Mio nonno materno se n'è andato 11 giorni fa.
Mia madre ha una sorella, con la quale ha un pessimo rapporto per via di una forte competizione. Mia nonna non nasconde di apprezzare maggiormente mia madre.
Dopo una settimana dalla scomparsa, mia zia litiga furiosamente con mia madre e rimproverando mia nonna per essere la causa del carattere di mia madre, si allontana.
Mia madre va a dormire a casa di mia nonna per non lasciarla sola in attesa di trovare una badante.
Ci rimane 10 giorni, senza chiedere a mia zia il cambio, che comunque non viene offerto bensì negato per via dei letti scomodi...
Mio padre è una persona decisamente instabile, che in passato ha spesso perso il controllo di sé diventando violento.
Il matrimonio dei miei non si regge assolutamente sull'amore né sull'affetto, bensì solo sulla paura di una separazione, più forte delle botte.
Si odiano entrambi e hanno dedicato la loro vita a lamentarsi dell'altro presso le proprie madri, senza coltivare amicizie né alcuna passione.
Io sorvolo sui danni che la cosa ha provocato in me, figlio unico perennemente spinto a prendere posizione nelle loro liti a difesa dell'uno o dell'altro, e arrivo al punto: mio padre ora è in uno stato confusionale e deliroide.
Non gli è stato diagnosticato, quindi si tratta della mia interpretazione.
Non era mai successo che papà non avesse il controllo su mamma per così tanto tempo e dormissero distanti tanto a lungo.
In questa situazione di sospensione lui è prima diventato molto aggressivo (con me) e poi è caduto in uno stato di imbambolamento.
Passa le giornate a casa a fumare e a dire a me (molto lentamente e guardando nel vuoto) che "ci son certe problematiche", che "bisogna prendere certe decisioni", che "certe cose vanno affrontate", che "bisogna fare dei discorsi"... senza esplicitare più di così e aspettando di essere capito.
Dico deliroide perché crede che mia madre voglia che io e lui ci trasferiamo a casa di mia nonna, che vestiti suoi siano miei, che io gli mandi segnali attraverso l'intonazione della voce. Poi collega frasi estrapolate da contesti diversi senza nesso logico.
Io ho provato a farlo parlare, ma ho troppo rancore verso di lui per farlo senza poi avere il desiderio di urlarglielo. Non riesco a stare accanto a chi mi ha messo le mani in faccia...
Così come a mia madre per l'immaturità che sta dimostrando ignorando tutto ciò e giustificandosi per via del suo essere la figlia buona e la moglie maltrattata.
Non so come comportarmi con lui.
Di psicoterapie non ne vuole sapere, così come di medicinali.
Forse dovrei dargli delle gocce di tranquillante o simile di nascosto.
Forse dovrei assecondarlo e aspettare che gli passi da sé.
Non so che responsabilità ho io in questa situazione.
Mia zia paterna dice che mia madre avrebbe dovuto pretendere il cambio da mia zia materna e tornare a casa per stare accanto a papà, visto che se ne è la moglie è la persona più indicata a dargli le gocce al bisogno.
Mia madre non vuole saperne minimamente, dicendo che per averlo sopportato annullandosi ormai lei è al di sopra di ogni responsabilità, quindi quando sta così è affare della famiglia di origine.
Io vorrei poter dire che questo loro matrimonio va avanti perché di fatto io li ho incatenati e questo mi pesa tantissimo, specie in queste situazioni dove la nave affonda e ognuno pensa a sé.
Ma non riesco a farlo, penso a come tappare i buchi che ogni momento si moltiplicano.
Non so come però. In tutto ciò faccio notare che nessuno ha avuto un minimo di contegno di fronte ad un lutto, da me molto sentito tra l'altro visto che ero legatissimo a mio nonno.
Innanzitutto secondo voi come dovrei comportarmi con mio padre e di che natura potrebbe essere il suo disturbo?
Messaggi di Alfie
-
-
Direi che stai manipolando, piu' che giocando, Sembra quasi che tu abbia dovuto inventarti delle strategie complicatissime per riuscire a stare al mondo da piccolo.
Puo' darsi che còo sia dovuto a messaggi contrastanti e contraddittori da parte di uno o diverse figure genitoriali, e che tu abbia fatto i salti mortali poer cercare di dare loro una coerenza logica.
Ma per farlo ha traformato il tuo cervello in un labitinto inestricabile.
Pazienza. E' andata cosi'.Senz'altro. I miei giocano entrambi a Tutta colpa tua. Hanno sempre parlato malissimo l'uno dell'altro davanti a me ed entrambi hanno preteso che io mi schierassi a favore di uno dei due contro l'altro. Sono volate parole e non solo. Il senso di colpa per averli incatenati è sempre stato presente in me. Faccio psicoterapia dinamica da un anno a seguito di botte e depressione. Potrei andare avanti così all'infinito.
Quindi ho una mente labirintica e pazienza? Amen? Che intendi?
