Negli ultimi tempi, anche se non vorrei parlare troppo presto, mi sento in linea generale più serena, grazie a piccolissime e graduali conquiste che sto mettendo in porto nella mia vita privata, la più emblematica delle quali penso sia rappresentata dall'inizio di un processo di separazione, spero definitiva, da quella figura materna con la quale avevo un rapporto simbiotico, e che grazie alla psicoterapia ho imparato a considerare sotto altri (non molto piacevoli) punti di vista agendo poi di conseguenza, in quello che sembra (voglio sperare che lo sia) l'inizio di una felice conclusione in cui, gradualmente, sto facendo del mio meglio per lasciare andare l'odio e la rabbia e per amalgamare a questi sentimenti distruttivi la mia parte comprensiva o che quantomeno non prova rancore, in una sintesi più o meno "sana".
La vicinanza della persona che sto frequentando, dei cui sentimenti ho cercato nel tempo di convincermi di più, potendo verificare che la mia fiducia per lui si sia davvero almeno un po' rafforzata nel corso dei mesi (nonostante le ricadute), mi ha dato una grossa mano d'aiuto. Sto quindi cominciando a prendermi cura di più di alcune cose, compreso il mio corpo, che sta cominciando poco a poco a dimagrire senza in genere troppo sforzo da parte mia (cosa impensabile prima, quando vedevo un sano dimagrimento come mera utopia e il tentativo di realizzarlo come sempre ed inevitabilmente destinato a fallire, in seguito a grandi sforzi, stress e sofferenze inutili).
Chiaramente ho ancora le mie parentesi di sofferenza emotiva, ma se prima c'era solo buio mi sembra che adesso, comunque, si intravveda anche un po' di luce, e ne sono felice e grata.
Questa mia maggiore serenità d'animo ha portato con sé una riscoperta di tante cose belle di cui prima non immaginavo nemmeno di poter godere, come (per dirne alcune molto semplici e un po' patetiche) poter ammirare un cielo stellato, accorgermi della bellezza della natura o di quante attività interessanti e piacevoli si potessero fare. Qualche mese fa ero psicologicamente morta, pensavo cioè di non voler più vivere e che non ci fosse niente da vivere in fondo (l'unica cosa che mi frenava dal morire era la paura del gesto e dell'oblio). Qualche volta questi pensieri neri mi punzecchiano ancora, ma a livello generale sono sicura di essermene allontanata un po'.
Sono sicura anche di voler vivere, più che morire.
E questa mia neonata voglia di vivere continua ad essere minacciata dall'idea, anche quella di matrice depressiva penso, e durissima da scacciare, che da vivere mi resti comunque poco. Non sono ancora neanche 30enne, ed alcuni penserebbero, alla mia età, di aver ancora un bel po' di tempo davanti a sé. Però io sono condizionata dai lutti a cui ho assistito nella mia famiglia d'origine e non mi schiodo dal pensiero che a breve toccherà anche a me, per motivi essenzialmente salutistici (una malattia improvvisa, o l'aggravarsi del mio attuale stato di salute, che è ancora precario). Questo pensiero mi fa vivere in un perenne limbo d'angoscia e a volte mi deprime esplicitamente. Spesso penso all'orrore che sarebbe morire e di conseguenza all'orrore che è vivere (solo per dover un giorno morire, appunto). Lo stato di angoscia perenne e sottintesa a cui alludevo si esplicita nel pensiero, anch'esso inconscio ed ineluttabile, che "tanto finirà presto": con ciò intendendo il mio dolore, che non è ancora del tutto passato, ma anche quegli assaggini di serenità che mi sto godendo negli ultimi tempi.
So che questo sentimento è patologico, e pur essendo rimasta sorpresa dai miei primi effettivi segnali di ripresa da quel malessere che credevo non solo incurabile ma anche inscalfibile, non sono sicura che, se pure fossi riuscita davvero a migliorarmi sotto quel punto di vista, riuscirò mai a migliorarmi ed emanciparmi da questa sensazione, sentimento o presagio funesto che ho fin dentro le ossa, che mi rimane poco da campare, senza se e senza ma (anche adesso che sto cominciando in fondo a prendermi cura della mia salute)...