Messaggi di Melvin II

    Buon giorno amici e Felice 2015. Spero che abbiate passate un bel San Silvestro.Ora però è tempo di aprire gli occhi e di leggere ‪#‎LoSpettatorePagante‬. Cosa è?
    Cosa non è ‪#‎LoSpettatore‬.Per evitare ulteriori e noiose parole, sono: 268 recensioni cosi divise:156 film,23 spettacoli teatrali,36 trasmissioni televisive, 4 festival, 49 libri.
    Inizia in modo diverso il nuovo anno.

    lo trovate sulmio blog:il ritorno di Melvin!
    Vi aspetto

    Buon pomeriggio amici
    Scusate per la lunga assenza, ma sono state settimane intense. Sto bene e soprattutto sono stabile. vado ormai una volta al mese dal mio psichiatra. Sono concentrato verso nuovi traguardi. Ho trovato un editore per il mio libro "Essere Melvin" nella figura di Cavinato Editore International di Brescia. Sono davvero felice!

    Buon pomeriggio amici
    Scusate per la lunga assenza, ma sono state settimane intense. Sto bene e soprattutto sono stabile. vado ormai una volta al mese dal mio psichiatra. Sono concentrato verso nuovi traguardi. Ho trovato un editore per il mio libro "Essere Melvin" nella figura di Cavinato Editore International di Brescia. Sono davvero felice!

    Lo scorso Venerdi ho rivisto l'Aspirante Diva dopo 7 anni al Roma fiction Fest.
    Ero ovviamente teso ed emozionato, ma nel complesso sereno. Volevo affrontare la madre di tutti i file per aver la certezza d'averli distrutti per sempre. Già sul red carpet Ginevra mi ha riconosciuto mostrando sul volto e nel corpo sorpresa che sul momento non sapevo se giudicare in maniera positiva o negativa. Così incitato da mia madre ho deciso di salutarla alla fine della premiere della sua fiction. Mi sono avvicinato con il cuore che batteva forte . Lei era in compagnia di un'amica. Le ho detto"Buona sera Ginevra complimenti" e le ho teso la mano.Lei ha dapprima meccanicamente teso la mano, ma appena ha alzato lo sguardo su di me l'ha ritratta sdegnata e ha continuato a camminare con l'amica, la quale sorpresa dal gesto le ha chiesto "Ma perchè non l'hai salutato?" Ho solo sentito parte della sua risposta"Lo conosco io.." e poi sempre camminando si è rigirata lanciandomi uno sguardo carico dii rabbia, rancore e altri sentimenti difficili da descrivere.
    Una settimana dopo posso dire di essere ancora in piedi e d'aver incassato il vaffa.
    Ieri ne ho parlato anche con il mio psichiatra sorpreso del mio gesto e mi ha invitato a non farmi troppe domande e a rispettare la reazione e decisione della ragazza, seppure rancorosa.
    Mi chiedo e vi chiedo cosa può portare una ragazza baciata dalla fortuna e popolarità a provare questi sentimenti così negativi?
    Sempre venerdi mia madre mi ha confessato che nel settembre del 2009 quando ebbi la prima crisi psicotica e la mia memoria tornò, decise d'andare a trovare il padre di Ginevra, il Dott Serioso psicoterapeuta, nel suo studio.L'uomo confermando d'essere senza Onore, confermò di frequentare il forum della figlia per vigilare, ma non ricordava il mio nome. Mentre diceva queste parole a mia madre, era rosso in volto e sul collo.Come sempre il Tempo è stato galantuomo
    Il cerchio si è chiuso venerdi scorso. La fiction ha trovato il suo finale.
    Vado avanti per la mia strada. Ho tanti progetti. "Ad horas" forse potrei annunciarvi l'accordo con un editore, farò di Melvin uno spettacolo teatrale, ma resta l'amarezza e la tristezza di sapere che una famiglia e soprattutto Ginevra prova nei mieii confronti un rancore se non peggio senza che io sappia il motivo. voi cosa fareste al mio posto a questo punto?

