Messaggi di Ludo88

    È il sogno di tutti i ragazzi! Chi non vorrebbe vivere senza lavorare, essere ricco e fare la bella vita? Viaggi, shopping, ecc. ecc.

    Comunque una delle tipologie di F.I.R.E. è il “lean F.I.R.E.”, che riguarda persone che decidono di andare in “pensione” disponendo di cifre relativamente basse. Questa tipologia di F.I.R.E. si basa sulla frugalità (in alcuni casi iperfrugalità), quindi non si parla certo di uno stile di vita lussoso. Al contrario: si decide di avere uno stile di vita molto frugale ed economico, in alcuni casi quasi povero, che consente però di potersi riappropriare del proprio tempo, senza dover seguire i ritmi lavorativi della società contemporanea.

    Da quando ne ho sentito parlare lo trovo un argomento molto affascinante.

    Sei in un momento di "stallo" per tanti motivi e i cambiamenti sono importanti adesso. Ti aiutano a trovare nuovi stimoli ed obiettivi.

    Comunque sì, penso di essere proprio in una situazione di stallo. Ho anche perso interesse per le cose che mi piacevano. L’esempio più eclatante è il mare: abitiamo in una cittadina sul mare e per me ogni momento era buono per andare in riva al mare, in spiaggia o al porto, d’estate o d’inverno, a nuotare o anche solo a passeggiare, a guardare l’orizzonte, sia quando ero single sia anche poi nei primi anni con mio marito. Negli ultimi anni era più lui che insisteva per andare e, anche se non avevo magari particolarmente voglia di andarci, poi quando eravamo lì alla fine ne ero contenta. Quest’anno davvero non ho proprio più voglia di andare in riva al mare - non so come sia possibile, la me di anni fa non ci potrebbe mai credere -, me ne starei volentieri in casa, e le rare volte in cui ci siamo andati poi continuavo a pensare che avrei preferito essere a casa.

    Tra l’altro mi chiedo cosa poi penserà lui alla lunga di questo mio cambiamento: anni fa ero allegra e propositiva, oggi sempre stanca e apatica.

    Ragazzi, secondo voi è "normale" che un uomo di 52 anni, con un posto di lavoro sicuro (che al giorno d'oggi è una benedizione), voglia smettere di lavorare e non fare nulla? Senza preoccuparsi di come fare per vivere? Io non riesco a farmene una ragione, mah!

    Se una persona ha risparmi con cui vivere, non ci vedo niente di male a voler smettere di lavorare, anzi. Hai mai sentito parlare dell’idea del F.I.R.E. (Financial Independence, Retire Early - indipendenza finanziaria, andare in pensione presto)? La “pensione” di cui parla non è la classica pensione pubblica, ma è una rendita che una persona si autocostruisce risparmiando e investendo. Un esponente famoso del F.I.R.E. è un blogger conosciuto col nome di Mr Money Mustache, che faceva l’ingegnere informatico ed è andato in pensione a 30 anni.

    Ti capisco benissimo. La stessa cosa l'ho provata io perché volevo un altro figlio, ma sono riuscita a convincerlo che avevo già oltre i 42 anni e, purtroppo, per me era tardi.

    Ciao Speranza, grazie per i tuoi messaggi. Sentirmi capita è stato importante. Ti ringrazio anche per aver voluto condividere il tuo vissuto.


    Capisco benissimo cosa provi e capisco benissimo la sensazione che ci prende quando ci comportiamo esattamente come non vorremmo di fronte a situazioni che da bambini/adolescenti ci hanno fatto soffrire. Anche io lo faccio, spesso inconsapevolmente, in continuazione.

    Anche questo messaggio è stato importante per me da leggere. Anche in questo caso, sentirsi capiti è importante. Persino i miei fratelli non capiscono la portata degli effetti di come sono stata cresciuta. Infatti, anche se loro vivevano nella stessa casa, non hanno ricevuto lo stesso trattamento da parte di mia madre: ero quasi sempre solo io il suo capro espiatorio. Forse chi non ha vissuto una simile esperienza nell'infanzia e nell'adolescenza non può capire gli strascichi di ciò nella vita adulta. Mi sento come Sisifo, con il peso del mondo addosso - e ogni giorno si ricomincia da capo, a dover portare il peso del mondo su di sé. Per fortuna, al momento ho pochi contatti con mia madre. L'ultima volta che l'ho vista, quando ha saputo che probabilmente non avrò figli (sono rimasta sul vago sui motivi), ha commentato: "Ti fa comodo usare scuse per non avere figli", come se fosse stata per lei semplicemente l'ennesima prova del fatto che sono una scansafatiche. Recentemente mi è poi venuta in mente una delle frasi che lei mi disse anni fa: "Tu vuoi rovinare le cose", riferito a situazioni positive in cui mi trovo ad essere. E, purtroppo, mi è sempre rimasto il dubbio che avesse ragione. Forse ci sono dei momenti in cui è così con mio marito, quando vedo solo ciò che ai miei occhi non è perfetto. Mio marito ha notato fin dall'inizio della nostra conoscenza che ci sono momenti in cui vedo tutto bianco e momenti in cui vedo tutto nero, e mi invita sempre saggiamente a considerare l'ampia scala di grigio.

