suo dolore. Non l'ha creato per la persona deceduta, l'ha creato per il suo dolore. Gli porta offerte, sacrifici e fiori freschi tutte le mattine, lo nutre e lo venera. È il suo padrone. Io invece lo butterei giù da quell'altare che gli ha dedicato, come la caduta degli idoli pagani sulla volta della stanza di Costantino ai musei vaticani.

    Non ha nulla di speciale, mentre è speciale cercare di superarlo, lasciarlo andare, unirsi agli altri in questo tentativo di sminuirlo, ridimensionarlo, farlo morire di fame. E per fare questo guardarsi intorno, rallegrandosi di ciò che c'è e/o di ciò che è rimasto, è un ottimo punto di partenza per uscire dal pantano. Ti auguro di farcela, secondo me, da quel poco che ho letto, hai tutto ciò che ti occorre, intelligenza in primis, per farcela.

    Io invece capisco benissimo il tuo amico e ho molta familiarità con il giudizio del "viaggiare su un altro mondo", perché non saprei contare le volte in cui me lo sono sentita ripetere. Probabilmente, l'unica differenza tra me e il tuo amico consiste nel fatto che io, di persona, non sono solita esternare questo mio pensiero e quando l'ho manifestato è stato solo per rispondere ad un consiglio che mi veniva richiesto. Non so dirti il perché di pensieri come questi....ma credo che con mentalità di questo tipo ci nasci. Essere grati per ciò che si ha, la capacità di discernere il valore di ciò che si possiede, anche in situazioni difficili è essenziale per essere felici e per vincere il proprio malessere. Ci sono persone che possiedono tanto ma che sono scontente perché non vedono la bellezza di ciò che hanno e si concentrano solo su ciò che vorrebbero o sulla propria insoddisfazione. Invece altri, magari meno fortunati, apprezzano quelle 4 cose in croce che possiedono e non solo! L'apprezzamento di quelle 4 cose in croce materiali da' loro il lasciapassare per apprezzare anche ciò che non hanno di loro, come proprietà individuale, ma cio' che la vita offre a tutti -un sorriso, una bella giornata, l'alba, la vista del mare, non essersi rotti entrambe le gambe ma solo una, persino -da single o divorziati- (eh sì persino questo!) una coppia felice che si tiene per mano. Ho conosciuto persone (dunque non sono l'unica) non particolarmente fortunate, i cui occhi erano incredibilmente aperti al valore di ciò che vedevano e la situazione in cui volevano essere era proprio quella in cui si trovavano. Invece di essere divisi fra ciò che erano e ciò che avrebbero voluto, loro se ne stavano lì, belli belli e soprattutto belli interi, belli integri. E solo questo, in mezzo al nulla della loro vita, li faceva stare bene. Perché in fondo io sono convinta che da qualche parte, dentro di noi, ci siano doti e capacità inaspettate, che per rabbia, troppa fretta o insufficiente attenzione non sappiamo apprezzare. La felicità quasi sempre si nasconde. Sta a noi riuscire a scovarla. William Blake diceva "gratefulness is heaven itself". E un paradiso, la gratitudine lo è veramente.

    Considero il tuo amico empatico, forse un pò irruento nella formula che hai riportato, ma sicuramente empatico. Un altro qualsiasi si sarebbe limitato a darti ragione pur di non innescare polemiche e eventuali scatti di rabbia. Le rare volte in cui mi sono espressa in gruppo, ho ricevuto questa risposta " beh, ma nba non è mica di questo mondo, è di un bel mondo, ma non è certo di questo". Detto con un sorriso e senza rabbia, dunque da parte mia senza offesa.