    Il biglietto d’acquistare per “Un ragazzo d’oro” è: 4)Ridotto
    “Un ragazzo d’oro” è un film del 2014 scritto e diretto da Pupi Avati, prodotto da Rai Cinema con:Riccardo Scamarcio, Sharon Stone,Cristiana Capotondi, Giovanna Ralli.
    Molti sognano di scrivere, molti si credono scrittori e pochi in vero leggono.
    Spesso il rapporto padre - figlio è segnato da liti, gelosie e incomprensioni.
    La vulgata racconta dell’amore infinito di un genitore per un figlio, ma dove può arrivare l’amore filiale?
    Pupi Avati con “Un ragazzo d’oro” si discosta dal suo tradizionale genere cinematografico per raccontarci una storia d’amore universale, intensa e delicata: quella tra un padre e figlio.
    Così lo spettatore conosce Davide Bias (Scamarcio) aspirante scrittore affetto della sindrome ossessiva compulsiva e nella vita di tutti i giorni creativo a Milano in un’agenzia di pubblicità e impegnato in una problematica storia con la bella e insicura Silvia(Capotondi).
    Davide è costretto a tornare a Roma chiamato dalla madre, per l’improvvisa morte del padre Achille, modesto sceneggiatore di film, in un incidente stradale Le indagini ben presto accerteranno il suicidio di Achille. Davide ha avuto un pessimo rapporto con il padre. Lo considera un fallito e un pessimo marito e genitore. Durante il funerale conosce Ludovica Stern(Sharon Stone) editrice affascinante e ultimo oggetto del desiderio del defunto padre.
    Ludovica rivela a Davide che il padre stava scrivendo un libro di memorie che avrebbe dato all’autore la celebrità negata e perciò lo invita a cercarlo tra le carte dello sceneggiatore.
    Davide inizia un viaggio nella memoria e di conoscenza del padre leggendone gli scritti.
    La figura paterna che ne esce fuori è completamente diversa da quella che il figlio si era creata negli anni. Così Davide decide di scrivere il romanzo,in realtà mai scritto, per conto del padre. Diventando di fatto un'unica persona
    Scrivere questo romanzo per il protagonista diventa un’ossessione, facendo scivolare la sua mente nella spirale senza ritorno delle compulsioni e rituali, avendo smesso di prendere i farmaci per liberare la creatività.
    Il romanzo si rivela un caso letterario con la vittoria al Premio Strega, ma Davide crolla mentalmente e viene richiuso in una clinica psichiatrica.
    La sceneggiatura è ben scritta, lineare, asciutta, ma comunque carica d’intense emozioni.
    Il pathos narrativo e soprattutto introspettivo si sente e si tocca lungo tutto il film, avvolgendo il pubblico. I dialoghi anche se abbastanza scontati e prevedibili non sviliscono la qualità del film.
    La regia di Pupi Avati è “old style”, senza particolari guizzi creativi, solida e nello stesso tempo semplice. Conduce la nave in porto con esperienza e sicurezza. Il film anche se ha nel complesso un discreto ritmo narrativo, in alcuni momenti dà la sensazione di staticità e lentezza che non permette allo spettatore di gustarsi fino in fondo la storia.
    Sorpresa Scamarcio:Davvero intensa, bella e coinvolgente la sua interpretazione. Il suo Davide è credibile nelle varie fasi del film, riuscendo a far scattare la simbiosi con lo spettatore.
    E’ probabilmente la sua migliore prova d’attore, rivelando una inaspettato e notevole scatto artistico.
    E’intensa quanto forte Giovanna Ralli nel ruolo della madre. La classe e il talento non hanno età.
    Sharon Stone è elegante, fascinosa, ma nello stesso tempo sobria nel ruolo. Entra nel personaggio in punta di piedi e lo rende credibile e con i giusti toni.
    Senza lodi e senza infamia la presenza di Cristiana Capotondi.
    Il finale del film è molto toccante e forse melenso come può essere una storia d’amore, ma senza cadere nel retorico e ridondante, lasciando al commosso spettatore la sensazione che non è mai troppo tardi per far pace con il proprio padre.

