Posts by dariamorgendorffer

    Grazie mille, fran235 ! Ne terrò conto quando e se sarà il momento.

    Io con la mia domanda intendevo: se a breve mi offrono un lavoro, e io so già di essere incinta o che potrei esserlo a breve, lo accetto lo stesso?

    Solitamente i periodi di prova durano circa 6 mesi, quindi se accettassi che sono già incinta, arriverei in stato di gravidanza semi-avanzato prima della fine della prova.

    A quel punto dovrei comunicarlo e l'azienda troverebbe una scusa per non farmi superare il periodo di prova e non procedere con l'assunzione.

    Quindi mi sto chiedendo se valga la pena accettare un'eventuale proposta di lavoro nel caso in cui decidessi di iniziare a provare ad avere un figlio a prescindere.

    Avrei voluto avere un grilli parlante che a 20 anni mi spiegasse queste dinamiche. Forse avrei buttato via meno tempo. E non ho mai oziato: università fatta nei tempi, ho sempre lavorato e cambiato lavoro quando vedevo un'opportunità di crescita o maggiore stipendio, fatto anche altre attività ricreative.

    Anche io mi sono trovata spesso a desiderare un "grillo parlante" e lo pensavo anche 10 anni fa quando mettevo in dubbio il mio percorso universitario, scontrandomi con le prime difficoltà lavorative (forse il primissimo post che ho scritto in questo forum risale proprio ad allora).

    Però alla fine, all'epoca, facevo prevalere quella parte di me che diceva, come te, "non ho mai oziato" su università e lavoro, e per questo credevo ancora che prima o poi le soddisfazioni sarebbero arrivate, che avrei raccolto i frutti di questi sforzi.

    I frutti pensi di raccoglierli proprio a 40, dopo 15 anni di lavoro. E invece sei a casa a torturarti con una spada di Damocle sopra la testa sulla decisione più importante della tua vita, a farti domande che pensavi/speravi che a questa età ti saresti già lasciata alle spalle, come dice Manel:

    Il vero problema è la società attuale che, specialmente per quelli della nostra generazione ( 30-40 anni ), non offre quelle certezze che negli anni passati molti avevano alla nostra età... anzi spesso ci si ritrova a dover fare "i ventenni" ma con esigenze e progetti molto diversi...

    E' vero che adesso non c'è ancora niente di deciso, e forse è anche questo il "bello", o per lo meno un modo per vedere il bicchiere mezzo pieno, per dirla con ipposam:

    a volte la vita ci sorprende anche quando non pensiamo sia più possibile. A volte il confine non è così marcato, a volte c'è spazio per l'imprevisto.

    Però anche se si muoverà qualcosa, lo scenario non è facile...

    Se domani una delle aziende a cui hai mandato il cv ti assumesse a condizioni vantaggiose, il tuo scenario muterebbe ancora, non credi? E ti lasceresti alle spalle questo brutto periodo.

    E potresti anche restare incinta ed entreresti in un mondo nuovo, un mondo che non conosci, con nuove sfide da affrontare, nuovi piaceri di cui non sai nemmeno l'esistenza, nuove preoccupazioni anche. Insomma basta un nulla, in questo momento, per cambiartela la vita, in tanti modi.

    Sicuramente ripristinerei una tranquillità economica e con essa guarderei al futuro con meno ansia, ma se rimane in auge l'idea della gravidanza, dovrei subordinarla ulteriormente non solo all'assunzione, ma anche alla fine del periodo di prova (6 mesi?), per essere prima certa di non rimanere di nuovo a piedi, perchè se dico che sono incinta prima della fine del periodo di prova, non mi assumerà mai nessuno (altrimenti tanto valeva farlo subito senza aspettare il lavoro).

