Messaggi di cchaning989

    Si, si. La carriera universitaria è andata così anche per me. Tanto isolamento, tante energie spese per cercare di rimanere aggrappati a questa cosa che è impossibile affrontare da soli. Non c'è altro modo di descriverlo: un continuo dispendio di energie senza riposo. Affrontare tutto da soli, non avere nessuno a cui rivolgersi, non avere una struttura sociale alle spalle nella quale rifugiarsi per ricaricare le batterie.

    La mia crescita personale si è fermata li, agli anni del fallimento accademico. Quella è una ferita sempre aperta, una serie di eventi dai quali forse non sono stato in grado di imparare una lezione. Tant'è che ancora oggi mi ritrovo a pensare di reiscrivermi all'università per ottenere quel titolo che non sono stato in grado di ottenere. Poi ci ripenso, provo a lavorare ma mi sento frustrato. Non riesco a mettere impegno nelle cose perché ogni cosa rappresenta un ripiego di quell'università fallita (due volte).

    La mente rimane bloccata li e in quei pensieri vengono bruciate tutte le energie. Non rimane nulla per coltivare una passione, un qualcosa che magari un giorno potrebbe trasformarsi in lavoro o suggerire una strada. Sono consumato. Tanti giorni non riesco più nemmeno a leggere un romanzo senza che la mente torni a preoccuparsi per il futuro ancora e ancora.

    Credo che la cosa più urgente sia ottenere un po' di "silenzio". Sospendere i giudizi (per quanto possa sembrare impossibile). Riuscire in qualche modo a tirare su delle mura per poter coltivare una piantina, un germoglio, in questa valle spazzata dalla tempesta.

    L'angoscia di doversi inventare qualcosa in fretta, il bagaglio dei fallimenti passati, il confronto con gli altri e con una realtà che diventa sempre più competitiva, a volte è troppo. A volte ho proprio paura di non farcela.
    A volte invece ci sono dei giorni in cui tutti i miei problemi sembrano ridursi a un 2+2=4. Mi dico che posso permettermi economicamente di prendermi una tardiva laurea triennale in qualcosa, vedo possibilità di formazione e di crescita. Mi sento forte e dico che si può ricominciare da capo, si può ricominciare dai banchi di scuola. Ma poi mi chiedo cosa potrei studiare? E che senso avrebbe? Sarebbe una qualcosa di utile per ampliare un curriculum desolante e vuoto o sarebbe solo qualcosa per cercare di rimarginare quella vecchia ferita degli studi falliti?L'entusiasmo dura poco, la luce si spegne di nuovo e mi ritrovo al punto di partenza.

    Così si sono dissipate le energie degli ultimi quindici anni della mia vita.

    Non so se ti riconosci in questo tipo di dinamiche...

    Il mi contesto familiare è molto diverso dal tuo.
    Mio padre non mi ha mai giudicato, non mi ha mai messo fretta, mi ha sempre sostenuto senza mai chiedere nulla in cambio. E così sono anche i miei fratelli. Sono molto fortunato da questo punto di vista, anche se a volte me ne dimentico.

    Eppure vedi che anche con questa differenza importante il risultato non cambia poi molto.

    A me è molto utile conoscere la tua situazione: ho sempre pensato che i miei genitori troppo permissivi fossero stati la mia rovina, e a volte, nei momenti peggiori, davo loro la colpa del mio fallimento. Il tuo esempio mi aiuta a capire che se anche avessi ricevuto delle pressioni da parte dei miei, questo non mi avrebbe necessariamente aiutato.

    Immagino (ma non lo posso sapere con certezza) che i tuoi stiano cercando di proposito di creare un ambiente che non sia troppo "comodo" per spronarti ad andare via di casa e cominciare una tua vita indipendente. D'altra parte nella mia vita ho conosciuto molte persone che si sono messe a lavorare "seriamente" solo per poter finalmente liberarsi dai genitori e andare via di casa. Questo per dire che quel disagio può essere anche una fonte di motivazione.

    Io non sono così. Mi trovo molto bene a casa con mio padre. Lo aiuto nelle cose quotidiane, cucino, do una mano in casa. Si parla molto poco, viviamo due esistenze indipendenti e parallele.

    Ma il problema rimane... Manca una passione, una missione. Si provano cose e ci si arrende alla prima difficoltà. Forse sarebbe più interessante cercare di capire dove si è inceppato questo meccanismo, cos'è che ci impedisce di trovare la strada. Se è l'isolamento sociale, o la mancanza di carattere o le aspettative irrealistiche.

    Mi sento scoraggiato da queste considerazioni perché mi rendo conto di non avere il coraggio di guardarmi allo specchio. Non riesco a fare un'analisi onesta, continuo a rimanere aggrappato a un idea idealizzata di "me", continuo a pensare di poter fare di più, di essere intelligente e capace, quando i fatti poi dimostrano il contrario.

    se ti sembro sereno è solo un'illusione. In realtà sono vicino a toccare il fondo, in quanto ad ansia e depressione, da quando ho mollato il lavoro un paio di settimane fa. Sono così scosso che mi rivolgo a dei perfetti sconosciuti online.