    Lo confesso, tornare a scrivere di fiction italiana dopo aver visto True Detective è complicato.
    Mi sento come Icaro, come un angelo caduto dal cielo o se volete come un bambino a cui hanno tolto improvvisamente un bel giocattolo.
    Il genere giallo e la Tv italiana hanno bei trascorsi insieme:Gino Cervi con Maigret, Ubaldo Lay con il tenente Sheridan e oggi Zingaretti con Montalbano.
    Oggi i gusti del teledipendente sono cambiati, diventano più esigenti e complicati.
    Scrivere un giallo non è da tutti. Inchiodare lo spettatore davanti alla TV è ancora più difficile.
    Ormai si tende a mescolare più generi, non esiste più il thriller classico.
    Pietro Valsecchi e la Taodue hanno lanciato la sfida con “Il Bosco” mini serie in 4 puntate presentata ieri sera in anteprima al Roma Fiction Fest con protagonista Giulia Michelini.
    Giulia Michelini è Nina Ferrari una giovane professoressa di psicologia che dopo aver studiato all’estero decide di tornare a casa per insegnare e soprattutto sperando di risolvere il mistero della scomparsa della madre Cecilia avvenuta anni prima.
    Un evento che condiziona fortemente la ragazza, causandole crisi d’ansia che la costringono a prendere continuamente psicofarmaci.
    La fiction parte subito in “quarta” con la scena di una drammatica fuga nel bosco di una ragazza inseguita da un misterioso uomo mascherato con un coltello(se avete visto il film “Scream”, potete farvi un’ idea del cattivo”) sotto gli occhi sconvolti di Nina.
    La ragazza di nome Samantha si scoprirà essere una studentessa del campus universitario. Nina intuisce che dietro quella fuga, si nasconde un mistero e si offre d’aiutare la ragazza, ma che verrà brutalmente uccisa prima che si possano incontrare.
    Le indagini sono condotte dall’ispettore Damiani (Andrea Sartoretti) che non sottovaluta l’ipotesi omicidio avanzata da Nina.
    I primi sospetti ricadono su Alex Corso(Claudio Gioè), ex galeotto condannato per l’omicidio della fidanzata vent’anni prima e ritornato in paese con sete di rivincita.
    Ninna si scontra da una parte con la realtà del campus, luogo di misteri e segreti e dall’altra con un problematico rapporto con il padre Pietro , ricco industriale(Marescotti) deciso a risposarsi con l’ambigua e avida Sandra Ceccarelli.
    Il Bosco ha l’ambizione d’essere contemporaneamente thriller e paranormale, ma il mix almeno nella prima puntata non è risultato convincente. La sceneggiatura presenta dei limiti nell’intreccio e non sempre i dialoghi appaiano credibili e realistici.
    Lo spettatore dovrebbe subito entrare, secondo le aspettative degli autori, in pieno pathos narrativo e coinvolto dai personaggi e dall’atmosfera tra il noir e dark, ma ciò non avviene.
    I personaggi sono sovra caricati determinando così una tensione narrativa eccessiva nei toni e nello sviluppo.
    Giulia Michelini si cimenta in un ruolo difficile, buttandosi nella storia con talento e intensità attraverso la sua usuale recitazione “nervosa” e di pancia, ma non sempre riesce a convincere e far nascere il coinvolgimento con il pubblico.
    Nina è un personaggio tormentato dal passato e dalla perdita della madre, ci vuole “freddezza”e distacco per renderlo credibile e l’attrice romana, seppure di valore, tende in alcune a sovraccaricare la recitazione.
    E’ancora la prima puntata, probabilmente il personaggio subirà evoluzioni, limitandoci a quello che abbiamo visto, possiamo dire che Giulia Michelini è promossa con riserva.
    Il resto del cast composto da apprezzati professionisti è sicuramente di qualità, ma è presto per esprimere un giudizio definitivo, ma al momento presentano più luci che ombre.