    Questo è doppiamente angosciante, perchè da un lato attendere ancora è in controtendenza con il mio dovere di fare in fretta, vista la mia età. Dall'altro, se la sorte fosse dalla mia parte e riuscissi a rimanere incinta senza difficoltà dopo questi 6 mesi di prova, questo comporterebbe annunciare la gravidanza subito dopo il mio ingresso in azienda, cosa che (benchè le mie convinzioni personali in merito a questo siano di segno opposto) mi metterebbe innegabilmente in cattiva luce. E' un incastro difficile da qualunque prospettiva lo si guardi.

    Io ho sentito persone over 40 che dicevano di sentire un'energia mai sentita prima, e che la consapevolezza li rendeva di gran lunga più sereni e appagati ora rispetto ai vent'anni. E si percepiva l'autenticità di queste affermazioni.

    Quelli che dicono così, forse, godono di una stabilità che io ho assaggiato per alcune fasi della mia vita e nella quale effettivamente ti accomodi, dimenticando molto facilmente la nostalgia dei 20 anni. Quando ti manca, te ne accorgi...

    Daria, lato economico tieni conto che hai comunque diritto alla maternità obbligatoria, anche se non lavori c’è un minimo che viene corrisposto e inoltre dal 7mo mese di gravidanza c’è anche la possibilità dell’assegno unico che per il primo anno del bimbo è maggiorato, pertanto qualche aiuto c’è.

    Grazie mille, mi informerò meglio su questo fronte!

    Hai descritto letteralmente la disillusione che prova ogni essere umano crescendo, statisticamente quante persone riescono a realizzare i progetti che avevano a 20 anni?

    Ora mi sembra che tu ti sia data delle scadenze che se non rispettate saranno la prova del tuo fallimento, ma, come in ogni percorso, gli imprevisti capitano, i progetti si adattano e alcuni sogni si infrangono.

    Sì, "disillusione" è una parola in cui mi riconosco molto.

    Per la verità io non ho mai avuto un progetto preciso a 20 anni, tipo "so già che tra 10 anni sarò un medico e sarò sposata con un uomo di nome Agenore e avrò due figli di 4 e 6 anni (un maschio e una femmina) e un Labrador e una casa con una libreria di design". Anzi. Negli anni tra i 20 e i 30 ho preso anche delle decisioni "impreviste", come andare a vivere all'estero per due volte, in due luoghi diversi, in due momenti diversi della vita. Ho sempre dato molto valore al fare esperienza, al cogliere le occasioni che arrivavano e farle mie - non senza difficoltà, ma sicuramente con meno ansia rispetto a ora, perchè fondamentalmente sentivo di potermelo permettere, forte del fatto che, come cantano i Rolling Stones in una loro bella canzone, "il tempo era dalla mia parte".

    Adesso non è più così. Il traguardo anagrafico che mi aspetta mi costringe a fare i conti con quello che è stato finora, con la consapevolezza, che oggettivamente, non c'è tempo da perdere nel pensare a un progetto di famiglia (sempre che io non ne abbia già perso fin troppo), e non c'è più tempo per cambiare carriera e probabilmente dovrò adattarmi a qualcosa di meno rispetto a quanto fatto finora. In pratica è iniziata la mia parabola discendente. Il mio "picco" è stato talmente poco eclatante che non mi sono neanche accorta che lo stavo vivendo.

    Personalmente preferisco il pensiero inverso ovvero sentirsi pronti a dare tanto a qualcuno che non ha chiesto di venire al mondo.


    Il figlio che deve dare senso alla vita altrui mi mette tristezza poiché nasce già con un peso non indifferente.

    Forse mi sono espressa male.

    Con "dare un senso alla vita" intendo fondamentalmente riuscire a proiettarsi nel futuro, e anche rivedere la propria scala di priorità. Questo comporta sicuramente quel "dare" che giustamente dici tu.

    Ciao! Grazie per le risposte.

    Vi vedo tendenzialmente unanimi nel dire che dovrei approfittare di questo momento per dare priorità alla creazione di una famiglia.