    Posso chiederti se hai mai avuto degli amici in passato? Magari compagni delle superiori o amici di infanzia?

    Anch'io (trentaquattrenne) negli ultimi otto o nove anni non ho avuto molte interazioni significative con il prossimo. Io però degli amici li avevo, solo che ad un certo punto della mia vita ho deciso di tagliare tutti i ponti e "chiudermi dentro".


    Ora sto cercando di uscire dall'isolamento. Quando capita (come di fatto è capitato negli anni e io ho sempre deciso di ignorare) che un amico mi scriva un sms estemporaneo, invece di lasciarlo cadere nel vuoto mi ci aggrappo. Rispondo, cerco di avviare un dialogo che per anni ho attivamente soffocato con il mio silenzio.

    Quindi ti chiedo: I pochi amici "con moglie e figli" non hanno mai bisogno di una spalla alla quale appoggiarsi? Crearsi amici nuovi da zero è difficile a questa età, e di sicuro il miglior modo di fallire nell'intento è partire dal presupposto di doversi fare degli amici, come sforzarsi di dormire è il miglior modo per non riuscire a prendere sonno.


    A volte le cose bisogna lasciarle accadere, e a volte è più facile aggiustare qualcosa di rotto che non creare qualcosa da zero.

    Ciao Apolide.

    Mi chiamo Mario, ho 34 anni, vivo una situazione simile alla tua, peggiore per certi versi, migliore per altri.

    Ho deciso di scriverti perché sento di avere delle cose da dirti, anche se non so precisamente che forma dare ai pensieri... Scrivere proprio non è il mio forte.

    A volte ci chiudiamo nelle nostre teste e cominciamo a vedere la realtà in modo distorto, perdiamo di vista le cose importanti, perdiamo di vista le soluzioni ai nostri problemi (che esistono sempre).
    La tua situazione vista dal di fuori è forse un po' meno drammatica di come la vedi e vivi tu. Voglio stare attento a misurare le parole, non voglio fare un discorso sciocco. Non sono qui a dirti quanto tu sia fortunata o di pensare ai bambini africani che muoiono di fame.
    Anch'io soffro di depressione attualmente. In passato, quando ho provato a frequentare l'università, per due anni sono stato fermo (e alla fine ho abbandonato) perchè non ero in grado di salire su un treno per fare venti chilometri senza morire soffocato.

    So cosa vuol dire perdere gli amici, so cosa vuol dire trovarsi a una certa età a vivere a casa dei genitori quando gran parte dei coetanei si sono lanciati con successo nella "vita". Che poi cos'è questa vita? Forse i tuoi parenti non dicono una sciocchezza quando ti dicono che "la vita è questa".
    Ti chiedo scusa se la prendo lunga, non sono bravo a esprimermi.

    Quello che ho notato in me e in tutte le persone che soffrono di questo male è il senso di urgenza: la necessità di una risposta immediata e adeguata. Una emergenza totale, la necessità di farsi capire, di farsi ascoltare. L'urgenza di essere capiti e aiutati ci fa perdere la capacità di ascoltare il prossimo. Almeno per me è sempre stato così.

    Le preoccupazioni generano un rumore di fondo assillante e le persone intorno a noi diventano invisibili, perse sullo sfondo.
    Perdiamo tanto di quel tempo a vedere cosa non va nella nostra vita e a immaginare come invece dovrebbe essere: "dovrei essere sposato e avere figli, dovrei essere un dottore come mio padre, dovrei avere un lavoro vero..." ecc. ecc.

    E' come se ci trovassimo davanti una distanza incolmabile che ci separa dalla "realizzazione". La "realizzazione" rimane sempre li in cima, lontanissima, mentre qui non c'è nulla. Qui solo il deserto.

    I tuoi parenti di dicono: "guarda che è qui la vita, ci sei già dentro", ma tu (come me) non riesci a verela, perché vediamo solo le proiezioni inarrivabili del "come dovrebbe essere".
    Allora io ti invito a provare a stare qui per un po' a guardare la realtà in cui ci troviamo insieme e provare a sviluppare delle piccole abitudini positive, fare piccoli esercizi quotidiani che ci permettano di affrontare la depressione e fare dei piccoli passi in avanti. Chissà che un giorno guardandoci indietro non ci si accorga di aver fatto più strada di quanto non si credesse possibile.

    E' questa la sfida: costruire un castello di carte nella bufera. Proteggere piccoli incrementi positivi a fronte di una mente turbolenta e distruttiva. Cominciare con un passo un cammino di centomila chilometri, perché vedi, il punto non è arrivare chissà dove, ma semplicemente camminare.