    Alla fine della prima puntata lo spettatore magari non sarà rimasto incantato, ma probabilmente continuerà a seguirlo anche solo per sapere che fine faccia la nostra protagonista dispersa nel “bosco”.

    Sono orgoglioso d’essere italiano. Siamo un grande Paese e noi italiani siamo stati capaci di grandi imprese in qualsiasi disciplina.. Eppure ci sono giorni in cui il mio orgoglio nazionale soffre e prende atto che in certi campi siamo, aihme ,ahimé, un Paese da ricostruire. La qualità dei programmi televisivi trasmessi spesso rispecchia la società in cui si vive con pregi e difetti. Ieri sera al Roma Fiction Fest, ancora una volta ho compreso l’enorme distanza che ci separa dall’America, anche dal punto di vista culturale e creativo oltre che come possibilità economiche.
    “La fiction fa oggi ciò che il cinema non riesce più a fare. La fiction osa, crea, stupisce. Aspetto con più ansia l’uscita di (una) nuova fiction piuttosto che di un film”. No, queste parole non sono state dette da un qualsiasi teledipendente, ma dal Premio Oscar Bernando Bertolucci intervistato da Carlo Freccero per presentare la serata evento su “True Dective”.finalmente arrivata in Italia dopo aver incantato critica e pubblico in America.
    Ero davvero curioso di vedere all’opera i due protagonisti il neo Premio Oscar Matthew McConaughey eWoody Harrelson, nel ruolo di una coppia d’investigatori alla ricerca di un serial killer che nel gennaio del 1995 uccide una giovane donna, facendo ritrovare il corpo con una metodologia e rituali da setta satanica.
    Il ritrovamento del corpo è solo l’incipit della storia che ha fin da subito due piani di racconto temporale diversi. Lo spettatore infatti vede i due poliziotti Rust Cohle(McConaughey) e Marty Hart(Harrelson) intervistati separatamente da altri due colleghi nel 2012 sul caso del 95.
    Marty e Rust sono cambiati nel corpo e nell’anima dopo quel caso, non sono più una coppia e hanno rotto i rapporti per uno sconosciuto litigio.
    Le due interviste fungono da voce narrante all’interno della ricostruzione storica dell’indagine, ma è anche il mezzo per conoscere e comprendere le personalità dei due personaggi.
    Ogni puntata è ricca di spunti visivi e mentali, carica di suggestioni e soprattutto caratterizzata da un’atmosfera decadente e nichilista
    True Dective è un viaggio profondo e sottile nella psiche dei personaggi diversi tra loro,ma nello stesso tempo complementari.
    Rust è un nichilista, visionario, drogato, ma è anche un attento e scrupoloso osservatore delle scene del crimine. La sua vita è stata segnata dalla tragica morte della figlia in un incidente e dal successivo divorzio dalla moglie.
    Marty è quadrato, rude, ha una bella famiglia, ma si concede qualche “svago” extraconiugale.
    Ambientato in Louisiana, i paesaggi e gli scenari sono parte integrante del racconto e del suo spirito. E’ difficile catalogare “True Dective” in un genere già esistente. E’ come una matrioska, ad ogni puntata si scopre un nuovo ingrediente, un nuovo spunto d’analisi e di riflessione.
    La sceneggiatura di Nic Pizzolatto è già di per sé particolare, forte, avvolgente, originale, intrigante. Ogni parola ha un suo peso e scelta con cura. I dialoghi tra i due protagonisti raggiungono vette altissime dal punto di vista filosofico e introspettivo.
    La regia di Cary Joji Fukunaga segna un punto di rottura e discontinuità con le regie finora viste. Riesce a tenere alta e costante l’attenzione dello spettatore nonostante la complessità della struttura narrativa e creare con disarmante semplicità un pathos narrativo non comune.
    Perfetta l’alchimia tra i due attori che rendono con grande efficacia interprativa ed emotiva le due diverse fasi della storia.