    Lo penso anche io, ma mio marito finora non se l'è sentita, preferendo provare a vedere un attimo come vanno a finire le conversazioni che ho in essere con le aziende a cui ho fatto domanda (la mia situazione lavorativa è questa da qualche mese e c'è stata l'estate di mezzo, momento non esattamente propizio per la ricerca di lavoro).

    Ci eravamo dati fine settembre come scadenza (della serie: se non si muove nulla, lo facciamo comunque), ma i tempi di risposta delle suddette aziende si stanno dilatando e il mio disagio deriva dal sentirmi completamente in balia di questa situazione non si sa fino a quando.

    Capisco il suo punto di vista. La mia paura è principalmente di tipo economico. Abbiamo una casa di proprietà, con un mutuo non impossibile, con una stanza in più che al momento è uno studio. E questo è già molto. Mio marito lavora a tempo pieno e guadagna più o meno quanto guadagnavo io prima (per intenderci, non è lo stipendio di un dirigente che basta a oltranza per tutti e due o peggio tutti e tre). Dovremo prendere una macchina perchè al momento ne siamo sprovvisti e con un bambino piccolo serve. Viviamo in una grande città molto cara. Diciamo che possiamo sopravvivere, rivedendo il nostro stile di vita. Mancherebbe senza dubbio la tranquillità con cui abbiamo vissuto finora, portando due stipendi a casa invece che uno, ed essendo in due invece che in tre.

    Un altro timore che ho è che più tempo resto lontana dal mondo del lavoro, più difficile sarà reinserirsi. Se aspettiamo i tempi della gravidanza (ammesso e non concesso che arrivi subito) più i primi mesi di vita del bambino, più quelli che ho già passato a casa... arriviamo a due anni. Se già sto facendo fatica ora...

    Quello che posso dirti è che non devi arrenderti o abbatterti e, soprattutto, non devi prendertela con te stessa perché non hai colpa...

    Sulla questione del figlio dovreste pensarci molto bene e decidere nonostante l'insicurezza... se comunque economicamente ce la fate non dovreste rinunciare a questo desiderio...

    Grazie dell'incoraggiamento <3 In effetti non me la prendo con me stessa, ma sono "arrabbiata" perchè la situazione che sto vivendo, come dici tu, sta diventando la normalità.

    P.S. Pistolotto vetero comunista alle Fran... ma sta società turbo capitalista che vuole dalle persone? Prima devi studiare, poi specializzarti, nel frattempo consumare e poi magari ritrovarti licenziato e... ma poi, oddio! Non si fanno più figli.

    Nessun pistolotto... sfondi una porta aperta con me su questi temi.

    Una domanda: hai le condizioni per poter usufruire del sussidio di disoccupazione, mentre cerchi lavoro?

    Sì, per fortuna. Purtroppo l'importo che percepisco è pari esattamente alla metà di quello che percepivo quando lavoravo ed è destinato a scendere. Sono d'accordo con te quando dici che non è mai il momento adatto, è verissimo, ed è forse il motivo per cui abbiamo rimandato fino adesso... ma quando si tratta di soldi la paura è tanta.

    Domanda schietta: se non hai fiducia nel futuro per tutti questi giustissimi e purtroppo reali motivi, perché vuoi avere un figlio? Perché vuoi farlo vivere in quel futuro?

    Domanda giustissima. Credo che la risposta (anche se incoerente con il pensiero di base, mi rendo conto) sia "perchè al momento mi sembra l'unica cosa che può dare un senso alla mia vita".

    Per dirla con ipposam:

    tutto è destinato a peggiorare: dall'aspetto, alla salute mia e dei miei cari, per non parlare di lutti ed eventi negativi che possono capitare. Finora non trovo nessuno che possa convincermi del contrario, tuttavia devo dire che i bambini sono un rimedio portentoso, perchè lo ammetto, quando penso a loro spariscono tutti questi pensieri, e mi resta dentro solo una sensazione di "magia".

    Questo è quello che spero accada. Mi sembra un investimento sul futuro nonostante tutto, come ha scritto anche Jenny Erika:

    dire un grande sì alla vita

    Riguardo al pensiero di Giak:

    di base nel mettere al mondo dei figli occorre soprattutto una propensione al futuro.


