Posts by Kowalski_93

    Dacché ero proprio bambina non mi sono mai mancati gli insulti relativi al mio aspetto...

    Essendo sempre stata se non altro leggermente in carne, chi voleva colpirmi minando la mia autostima (si parla di bulli scolastici ma anche persone della mia stessa "famiglia") andava sempre a disprezzare le mie forme...

    Perciò precocemente ho sviluppato dapprima un complesso morboso per la ciccia, che mi portava già da piccolissima a dire che "volevo dimagrire / mettermi a dieta", in seguito (dai 16 in poi) a sviluppare DCA veri e propri (inizialmente bulimia, poi qualcosa che sembrava una sorta di anoressia bulimica).

    Tutto ciò perché io mi mantenessi normopeso... a 18 anni pesavo "solo" 55 kg ma ero flaccida per via del fatto che non facevo sport, perciò non apparendo tonica capitava ancora che qualche detrattore puntasse sulla mia "grassezza" (che era in quel caso solo assenza di tonicità) per farmi stare male...

    Cosa che mi convinceva ad inasprire i tentativi di digiuno, che poi sfociavano nelle abbuffate e di conseguenza nelle puntate al bagno. Ma in linea generale perdevo poco peso, mi limitavo grossomodo a mantenerlo.


    Questo andazzo finché, diventata più adulta, non sono "scoppiata", cominciando a sviluppare (per esasperazione) un menefreghismo completo alla faccenda del peso e della forma fisica, menefreghismo che forse contribuì anche a togliere di mezzo ogni disperazione quando cominciai ad abbuffarmi davvero, ingrassando 40 kg nel giro di qualche mese... sono arrivata dunque ad essere obesa (da magra che ero) e la situazione è ulteriormente peggiorata di netto quando in un periodo di depressione ho avuto l'idea di arrivare al suicidio per mezzo del cibo.


    In queste condizioni ovviamente ho anche dei problemi di salute (il grasso non è più solo una faccenda estetica o non primariamente quello).

    Durante il mio periodo da obesa, che è cominciato anni fa, non mi sono mancati insulti al mio corpo e alla mia estetica da parte di certi molestatori / "bulli" che ho incontrato fuori dalle mura di casa, ma sono cominciati anche dentro le stesse.

    Io sono chiaramente malata fisicamente, ma questo non li preoccupa e continuano (nei momenti di lite, ad esempio) ad appellarsi sempre alla mia condizione fisica con epiteti pieni di disprezzo per svalutarmi e ferirmi.


    In circostanze di vita meno difficili sono sicura che non avrei nessun problema ad oggi a perdere tutto il peso che mi serve, perché mi ritengo abbastanza caparbia e forte d'animo.

    Tuttavia mi capita di fatto di continuare ad abbuffarmi anche ora che i medici mi hanno chiaramente detto che la situazione è grave e che rischio di morire.


    Spesso penso che, dopo anni di tentativi fallimentari di seguire una dieta equilibrata, l'unico modo che avrei per perdere peso prendendomi una specie di rivincita parziale verso certi sarebbe quello di sviluppare anoressia.

    Lo so che è infantile e che non si risolvono le cose in questo modo... ma davvero, penso che se fossi sottopeso mi lascerebbero un po' in pace.

    Forse se arrivassi in fin di vita per il sottopeso sarebbero anche giustamente sensibili.

    L'amarezza dovuta anche alla mia incapacità di digiunare, comunque, si riflette sempre in un inasprirsi delle condotte d'abbuffata stessa...

    Io continuo ad ingrassare.


    La psicoterapia che sto facendo prende in cura anche i problemi alimentari, ma non riesco a migliorare, perché il problema ha cause troppo radicate e profonde.

    Mi sono rivolta a certi centri di cura per i dca, ma loro trattano praticamente solo anoressiche, al limite qualche bulimica... (ma và?), tutte chiaramente normopeso o sottopeso, dunque non con i miei problemi.


    Mi pare di non poterne uscire.

    Tutto si risolverebbe se riuscissi a smettere di mangiare (abbuffarmi), ma le frustrazioni e le pressioni sono troppo forti, tutta la mia volontà scompare davanti a certi pensieri "disperati".