    Forse l’unico limite di “True Dective” è la sua impegnativa complessità, volare alto non sempre è facile e non tutti sono capaci di seguirti con la stessa velocità e intensità
    Uscito dalla sala, con la mente e il cuore carichi d’emozioni e sensazioni, ho continuato il mio viaggio nell’eccellenza con” Orange Is the New Black”, fiction tutta al femminile, ambientata in un carcere.
    Confesso d’aver visto solo l’ultima mezz’ora, ma è stata sufficiente per capirne le potenzialità
    A metà strada tra commedia e dramma, lo spettatore segue le vicende di Piper Chapman(Taylor Schilling) giovane donna rinchiusa nel carcere di Litchfield per 15 mesi con l’accusa di essere il corriere di un pericoloso trafficante di droga. In vero Piper è stata incastrata dalla sua compagna Alex e così si trova a vivere questa esperienza da detenuta. La prima puntata è e servita di fatto a presentare i diversi personaggi alias le altre detenute. Diverse tra loro e tutte particolari , chi violenta, chi ossessiva, chi logorroica, chi invadente, chi maleducata. La vita carceraria vista dal punto d vista femminile con efficace dose d’ironia
    Lo spettatore non può non seguire con curiosità le vicende di Piper e delle sue colleghe in un mondo così piccolo ,ma ricco di vita comunque.
    Uscito stavolta dalla sala con il sorriso sulle labbra, ma sempre estasiato, ho deciso di chiudere il viaggio nel mondo dell’oscurità e di rivedere un vecchio amico:Hannibal Lecter..
    Per tutti Hannibal Lecter ha il volto di Sir Antony Hopkins.
    E’difficile, se non impossibile, superare l’interpretazione dell’attore inglese nel rappresentare l’eleganza e il fascino del male.
    Eppure la serie Hannibal giunta alla seconda stagione, ha sicuramente aggiunto alcuni elementi innovativi e originali nella storia.
    Chi era Hannibal Lecter prima d’essere il più pericoloso cannibale della storia?
    Una risposta in apparenza semplice, ma in vero assai complessa, quando bisogna raccontare le origini del male, ma gli autori ci sono andati molto vicino.
    Hannibal Lecter è Mads Mikkelsen, davvero adeguato per il ruolo. Ha dimostrato di saper reggere il difficile confronto con Hopkins, riuscendo a dare al suo personaggio, spessore e profondità con un volto imperturbabile e scevro d’emotività e con una gestualità minima
    Lo spettatore entra nel mondo di Hannibal, eccellente psichiatra, abile cuoco e affascinante. Ma sono gli sguardi di Mikkelsen che raccontano cosa ci celi dietro l’apparenza:un mostro senza coscienza.
    Una serie visionaria, a tratti truculenta, onirica ,caratterizzata più dalle immagini e silenzi che dai i dialoghi.
    Il cast è all’altezza del compito, riuscendo a fare da sfondo alla “nascita” del Cannibale ed è curioso, nel limite del possibile, come uno psicopatico possa avere anche amici ed stimatori.
    Una sera che ha lasciato il segno nel mio cuore e soprattutto nel mio immaginario, dimostrando ancora una volta che saranno pure yankee e cowboy, ma sanno raccontare e descrivere i sogni e soprattutto gli incubi dell’uomo come nessun altro

    "Si alza il vento".

    Biglietto: Sempre

    "Chi ti ha detto che il film era noioso?" ho chiesto ad una carissima amica a fine proiezione e uno spettatore accanto a me, voce del popolo voce di Dio, non si è trattenuto ed è sbottato "un c∙∙∙∙∙∙e!".
    "Si alza il vento" è un capolavoro. Veramente molto poco da aggiungere.
    Meraviglioso per le immagini, la colonna sonora, i dialoghi, la poetica, l'affresco di un epoca e di una nazione e contemporaneamente il messaggio senza tempo e senza confini. Questa opera è fatta della materia dei sogni, è ricolma dello slancio della passione e dello sguardo incantato sulla tecnologia.