    Mi spiego: io sono disgustato dalla quotidianità, sono profondamente demotivato e vado avanti per inerzia e considera che dopo una enorme gavetta oggi sono un indeterminato, nonostante questo vedo la società completamente dilianiata, piena di disequilibri e via dicendo.

    Ecco io vedermi come un genitore con questa mentalità tossica farei solo del male a chi metterei al mondo, lo sa anche la mia

    Mi vengono in mente le parole di una mia amica che ha avuto la seconda figlia nel momento peggiore del covid (tipo secondo lockdown, quando non si vedeva la fine): mi aveva detto che per lei pensare alla famiglia era un modo per darsi delle priorità di pensiero e concentrarsi su quelle, invece che farsi carico emotivamente di tutti i mali del mondo. Un po' il processo inverso rispetto a quello (condivisibilissimo) che esprimi tu.


    Ma forse sono naif io, ci sta quando cerchi un "rifugio".

    Ciao a tutti,

    Sono prossima ai 40 anni e la prospettiva mi angoscia in modo probabilmente sproporzionato, ma molto reale.

    Con grande ritardo sulla "tabella di marcia", mi rendo conto, io e mio marito avevamo iniziato mesi fa a parlare seriamente e concretamente dell'ipotesi di avere un figlio, dopo anni in cui non ci sentivamo pronti/non avevamo quelle che per noi erano le giuste condizioni di partenza. Purtroppo, però, subito dopo l'azienda in cui ero impiegata in una buona posizione è fallita e mi sono ritrovata improvvisamente senza lavoro. Al momento sto cercandone un altro, nel tentativo di dare continuità al mio curriculum da un punto di vista di ruolo e di retribuzione, devo ammettere non senza difficoltà. Ho fatto diversi colloqui, ma ovviamente non posso sapere se e quando mi chiameranno, per propormi cosa, per pagarmi quanto, e così via. La questione figlio è stata messa in stand-by e subordinata all'idea di trovare prima un lavoro sicuro, perché al momento l'ipotesi di farlo comunque ci sembra un salto nel buio. Ma allo stesso tempo so che non posso permettermi di aspettare chissà quanto, ammesso e non concesso di essere ancora in tempo.

    Mi sento priva di qualsiasi strumento per progettare o anche solo immaginare il futuro, perché non ho il benché minimo controllo sulla mia vita: come scritto sopra, non controllo io le mie prospettive lavorative, e per questo non mi sento libera di decidere di diventare madre - sempre se posso ancora, e anche se questo accadrà non posso sapere né controllare quanto tempo ci metteremo, se andrà tutto bene. E in ogni caso l'incastro sarà molto difficile (andare in maternità subito dopo aver iniziato un nuovo lavoro non è visto di buon occhio).

    Diciamo che non è così che mi aspettavo di arrivare a questo traguardo della vita che sono i 40 anni. Sentendomi così persa, irrisolta, inadeguata, bloccata, patetica, "caso disperato", senza progettualità, senza polso della mia vita. Ho perso qualsiasi fiducia nel lavoro e io sono una che (probabilmente a torto, a questo punto) ve ne ha sempre riposta parecchia, nella convinzione che (come ci è stato insegnato dai nostri genitori boomer, che senza saperlo ci hanno cresciuti per un mondo che non c'è più) se mi fossi sforzata, avrei ottenuto risultati e persino soddisfazioni. E invece. Sulla questione figlio, sento il tempo che mi sfugge dalle mani e provo spesso una sensazione tipo "brutto presentimento", come se temessi quasi che verrò "punita" dalla vita (n.b. sono atea ma completamente irrazionale) per aver aspettato troppo.