Quel che chiedevo è forse così sintetizzabile: come accorgersi se l'apprendimento dell'AT nasconda in realtà solo il desiderio di sentirsi dire bravo? Io sinceramente ho il terrore delle transazioni duplici latenti, perché ho paura di studiare l'AT da Adulto quando invece su un piano latente è il Bambino a guidarmi e a indirizzarmi sull'AT proprio perché argomento più difficile da smascherare rispetto ad esempio al karate. Se così fosse bisogna smettere di giocare e quindi smettere di studiate l'AT?
Tu dici che non mi scaglio contro l'AT ma contro il Genitore... e se il mio Bambino si scagliasse contro il mio Genitore? L'AT non lo prevede? Sdoppiamento di personalità? -
Non ho ancora riflettuto sulla tua domanda, ma aggiorno la pagina nella speranza di trovare una tua risposta che attesti che son stato bravo perché ho imparato il Sì... Ma.
Cerco nuovamente di tirarti in un gioco in cui sono Bambino.
Questo forse esplica la mia domanda iniziale.
E se applicarsi sull'AT non sia altro che un bisogno metarelazionale di sentirsi dire bravo?
"io mi applico studiando l'AT, sono bravo e non mi si può accusare di niente".
Se non me lo confermi (non giocando) mi dispero (e ti svaluto).
Se me lo confermi passo ad altro perché non ci trovo più gusto.
Mi interessa solo il pagamento?
Sto giocando?
Mi dirai che ancora non ho riflettuto nel merito sulla tua risposta. Eh... -
Penso di giocare al Si... Ma.
Leggo e rileggo il tuo "Dimmi che ne pensi" e provo a rispondere sinceramente.
La prima reazione è "hai ragione a prescindere perché ne sai più di me, ma io, che voglio solo crogiolarmi nei miei lamenti, cavillerò fino a sfiancarti".
Ciò non è rispettoso nei tuoi riguardi e quindi proverò a riflettere sulla tua risposta più a lungo, così da dirti veramente cosa ne penso.
A presto Doc. -
Doctor Faust, avrei una domanda.
Una delle spinte genitoriali più frequenti nel bambino è Sii perfetto.
L'apprendimento dell'analisi transazionale non è forse un tentativo di rispondere a tale imperativo?
Non riesco a dominare le relazioni interpersonali, perciò da bravo Bambino imparo la lezione dell'Analisi transazionale così da non venire fregato mai più, tuttavia sento la dissonanza cognitiva tra il "vivere" la vita e "l"apprenderla", quindi mi scaglio contro l'Analisi transazionale dicendo che seguendola gioco al gioco impostomi dal Genitore analista. Un cane che si morde la coda.
Come uscire da questo presunto gioco (chiese il Bambino al Genitore :))? -
Premetto che siamo in tre a casa e abbiamo due soli asciugamani, tanti quanti sono i bracci del mobile apposito. I miei pur di non cambiare mobile non fanno distinzione tra gli asciugamani e ognuno usa quello che trova.
Sono in bagno a lavarmi le mani. Mio padre entra e si tampona il viso con l'asciugamano.
Io (contrariato): "non si fa così però... Il sudore sull'asciugamano..."
Lui (deciso): "non è sudore, è la polvere del legno che ho tagliato!"
Io (alterato): "a maggior ragione prima lavati!"
Lui (alzando la voce): "EEEH, STO A FA' TUTTO DI CORSA!"
Io (alzando la voce): "VABBEH NON URLARE... PURE IO STO DI CORSA!"
Al che paradossalmente lui si lava le mani e se le asciuga dove aveva appena messo la polvere che aveva in viso.
Ora.
La questione è banale ma significativa per due aspetti:
1) io nel tempo (pur di non litigare a vuoto) mi sono rassegnato a dovermi asciugare con asciugamani non puliti, abbassando la mia autostima... Oppure ad occuparmi io del cambio ogni volta, sviluppando col tempo una pretesa di perfezionismo (non sapendo delegare e volendo controllare tutto) che mi ha affossato ancor di più;
2) dopo la discussione non ho fatto altro che rimuginare su quante cose avrei dovuto dire a mio padre per non abbozzare, ossessionandomi sul come avrei dovuto essere e su come non sono.
Il nodo fondamentale è che non appena mio padre ha capricciosamente alzato la voce, io non ho fatto che seguirlo nel suo territorio, quello della rissa, dove lui aveva gioco più facile poiché essendo insicuro io ho iniziato a giustificarmi pur non essendone in dovere ("sono di corsa anche io!"). Se solo avessi mantenuto la calma e avessi risposto educatamente che non volevo asciugarmi su un asciugamano sporco, forse lo avrei smontato e mi sarei placato anche io.
Quel che voglio dire è che io so dire dove sbaglio ma non so fare in modo diverso, anche perché ogni caso fa storia a sé ed è la mentalità da cambiare, non tanto l'azione.
Mi chiedo come l'analisi transazionale possa cambiare una mentalità al di là della comprensione degli errori. -
Sai che c'è doctor Faust... quel che credo freni molti neofiti dall'impegnarsi in una psicoterapia di qualsiasi tipo, in special modo quelle di tipo analitico, è proprio la consapevolezza di dover affrontare ad occhi aperti i propri demoni più intimi, senza alcuna garanzia di ricevere le armi con cui affrontarli.