    Franco Battiato in una sua canzone di tanti anni fa dichiarava di stare aspettando "un'ottima occasione per acquistare un paio d'ali e abbandonare il pianeta", ebbene Miyazaki queste ali meravigliose a forme di spina di sgombro le ha trovate e le regala allo spettatore. Quando le luci si riaccendono e si è schiacciati di nuovo sulla Terra si soffre terribilmente, come quando ci si risveglia al termine di un sogno meraviglioso.
    Confesso che ho pianto a più riprese. Sono un grande fan dell'autore giapponese ma era dai tempi di "il mio vicino Totoro" che un suo film non mi commuoveva cosi nel profondo. Il suo ultimo film vince tutti i precedenti. Capisco bene che non voglia girarne un'altro. Non è un fatto d'età. Come notava un amico ieri sera dopo avere creato un opera d'arte di questa portata è dura cimentarsi di nuovo con la consapevolezza di quanto si sia alzata l'asticella.
    Mi provoca rabbia, grande rabbia pensare che l'ultima opera di un genio come Miyazaki sia rimasto nelle sale solo 4 giorni mentre nel multisala accanto a me era piena di orrendi film stipati di spettatori che invece di innalzare lo spirito si imbarbarivano sempre di più come tribu di suburbani.
    Insomma non basta che Kurzweil si sbrighi a regalarci la trascendenza il più presto possibile per fare si che Miazaki abbia tutto il tempo di provare a superarsi ma dobbiamo pure sperare che la primavera torni ad ingentilire questi tempi nei quali viviamo. Se nel film il protagonista si abbottona la giacca prima di essere presentato alla moglie di un conoscente e quando gli fanno la proposta della vita risponde, dopo aver meditato, "mi concedo di accettare", oggi noi siamo immersi in folle che vanno a vedere il Roma Fiction Festival invece come storditi da prodotti di brutta produzione e altissimo consumo. Ma "Le vent se lève!... il faut tenter de vivre" (Paul Valery). Non ci arrendiamo

    Al cuore non si comanda,ma spesso la ragione deve prevalere sui sentimenti.
    Non esiste una sola verità, ma diverse prospettive di un fatto.
    Machiavelli secoli fa ci ha raccontato come la politica non sia adatta ai verginelli.
    A volte è necessario sporcarsi le mani per un bene superiore. Se è lo Stato stesso a superare il limite della legalità per garantire la sicurezza dei propri cittadini, ci viene detto che è stato fatto per “Ragion di Stato”.
    Nell’immaginario comune gli uomini e le donne dei servizi segreti sono personaggi dotati di grandi capacità intellettive, fisiche e soprattutto degli eroi in incognito.
    Lavorano nell’ombra e ogni giorno danno il loro contributo per garantire la pace nel mondo.
    Ma cosa succede realmente nelle segrete stanze? Chi sono i nostri agenti segreti? Esistono come in ogni posti di lavoro invidie e gelosie?
    A queste domande risponde la mini serie “Ragion di Stato” prodotta dalla Cattleya e diretta da Marco Pontecorvo e presentata ieri sera in anteprima al Roma Fiction Fest.
    È una fiction sicuramente diversa e particolare nel panorama televisivo italiano. Lo spettatore viene catapultato da una parte in una spy story ricca d’intrecci internazionali e dall’altra si emoziona e commuove con una storia d’amore.
    Il capitano Andrea detto il Rosso (Luca Argentero), protagonista della storia,durante una missione in Afghanistan è vittima con il collega e amico Fontana (Andrea Tidona)di un raid talebano che si conclude con il drammatico rapimento dell’amico.
    Inizia così un affannoso e segreto pano di recupero organizzato dall’AmmiraglioMassa(Colangeli) e dal suo staff: il maggiore Stell a(Foglietta) e il suo vice Ranieri (Bruschetta).
    Il Rosso morde il freno e vaglia ogni possibilità operativa mentre lo scaltro ed esperto Massa chiede aiuto al trafficante d’armi libanese Rashida, che in cambio ottiene di curare a Roma la figlia Fatima malata accompagnata dalla bella moglie Rania(Aksoy).
    Così il Rosso, obtorto collo, fa da guardia del corp a Rania e figlia, ma ben presto tra i due scatta la passione e poi l’amore.