    Sento che non riuscirò mai a concludere nulla, mi svilisco e finisco per tornare a farmi del male...

    Per voi una persona che soffre di problemi seri nella vita di tutti i giorni (di diversa natura) è più portata a trascurare quelli ininfluenti o minori oppure a prestar loro più attenzione del dovuto? A me capita di star seriamente male per cose che agli occhi di chiunque altro sarebbero delle cavolate, e di sicuro problemi più grossi ed oggettivamente gravi non mi mancano. La mia è semplice immaturità o (pensavo) è un modo subdolo per sviare l'attenzione dai suddetti problemi reali focalizzandomi su altri ininfluenti che occupino tutte le mie risorse mentali?

    Questa realtà virtuale mi è stata utile come surrogato in periodi tristi e solitari del mio passato, ma a causa d'essa penso di aver perso di vista la mia vita. Gli interventi e le condivisioni nella rete mi fanno sentire ormai a disagio e fuori posto, come se non c'entrassi nulla con il contesto. Vorrei riprendere in mano la mia vera vita, eliminando del tutto questa falsa realtà (che continua a distrarmi dalle cose che contano), ma ho paura di affrontare me stessa e la mia angoscia...

    È così strano non volere amore passionale nella propria vita? Avendo trovato un ragazzo tempo fa, a poco a poco ho cominciato ad aggredirlo, a respingerlo e a fare di tutto per farlo andare via, finché effettivamente non ha perso ogni interesse e affetto per me. Credo di odiare l'amore perché penso di non meritarmelo (non l'ho mai ricevuto neanche dalla mia famiglia) e perché ne sono terrorizzata. Sarebbe un problema?

    Che avessi una madre profondamente tossica non è la prima volta che lo penso, però ieri sera l'ho realizzato con tutta la forza possibile - all'ennesimo suo atteggiamento sprezzante sul mio (grave) stato di obesità, e pregno di odio e di disgusto per me in generale come essere umano. Qualche giorno fa, mentre ero a casa sua, casualmente mi ha squadrata dalla testa ai piedi e ha borbottato "Ho torto poi a chiamarla 'cosa'?". Un paio di volte mi ha definita una "cosa" mentre litigavamo. Mi ha sempre insultata con questi termini terribili, senza motivo o alla minima scusa: un altro esempio è "bastarda", abbastanza di frequente, mentre quando ero bambina mi definiva, al cominciare di una delle mie crisi (soffro di un disturbo di personalità, ma lei non crede nemmeno che io sia malata, ma che lo faccia apposta), una "bestia". Ha manipolato mia sorella anche da adulta, riempiendole la testa di chiacchiere finché non l'ha convinta ad odiarmi, e così ha fatto con le sue amiche, che mi trattano male tranquillamente e senza il minimo pensiero di rimorso, e con tutti quelli che hanno potuto, anche alla lontana, attingere da lei quell'immagine di me che hanno fissa come persona "cattiva". (Sono solo malata e avrei solo avuto bisogno di non essere violentata in tutti i modi possibili e immaginabili durante la mia infanzia, ma di crescere in un clima sano ed amorevole.)

    Ieri sera dopo l'ennesimo suo insulto immotivato ho sentito che finalmente, dopo ventotto anni, ne avevo abbastanza. L'ho cacciata da casa mia. Era sera tardi. Le ho proprio comunicato che non volevo più vederla. Con il resto della famiglia ho già tagliato da tempo tutti i ponti (per le stesse ragioni, sono tossici anche loro).

    Con mia madre ho sempre avuto un rapporto simbiotico intensissimo: per quasi tutta la mia vita lei è stata l'unica persona al mondo che mi stesse vicino o che "mi volesse bene". Mi metteva in testa che non sarei mai riuscita a fare nulla senza di lei e che al mondo nessuno avrebbe mai potuto amarmi a parte lei. È facile capire, perciò, che quest'ultima separazione perentoria sia per me un lutto. Vorrei chiamarla dopo ma vorrei anche non farlo, non cedere. Penso che non servirebbe a nulla. Non prova nessun sentimento materno per me, non l'ha mai provato e non lo proverà mai. Sono stanca di subire le sue (e le loro, del resto della famiglia) violenze, del resto. Forse è meglio che io sia sola?