E' come se si armasse un soldato del solo scudo ma di nessuna spada, quello saprà incassare i colpi, ma alla lunga si sfinirà sapendo di non poter offendere.
Certo chi non risica non rosica, e si potrebbe intendere questo impegno come un atto di responsabilizzazione personale e di propria "messa in gioco". Mi si dice dove sbaglio, ma la soluzione la trovo da solo.
Però ecco non è facile reggere questa pressione, anche perché molti la propria spada non la troveranno mai e si sentiranno solo maggiormente frustrati dalla quotidiana presa di coscienza dei propri limiti. A quel punto si preferirebbe non sapere e vivere la vita come viene.
Io ad esempio so che potrei scadere nel becero vittimismo e anziché trovare pragmaticamente una soluzione di apertura, pur di non sbagliare mi chiudo e sbaglio ancora di più, poiché non ho amici né ragazze.
Ad oggi non ho nessuna bicicletta, solo la paura di pedalare. Mi chiedo come si faccia a salire su sta caspita di due ruote! -
doctor Faust, la tua analisi è impeccabile e ti faccio i miei complimenti. Riesci ad estrapolare i punti chiave di dinamiche tutt'altro che immediate e semplici da capire anche per chi le vive, figuriamoci per chi si rapporta solo virtualmente.
Io mi chiedo se l'analisi transazionale, oltre a far capire razionalmente le leve che muovono le comunic-azioni tra individui, riesca o meno a smuovere anche le fondamenta emozionali sulle quali queste leve poggiano.
Io avevo intuito questo rischio di scadere nel vittimismo e da lì tramutarmi in persecutore di innocenti, ma la reazione nel mio caso (estendibile, io credo, a molti moltissimi sociofobici... per questo continuo a rispondere su questo topic) è stata di chiusura totale verso il mondo esterno, a partire dagli amici (per il terrore di ammorbarli e sfinirli) fino ad arrivare alle ragazze (per la motivazione data con chiarezza estrema dal buon doctor Faust).
Insomma l'analisi transazionale, oltre al mettere in guardia dall'inccamminarsi per la strada sbagliata, riesce anche a fornire i mezzi per prenderne una migliore? -
Segue da altro topic:
Citazione"Non ce la faccio. Mi sento vuoto, confuso, disperato.
Non ho alcuna voglia di vivere, ancor meno di studiare. Non credo sia pigrizia la mia, poiché anche se esco con gli amici mi tengo in disparte e non spiccico parola... vivo perennemente tra alti e bassi, rovistando nel mio intimo per trovare stimoli nuovi, salvo poi ricadere nel baratro per un niente.
Sono stato cresciuto in un clima di disvalore, in cui nulla era importante (nemmeno mettere la tovaglia a tavola) se non tirare avanti istericamente. Il rispetto nei miei confronti non so cosa sia e non so nemmeno come pretenderlo. Mi basta vedere un bambino ridere per sentirmi male al solo pensiero di quante volte mi sono sentito in colpa io a ridere in pubblico.
La mia credo sia ormai un'autocensura, ho assorbito come una spugna la menzogna quotidiana e ormai questo teatrino mi da la nausea.
Se dovessi tradurre i miei pensieri, forse non sbaglierei a dire che per me studiare (così come qualsasi cosa) altro non è che una distrazione dal centro della mia vita, ovvero l'dio verso i miei. Se mi metto a studiare non lo faccio con l'atteggiamento di chi progetta il proprio futuro, ma di chi cerca di allonanarsi dalla depressione. Purtroppo però è un circolo vizioso poiché prima o poi finirò di nuovo depresso. E' una fatica inutile. Quindi preferisco non allonanarmi dai problemi perché penso che facendolo non saprei come affrontarli. Non faccio che pensare alle risposte che avrei dovuto dare ai miei e a quanti diritti avrei dovuto far rispettare, così che ormai tutto il resto della mia vita è per me una forzatura... un "illudiamoci che stavolta vada bene". Sono stufo.
Ecco perchè non mi interessa studiare né finire l'università.
Io voglio solo allontanarmi dai miei. Dentro ho una rabbia infinita e l'univesità è solo una delle tante centinaia di toppe che tento di metterci... così come hanno sempre fatto i miei per non far saltare in aria matrimonio, casa, soldi ecc.
Io non voglio case pericolanti, se le fondamenta non sono solide io PRETENDO di buttar giù tutto e ricostruire da zero. Il problema è che nell'edificio già abitano altre persone, nient'affatto disposte a sloggiare, quindi non faccio che vivere col terrore che crolli. Posso anche girarmi dall'altra parte e credere che non sia un problema mio, ma come sento (o mi sembra di sentire) scricchiolii, tutti i miei fantasmi ritornano fuori raddoppiati. Non è vita questa." -
Hai ragione doctor Faust, nella foga di rispondere non mi ero accorto di essere finito OT. Chiedo venia.