    I tentativi di salvare l’amico Fontana falliscono tragicamente e il Rosso cercherà in tutti i modi di vendicare l’amico e di salvare Rania dalle mani di un marito violento e possessivo.
    Marco Pontecorvo si conferma un regista di grande talento e capacità creative riuscendo a coniugare e mescolare diversi generi senza mai perdere il filo rosso del racconto.
    Riesce con maestria ed efficacia a dare un ritmo costante alla storia, non facendo mai calare di tono l’attenzione dello spettatore
    La struttura narrativa funziona solo parzialmente. Se l’elemento spy story avvolge e convince, la parte romance stenta a decollare e emozionare.
    Giorgio Colangeli, Anna Foglietta e Ninni Bruschetta nei rispettivi ruoli sono convincenti e riescono a trasmettere allo spettatore le diverse sfumature che convivono all’interno dei servizi segreti.
    Colangeli è il leale servitore dello Stato, Foglietta è l’agente fedele ma con un’anima, Bruschetta è l’uomo delle carte e per tutte le stagioni.
    La coppia Argentero - Aksoy solo in parte trasmette quel calore necessario per raccontare un colpo di fulmine forte e travolgente. Argentero è apprezzabile per l’impegno profuso, ma di James Bond purtroppo c’è ne solo uno e si chiama Sean Connery.
    La sceneggiatura e i dialoghi forse hanno risentito del forzoso montaggio di ieri, ma al momento presentano alcune criticità.
    Il finale cerca di coniugare il lieto fine all’interno di una spy story, lasciando allo spettatore l’amara sensazione che per “Ragion di Stato”, non sempre la soluzione coincide con la cosa giusta da fare.

    “La fiction è cultura. La fiction è la nuova letteratura”. No, non sono mie parole, anche se spero un giorno di dirle a Daria Bignardi durante “Le Invasioni Barbariche”.
    Così si è espresso giovedì scorso Carlo Freccero direttore artistico del Roma Fiction Fest durante la conferenza stampa di presentazione del Festival alla Casa del cinema,a Villa Borghese..
    La crisi morde, spaventa e inquieta. Girano pochi soldi e anche il Mondo dei Balocchi si è dovuto adeguare. Il presidente dell’ATP Marco Follini(si proprio lui,l’ Harry Potter della politica, ex segretario Udc ed ex vice premier del secondo governo Berlusconi) ha sottolineato come l’ottava edizione del Festival nasce sotto l’insegna della più rigorosa austerity:dagli 11 milioni del 2011 al 1,5 di budget di oggi.
    Freccero ha promesso un festival di qualità, d’impegno civile e di critica anche senza grandi star.
    Con questi rulli di tamburi, ieri sera sono tornato al Festival dopo un’assenza di sette anni.
    L’Auditorium Parco della Musica è sicuramente un bel palcoscenico per raccontare il mondo attraverso la fiction che, come recitano i cartelloni, spesso anticipa la realtà.
    La serata inaugurale è partita con l’omaggio all’avvocato Giorgio Ambrosoli, forse nome sconosciuto alle nuove generazioni e anche per questo la fiction”Qualunque cosa succeda” con PierFrancesco Favino è più che mai utile e necessaria.
    Chi era Giorgio Ambrosoli? Come raccontare a un ragazzo d’oggi un eroe anche se privo di maschera e super poteri? Giorgio Ambrosoli era una persona normale, un lavoratore, un padre di famiglia e soprattutto un servitore dello Stato.
    Nel 1974 Ambrosoli, apprezzato per le sue competenze, riservatezza e indipendenza, fu nominato dall’allora governatore della Banca d’Italia,Guido Carli, commissario liquidatore della Banca Privata italiana del discusso banchiere Michele Sindona.
    Gli anni 70 sono stati un periodo storico difficile, drammatico e complesso del nostro Paese e tante oscure forze si contrapponevano allo Stato.
    Ambrosoli inizierà un certosino e scrupoloso lavoro d’indagine per comprendere i perché del crack della banca e soprattutto metterà in luce le illecite manovre finanziare di Sindona.