    Io credo che una strada del genere debba per forza passare attraverso la gratitudine. Abituarsi a notare ciò che di buono ci è concesso anzichè concentrarci su ciò che manca.

    Tu vedi una situazione drammatica: A casa con i genitori, un piccolo lavoro inadeguato e poco redditizio, tanti treni persi, nessun amico...
    Io vedo una donna che ha una casa, ha entrambi i genitori ancora in vita, ha fratelli e sorelle. Una donna che non è sola al mondo ma ha una rete di supporto che magari non è in grado di vedere, ma che è li per lei.

    Vedo una donna che ha un titolo di studio, per quanto poco spendibile. Ti dirò che per quanto inutile possa sembrare una laurea, averla sarà sempre meglio che non averla. Aver preso una laurea è meglio che aver passato dieci anni a bere. Questo te lo posso dire con certezza. E' una cosa positiva, per quanto piccola.

    Hai un lavoro che puoi fare da casa e che non occupa molto tempo. Un piccolo guadagno, poco stress, tempo da dedicare ad altri progetti. E' poco ma è un altro piccolo segno + da aggiungere alla lista. Non è una cosa negativa avere un lavoretto. C'è chi si lamenta di lavorare troppo se è per quello. C'è chi un lavoro non ce l'ha proprio.
    Se cominciassimo a fare una lista di tutte le cose positive, per quanto insignificanti, potremmo arrivare a dipingere un quadro un po' meno drammatico. Ma soprattutto questo quadro sarebbe vero. Non sarebbe riempito di bugie o falso ottimismo. Sarebbero piccole cose vere. La vita, una lista di piccole cose vere e positive.

    Questo non vuol dire accontentarsi o vivere col paraocchi e non desiderare nulla di più di quanto non ci è concesso in questo istante.

    Al contrario. Solo conoscendo e apprezzando le risorse che ci sono concesse in un dato istante possiamo imparare a sfruttarle appieno per migliorare la nostra condizione.

    Solo le risorse che abbiamo qui e ora possono essere usate per portarci li dove vogliamo arrivare. Ed e per questo che credo sia importante avere cura di (ed essere grati per) ciò che abbiamo. Aggiustare con amore ciò che è danneggiato anzichè cedere alla tentazione (stupida) di buttare via tutto.

    Magari la tua vita non sarà mai come tu la desideri, ma di sicuro già oggi è migliore di quanto tu non sia in grado di vedere.

    Non so se queste parole possano esserti di un qualche conforto o se suonano solo come un mucchio di banalità. Magari sono cose che hai sentito dire mille volte e ormai hanno perso ogni significato.

    Forse sono cose che scrivo per aiutare me stesso.
    Ti auguro di uscire presto da questo periodo nero.

    Mario

    Ciao Rafiki,
    Mi chiamo Mario, ho 34 anni e trovo che la mia esperienza personale abbia molti punti di contatto con la tua.
    Anch'io come te non ho ancora trovato la mia strada nella vita, anch'io come te ho provato varie volte a studiare (senza profitto).
    Come te vivo a casa con mio padre e come te ho di recente lasciato il lavoro. Come te mi arrendo alla prima difficoltà.
    Ora non sto qui a scrivere un romanzo perchè nono so nemmeno se il mio commento verrà pubblicato (mi sono iscritto e presentato oggi al forum).
    Vedi, io mi sono iscritto anche per parlare con persone come te. Persone come me. Trovare i miei simili, trovare punti di incontro, provare a capirci qualcosa insieme.
    Parlo come una pubblicità dell'otto per mille.
    Leggo il tuo messaggio, trovo delle somiglianze con la mia situazione e cerco di immaginare le correnti sotterranee che hanno determinato la tua (e la mia) situazione. Magari ci sono delle forze simili in gioco. O magari siamo giunti a situazioni simili da strade completamente diverse.
    Mi piacerebbe confrontarmi con te per vedere se in due riusciamo a capirci qualcosa.
    Per esempio io ho notato che spesso non mi accontento di ciò che ho. Niente è mai abbastanza. Passo molto tempo a fantasticare, immaginare futuri possibili. Di fatto consumo fantasie, vivo di fantasie.
    Vorrei ottenere tutto e subito. La realtà è sempre troppo lontana dalle fantasie.
    Invidio molto, mi paragono in continuazione agli altri e mi sento sempre inadeguato. Vedo i miei coetanei che hanno successo e il mio ego ne soffre. Una ferita sanguinante nel mio ego.
    Mi ritiro, cerco di nascondermi dal mondo. Mollo tutto. Non parlo più con gli amici. Mi vergogno molto. Mi isolo. Si instaura una dinamica che ricorda vagamente la favola de "la volpe e l'uva".
    Ma non serve a nulla. Sto sempre peggio.
    Perciò mi iscrivo a questo forum, leggo il tuo messaggio e voglio solo dirti: "ehi, anch'io sento queste cose. Parliamone, se ti va".

    Stammi bene

    Mario.