    Però ci sono comunque rimasta male, sia per quelle che erano le mie aspettative, sia per come mi hanno fatta sentire le cose che mi ha detto. Effettivamente non so nemmeno io se me la sentirei di proseguire con questa terapeuta qualora dovesse anche dirmi che ha capito di potermi prendere in carico. Comunque mi sono sentita a disagio anche mentre raccontavo le mie cose ecc, non mi sono sentita accolta o capita. Quindi forse davvero non è la terapeuta adatta a me.

    Ciao, io ti consiglierei di ascoltarti.

    Nel percorso di psicoterapia che avevo intrapreso, avevo capito già dalla prima seduta che c’era qualcosa che non mi piaceva quando parlavo con quello psicologo. Ma ho razionalizzato: me ne avevano parlato bene, sulla carta proponeva il tipo di psicoterapia che pensavo fosse adatto a me... E invece avrei fatto meglio ad ascoltarmi e a non iniziare il percorso con lui. Spostava spesso gli appuntamenti, mi portava esempi piuttosto banali, nell’ultima seduta mi ha fatto capire che non si ricordava con precisione il problema principale per cui ero lì (di cui avevo parlato praticamente in tutte le sedute!) e mi ha definito “una persona seccante” (ma gli psicologi non dovevano astenersi dal giudizio nei confronti dei pazienti?!), per cui ho deciso di interrompere il percorso. Ho perso molto tempo (e soldi! Non faceva certo beneficenza). E ora ho pure quel suo giudizio negativo che ogni tanto mi torna in mente.

    Secondo me, in cuor tuo già lo sai se la psicologa che hai incontrato può andare bene per te, e se pensi che non possa andare bene non cercare di razionalizzare, ma cerca un altro professionista che senti ti possa aiutare.

    Ciao, grazie a tutti per le risposte.


    Dopo aver scritto e anche grazie alle vostre risposte ho continuato a ragionare su quello che è successo. Penso che i problemi che ho descritto si possano in definitiva ascrivere a tre categorie: la gestione familiare, la cultura e una generica insoddisfazione di fondo per la mia vita.


    Per quanto riguarda la gestione familiare, ciò che mi pesa è lo stress mentale (riguardo a documenti, scadenze…), che ricade principalmente su di me. Se glielo faccio presente mi risponde, un po’ scherzando e un po’ no: “tanto ci sei tu che pensi a queste cose”.


    Per quanto riguarda la cultura, alla fine sì vedo in lui difetti probabilmente anche perché prima di tutto li vedo in me. Nella mia famiglia di origine la cultura era il valore più importante, e il non aver terminato gli studi e le mie lacune di cultura generale mi hanno sempre pesato. Mi sono sempre vergognata dalla mia scarsa cultura, e ora la sua scarsa cultura è per me un problema forse non tanto in sé ma perché temo cosa le altre persone penseranno di me a causa di essa. Vi è mai capitato di fare ragionamenti simili?


    Per quanto riguarda la mia insoddisfazione di fondo, provare ad effettuare cambiamenti nella mia vita mi sembra molto difficile.


    Per quanto riguarda il terminare gli studi, non ho voglia di ritornare sotto stress per poi magari finire con un nuovo fallimento.


    Per quanto riguarda il lavoro, sì non mi piace. Tuttavia è pur sempre un posto di lavoro sicuro, e il pensare di dover ripartire con una nuova serie di colloqui di lavoro e dover reinserirmi in un nuovo ambiente lavorativo, con tutte le potenziali problematiche del caso, mi fa desistere dal tentare.