    La fiction diventa presto un duello serrato tra Ambrosoli(Favino) e Sindona(Popolizio). Due figure distanti, diverse,opposte. Sindona è un uomo spregiudicato, manipolatore, avido e senza scrupoli. Ambrosoli rappresenta l’onestà, la correttezza, e la dignità dello Stato che non vuole scendere a patti con i criminali.
    Fuggito all’arresto e scappato in America, Sindona cercherà in tutti i modi di ostacolare l’indagine di Ambrosoli, chiedendo aiuti ai suoi amici potenti, minacciando e promettendo.
    Ambrosoli ben presto si troverà solo in questa sfida. I poteri forti cercheranno di ostacolarlo, impaurirlo, sedurlo. Dopo un’iniziale diffidenza troverà un prezioso alleato nel maresciallo della Finanza Silvio Novembre(Andrea Gherpellli), anche lui uomo di Stato, duro e puro.
    La fiction racconta anche il lato umano e privato del protagonista. Un uomo che ama i suoi tre figli e la moglie Anna(Caprioli),ma che nonostante le minacce e il rischio di perderli, non cesserà la sua missione. Ambrosoli scrive una lettera testamento alla moglie in cui la invita ad essere forte come sempre perché “Qualunque cosa succeda, cara Anna, tu saprai cosa fare e cosa dire ai nostri figli e trasmettere i miei ideali di Paese e di famiglia”.
    Se fosse un fumetto Marvel, alla fine il nostro eroe vincerebbe l’epica battaglia contro il nemico e la pace tornerebbe a regnare. Ma questo non è un fumetto, purtroppo. Michele Sindona aveva anche amicizie pericolose. Fu il mandante dell’assassinio di Giorgio Ambrosoli. Un killer assoldato dalla mafia uccise l’avvocato l’undici luglio del 79 mentre stava rientrando a casa, quando ormai il cerchio giudiziario sul banchiere si stava chiudendo.
    Pier Francesco Favino onora la memoria di Giorgio Ambrosoli con un’interpretazione intensa, commovente, forte. Indossa con efficacia la maschera del decoro e dell’onestà.
    Il suo alter ego Sindona è ben rappresentato da Massimo Popolizio,le sue espressioni facciali esaltano la figura negativa del banchiere.
    Menzione particolare per Andrea Gherpelli(nome personalmente sconosciuto fino a ieri) è davvero di rilievo la sua interpreazione. Forma con Favino una coppia ben assortita e affiata emozionando pubblico con il volto positivo dello Stato.
    La sceneggiatura e i dialoghi sono ben scritti e costruiti, riuscendo a tenere costante il pathos narrativo e la funzione storica di ricostruzione degli eventi.
    Forse la regia non brilla per creatività e innovazione, ma riesce nell’intento di coniugare racconto verità e show, regalando buone vibrazioni emotive al pubblico.
    Tranne il governatore Baffi al funerale di Ambrosoli, lo Stato sarà colpevolmente assente. Uno Stato che aveva il volto di Giulio Andreotti che, fino all’ultimo in maniera discutibile e inopportuna, dirà dell’uomo Ambrosoli” se l'andava cercando”.
    Ieri sera con la presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in qualche modo arrivano delle scuse tardive e un doveroso riconoscimento al servitore dello Stato,
    Il figlio dell’avvocato, Umberto, ieri sera presente, ha detto prima della proiezione”Spero che questa fiction possa contribuire a formare una coscienza più profonda del cittadino e soprattutto a renderlo più partecipe della nostra società”. Non si può non essere d’accordo.
    Ci piace pensare che da lassù Giorgio Ambrosoli vedendo la sua fiction, fumandosi l’ennesima sigaretta abbia sorriso e detto”Ne è valsa comunque la pena per il mio Paese”e tutto questo un fumetto della Marvel non lo fa provare.
    “Qualunque cosa succeda, Giorgio Ambrosoli, una storia vera” prossimamente su Rai Uno.