    In generale non ho fiducia nel futuro (cambiamenti climatici, guerre, inflazione e aumento del costo della vita... per citare giusto alcune delle cose che mi angosciano) e in particolare sento che sto andando verso la metà più brutta della vita, durante la quale dovrò affrontare moltissimo dolore (lutti, invecchiamento e relativi acciacchi, probabilmente povertà, la prospettiva di lavorare con difficoltà e di non riuscire ad andare in pensione).

    Ogni tanto mi viene in mente con nostalgia quella sensazione che provavo quando studiavo e sentivo che nel futuro c'era qualcosa di bello ad aspettarmi. Adesso mi sento esattamente all'opposto. Mi sembra di avere davanti a me la prospettiva di una vita senza serenità.

    Qualcuno come me?

    Ciao. Ultimamente sono successe un po’ di cose nella mia vita, per quel che riguarda la sfera delle amicizie: di per sé forse sono piccole, ma una volta unite con un filo rosso mi stanno facendo riflettere.


    Premetto che sono sposata e prossima ai 40, così da contestualizzare meglio quello che sto per raccontare.


    Sono sempre stata una persona socievole, anche se piuttosto selettiva: rapporti cordiali con molte persone, facilità nel relazionarmi, ma amici veri scelti con grande cura. Non ho mai fatto parte, neanche in adolescenza, di una grande compagnia di amici, preferendo sempre la frequentazione individuale o in piccoli gruppi di 3-4 persone (mi è anche capitato di esserne il fulcro) con persone di “provenienze” diverse (scuola, università, lavoro…) con cui ho costruito rapporti profondi, che sono sopravvissuti anche ai periodi in cui ho vissuto all’estero tra i 20 e i 30. Ho spesso avuto il ruolo di “confidente” e varie volte sono stata l’unica o la prima a sapere di certi eventi centrali nella vita degli amici, spesso sono quella a cui chiedono consigli.

    L’amicizia ha sempre avuto un peso molto importante nella mia vita, cosa che mi differenzia molto da mio marito, che invece è una persona più solitaria e tende a prediligere la dimensione di coppia o le frequentazioni con altre coppie, piuttosto che le sue amicizie individuali.


    Ultimamente, però, sento che è cambiato qualcosa.

    Di seguito alcuni esempi:


    1) Il marito di un’amica organizzava un piccolo evento e lei ha mandato messaggi di invito immagino a un po’ a tutto il suo entourage, me compresa. Io le avevo risposto che sarei andata. Ho chiesto a mio marito di accompagnarmi, dal momento che io e questa amica non conosciamo molte persone in comune e non mi andava di trovarmi lì sola, ma ci tenevo a passare perché sapevo che a lei avrebbe fatto piacere. Siamo arrivati e lei, apparentemente felice di vederci e forse proprio con l’intenzione di sottolineare questa cosa, mi ha detto: “Avevo rimosso l’ipotesi che tu potessi venire!”

    Io sono rimasta un po’ così, perché dentro di me pensavo: di altri evidentemente si aspettava la presenza perché hanno un rapporto più assiduo, mentre per quanto riguarda me forse non ci teneva poi così tanto, il fatto che io sia andata non ha fatto la differenza.


    2) Una mia amica diversi mesi fa mi ha tirata in mezzo per prendere i biglietti per andare a un concerto che si terrà quest’estate in un’altra città. Mi aveva detto che ci sarebbe stato anche un suo amico. Io prendo il mio biglietto, glielo dico e aggiungo che ci sarebbe stata anche un’altra mia amica. Rimaniamo che ci saremmo sentite poi per trasporti e alloggio più sotto data.

    Nel frattempo succede che lei subisce un grave lutto, io le sono stata vicina per come si può in queste situazioni, e in generale le do sempre ascolto quando mi parla delle sue relazioni sentimentali disfunzionali, ci sentiamo spesso (molto più di quanto ci vediamo) in merito a questo argomento.