    Che se c'è qualcuno che ti amerà al mondo, quella sarà sempre (e solo) "la tua famiglia" (tua madre, tuo padre, i tuoi fratelli e sorelle in primis). Ma non è sempre così; anzi, spessissimo, non è così. Ci sono veramente tanti casi documentati di famiglie "degeneri" che odiano con tutto il cuore, e di conseguenza maltrattano ad oltranza, un singolo componente del nucleo famigliare, che potrebbe rimanere una vita intera all'ombra del sentimento d'amore, oppure incontrare fortuitamente un'altra persona che gli voglia sinceramente bene - che sia "estranea", al di fuori del nucleo famigliare di appartenenza (regolato dal legame di sangue). Perché dunque questo preconcetto, della "superiorità" assoluta del legame di sangue rispetto all'affinità elettiva, è così duro a morire?

    Ho cominciato a fumare a 18/19 anni. Al momento ne ho 28, quindi sono circa 10 anni che fumo. Il fumo mi ha causato diversi problemi, come una bronchite cronica che non mi lascia da anni (non sto esagerando: sono anni che tossisco, senza sosta, inverno ed estate, e man mano che prosegue il tempo, ovviamente, va sempre peggio), e la scarsa ossigenazione dei polmoni e dei tessuti, che fa sì che abbia poca resistenza nell'attività aerobica come la camminata. Dieci anni fa, quando ho iniziato, non ho iniziato con qualcosa di leggero ma con sigarette pesantissime - ricordo all'epoca c'erano le Marlboro Rosse, che erano le più forti di tutte, ed io fumavo quelle. Con il passare degli anni ho cercato di virare su sigarette meno tossiche, dopo poco tempo sono passata al trinciato, al momento fumo il trinciato Chesterfield blu che non so nemmeno esattamente quanta nicotina abbia (dato che negli ultimi anni le multinazionali hanno opportunamente occultato ogni informazione in merito dai pacchetti di sigarette e di tabacco). Sono anni che vorrei smettere e non ci riesco.


    Nell'ultimo mese ho cominciato una relazione con un ragazzo che diceva di volermi aiutare a risolvere il problema; qualche giorno fa è venuto a trovarmi (abitiamo lontani) e come promesso mi ha tolto dalle mani il tabacco, per tutto il tempo che sarebbe stato qui mi avrebbe impedito di fumare.


    Per i primi giorni è andata "bene", salvo qualche sigaretta (circa 6 in tutto in 3 giorni), ieri invece ho dato il peggio di me fumandone altre 6 di fila, non riuscivo proprio a fermarmi. Per la delusione che ho provato per me stessa ho preso il trinciato e l'ho buttato nel bidone dell'immondizia, convinta che non avrei mai più provato a fumare, ma sono riuscita a fare di peggio. Stanotte pioveva e sono scesa comunque al tabacchino sotto casa. Ho preso il trinciato al distributore automatico e sono tornata a casa. Ho fumato la mia sigaretta, mentre lui era già tornato a dormire (sapeva che ci stavo andando e mi è sembrato piuttosto freddo). Questa situazione, che non riesco a cambiare, mi fa stare parecchio male. Penso che adesso ci sia in gioco non solo la mia salute ma anche la sua stima e, se non smetto di fumare, temo che possa stancarsi al punto da andarsene.


    Cosa posso fare?

    Hai già ottenuto tanto, riuscendo a staccarti da una condizione tossica e nonostante l'instabile equilibrio psicologico, quindi non dovresti essere così dura con te stessa. E' passato qualche giorno da quando hai scritto il messaggio, ora come va? La situazione si sta assestando oppure quelle spinte interiori sono sempre presenti nella stessa misura?

    Ho continuato a bere fino a tre giorni fa, e il motivo principale per cui ho smesso è stata una reazione strana che il mio corpo ha avuto a seguito dell'ingestione di tutto quell'alcool... (stamattina devo appunto fare gli esami del sangue per controllare che sia tutto a posto). Dopo poco ho aumentato in parallelo le porzioni di cibo, e la compagnia di un "amico" qui mi ha aiutata a sconfiggere, almeno temporaneamente, la fobia d'uscire di casa (ma sono sola da tre giorni e sta tornando)...