    Rimane l’argomento figli, riguardo a cui purtroppo sembra che io sia fuori tempo massimo. Questo a dispetto delle statistiche, che vedono molte donne della mia età diventare madri: secondo gli accertamenti che ho effettuato recentemente, nel mio caso non sembra possibile. E anche questo penso sia un mio motivo di malcontento nei confronti di mio marito, perché nel corso degli anni avevo più volte cercato di parlare dell’argomento, ma lui temporeggiava sempre, e ora non ci sono più possibilità. Razionalmente lo so che la “colpa” della situazione è divisibile a metà tra noi, ma emotivamente non riesco a non attribuirgliene la maggior parte. Infatti, nessuno di noi due all’epoca era convinto al 100% dell’idea di avere figli, ma, se ne avessimo parlato di più in passato, magari non ci saremmo ritrovati a pensarci in un momento in cui non è più possibile. Mio marito portava sempre ottime ragioni sui motivi per cui era meglio aspettare e in caso pensarci in futuro, e poi tagliava un po’ corto dicendo: “tanto comunque abbiamo tempo”. Io però mi sentivo molto sola emotivamente, perché avrei voluto parlarne ben di più con lui. Recentemente mi ha confidato che in realtà ci pensava spesso - ma allora perché non parlarne con me? Perché far sì che ognuno ci pensasse in solitudine? E ora che abbiamo iniziato a parlarne di più e seriamente, è, appunto, troppo tardi.

    Ciao a tutti, scrivo qui per avere qualche parere esterno in merito all’episodio seguente.


    L’occhiataccia che cito nel titolo è stata purtroppo da me rivolta a mio marito ieri sera.


    Gli stavo spiegando un problema che stavo riscontrando nel reperire delle informazioni per compilare un documento, e lui mi ha chiesto: “Ma perché devi inserire queste informazioni?”. Ora, la stessa procedura lui l’aveva fatta qualche mese fa, e avrebbe dovuto sapere bene di cosa si trattava. E, invece, non ricordava nulla. All’epoca lo avevo aiutato io a capire come compilare il documento, e si vede che non aveva prestato la dovuta attenzione. E nel guardarlo mi è venuta fuori una tale occhiataccia di delusione e di disprezzo.


    Un’occhiataccia tale e quale a quelle che mi rivolgeva mia madre. Il suo disprezzo (misto a urla e silenzi punitivi e anche a momenti distesi in cui sembrava più comprensiva – la comprensione era solo apparente, perché poi le cose mi venivano rinfacciate a distanza di tempo nella sua esplosione di rabbia successiva) mi ha segnato durante la crescita, e con lei da anni ho pochi contatti proprio perché non ritengo giusto il modo in cui mi ha cresciuta. E avevo sempre detto a me stessa che non mi sarei mai comportata come lei, e pensavo che un atteggiamento del genere non fosse connaturato in me.


    Eppure, eccola sul mio volto, quell’espressione che tanto mi ha fatto soffrire vista sul volto altrui.


    Mio marito si è subito accorto della mia espressione e mi ha detto immediatamente che gli ha dato fastidio.


    Io mi sono scusata in seguito, ma ciò che mi dà da pensare è che le mie scuse erano formali ma non sentite.


    La mia insofferenza deriva dal fatto che questo è l’ennesimo caso in cui mi sembra di parlare con un adulto “non cresciuto” a cui devo spiegare tutto.


    Non conosce alcune regole di sintassi della lingua italiana e alcuni concetti di cultura generale, a volte fa dei ragionamenti un po’ approssimativi (privi di quel rigore logico che uno ottiene studiando), non dà sufficiente importanza a elementi a cui è importante badare nella vita adulta (per esempio la corretta gestione dei documenti, come contratti o ricevute). Davanti ad altre persone, in alcune situazioni per me importanti, non mi ha supportato, perché riteneva le situazioni poco rilevanti o perché “tanto ormai è andata così e non ci possiamo più fare niente”.


    Se anni fa ci davo poco peso, ora invece le situazioni prima descritte continuano a generare in me progressivamente sempre più insoddisfazione, che spesso cerco di dissimulare, non sempre con successo. E mi pesa anche non poter parlare con lui (alla base del nostro rapporto c’è molto dialogo) di alcuni di questi argomenti: talvolta taccio, riguardo agli aspetti culturali, perché non vorrei mortificarlo. E a volte mi chiedo se mi sono accontentata, se non ho per caso “married down”.


    Ovviamente mio marito ha numerose qualità, però in questi momenti vedo solo quelli che ai miei occhi sono difetti.


    Sono anche consapevole che la mia insoddisfazione è più ampia, e mio marito c’entra solo in parte: da decenni mi barcameno in una vita che non sento del tutto mia, senza aver finito gli studi, con un lavoro che non mi piace, e senza aver avuto figli.


    Ma torniamo a ieri sera, all’occhiataccia di cui non riesco a pentirmi. Attendo i vostri pareri.