    Quella strana reazione fisica mi ha fatto capire di dover smettere di bere, o comunque di non poter fare dell'alcool un'esclusiva... Anche se la tentazione di ricaderci resta.

    Mi sono trasferita ieri pomeriggio in una nuova città, da sola, e quel rapporto patologico che avevo con il cibo (almeno valutando ieri e stamattina, che è ben poco, lo so, ma secondo me è già indicativo) sembra essersi "normalizzato" seduta stante. Non sento più il bisogno ossessivo di mangiare. A casa di mia madre ero una mangiatrice emotiva, arrivavo a consumare enormi quantità di cibo fino a provocarmi la nausea. Ieri sera, nella nuova casa, il cibo non mi suscitava nessuna attrattiva. Ho mangiato qualcosa di leggero e sono andata a dormire. Stamattina sono uscita per fare la spesa e ho preso poche cose, tutte salutari, perché il cibo grasso o ipercalorico non mi attirava per nulla.


    Ieri sera avevo preso un paio di birre grandi (non ho bevuto nulla), stamattina al supermercato ne ho comprate altre due e ne sto bevendo una (dopo il caffè zuccherato). Ne ho altre 3 in frigo, e mi vengono pensieri abbastanza stupidi.


    Stare in questa nuova casa da sola per certi versi è un sollievo, per altri mi fa sentire terribilmente sola e depressa. Andando a fare la spesa stamattina mi sono sentita squadrata con biasimo, sarà che sono fisicamente veramente grossa. Come tutte le volte che mi sento giudicata / offesa ho finto di non farci caso. Ma la prima cosa che ho pensato, tornando a casa, posando le chiavi e la borsa, dopo aver disfatto la spesa, guarda caso è stato l'alcool. Il pensiero del cibo - che pure avrei - non mi ha nemmeno sfiorata.


    Bere la mattina, penso, è già un primo segnale d'allarme per l'alcoolismo. Ma non penso sia precisamente quello il problema. Essenzialmente mi sento depressa e penso che in potenziale potrei essere capace di ripiegare su una forma di drunkoressia.


    Probabilmente ci sarebbe da pensare che sto correndo troppo con la fantasia... ma mi sento così giù di tono che penso sul serio, al momento, che non mi possa aiutare nulla a parte l'alcool. Che il cibo non mi serva più. E in parallelo, non voglio uscire di casa. Non voglio vedere quelle persone stupide e ridanciane di fuori. Non voglio stare male come stamattina andando a fare la spesa - e le motivazioni sono futili, al massimo qualche sguardo ironico, ma tanto è bastato. Sto di nuovo sviluppando pensieri pseudo-persecutori. Sono troppo fragile per vivere. Il fatto che continui a somatizzare il mio disagio attraverso il cibo (carenza in questi due giorni come due giorni fa era un eccesso) e l'alcool mi fa pensare che non sarò mai in grado di vivere da sola, di badare a me stessa. E questo ovviamente anziché darmi una spinta in senso costruttivo mi fa sprofondare sempre più in basso...

    Alcuni di voi mi avevano suggerito prima di andare a stare per conto mio lontano dalla mia famiglia (trovandomi un lavoro). Una parte di questo "progetto" sta per essere realizzata, quella del trasloco in un'altra città, dove vivrei completamente da sola, senza amici o conoscenti e senza nulla da fare a parte tentare di continuare gli studi (e con la depressione che mi attanaglia mi risulterà difficile) ed essenzialmente autogestirmi, tenere in ordine la casa e provvedere da sola al mio sostentamento con i soldi che mi passerebbe mia madre (circa 240-250 euro al mese per il cibo). Sto attraversando un momento di crisi acuta al solo pensiero perché temo che mi deprimerò stando lì tutta sola e che non ce la farò. Ho preparato quasi tutto il necessario ma mi sento in ansia e temo di non riuscire a compiere questo passo. È un brutto periodo anche perché mi sento debole fisicamente, temo di avere una malattia e questo mi rende sempre più nervosa, triste, sull'orlo della disperazione. Mia madre mi dice che nessuno mi costringe ad andarmene ma io so di doverlo fare e non ci riesco. Sto cercando di rinviare a domani pomeriggio per avere più tempo per prepararmi, ma anche questa opzione non allontana l'angoscia...