    Qualche giorno fa mi viene in mente di scriverle che forse bisogna iniziare a pensare alla trasferta per il concerto e lei mi dice: “Non mi ricordavo neanche più che avessi preso anche tu il biglietto, io mi ero mossa per la ricerca di una casa lì per me e il mio amico ma ora non so neanche più se posso andare perché ho un altro impegno. tu hai qualcun altro con cui vai, vero?” E poi procede ad attaccarmi la pezza sul perché è il percome fa fatica a organizzarsi per andare.

    Io da un lato voglio concederle l’attenuante di essere un po’ sottosopra per quel che le è successo, ma dall’altro non posso fare a meno di pensare che evidentemente anche in questo caso la mia partecipazione non era fondamentale: lei aveva già preso accordi con altri con cui evidentemente condivide di più, di me manco si ricordava.


    3) Una mia amica che vive all’estero ha avuto anni fa un problema di salute ed è venuta a curarsi nella mia (nostra) città. Mi aveva chiesto di aiutarla e starle vicina in quel periodo, cosa che io ho fatto al mio meglio, poi però, una volta tornata nel paese in cui vive, ha messo molta distanza tra noi. Anche lì, io avevo pensato che dovevo rispettare questa cosa perché era lei quella che stava male e forse questo atteggiamento le serviva a superare meglio la cosa, ma dentro di me mi dispiaceva e sentivo la sua mancanza. Ha iniziato a farsi viva sporadicamente, solo in occasione dei suoi rientri nella nostra città (peraltro neanche tutte le volte), ma quando viene rimane sempre ospite da un amico con il quale invece, evidentemente, c’è maggiore assiduità che con me. E infatti, con dispiacere, alla lunga avevo anche iniziato a disinvestire su questo rapporto. Adesso, purtroppo, ha di nuovo un problema di salute ed è tornata a farsi viva. Nei giorni scorsi ci siamo viste diverse volte e a me ha fatto solo piacere poter essere di supporto per quel che posso, anche se è sempre lei a dettare l’agenda del nostro rapporto. Ovvio, la salute non si può controllare, ma forse, se avessimo mantenuto un’assiduità anche in tempi “normali”, troverei il tutto meno stridente.


    4) In tutto questo, io ho da poco perso il lavoro. Tendenzialmente sto bene. Era solo una questione di tempo, me lo aspettavo e non sono disperata. Ma è pur sempre un evento traumatico e stressante. E tuttavia, a parte l’amica del primo esempio che si è attivata subito per me (tra l’altro appunto di recente, motivo del mio straniamento davanti alla sua frase), in generale mi sento lasciata un po’ sola da molti degli amici che io considero importanti. Fortunatamente ce ne sono alcuni che stanno vivendo o hanno vissuto la mia stessa situazione e sto avendo molti scambi con loro, ma per il resto mi sembrano tutti molto assorbiti dalle loro vite e la cosa che mi sono sentita dire più spesso è: “Ma sì, dai: con il tuo cv troverai in un secondo”. Liquidata così, forse anche a fronte del fatto che vedono che sto bene. Mi rendo conto che il mio problema non è grave come un lutto o una questione di salute, ma in generale mi sembra che, a fronte della mia disponibilità quando gli altri stanno male, non ci sia spazio per me quando si tratta di me.


    Cosa evidenziano queste mie considerazioni?

    Che i rapporti che ho con queste persone non sono intensi o assidui come credevo, che io non sono poi così importante nelle loro vite.

    Mi sto chiedendo cosa sia successo.

    Nella premessa specificavo la mia età e il fatto che sono sposata perché in generale vedo che, diventando grandi, tende ad assottigliarsi lo spazio che concediamo alle amicizie, per i vari impegni del quotidiano (lavoro, figli…) e a maggior ragione questo accade a chi è in coppia/ha una famiglia.

    Può essere che io abbia negli anni privilegiato di più la coppia rispetto a quanto non facessi 10 anni fa, magari senza rendermene conto perché, come scrivevo, per me l’amicizia è super importante. E proprio per questo in realtà ho sempre cercato di coltivare i rapporti e non sento di avere molto da recriminarmi, se non forse il fatto di non avere mai “reclamato” abbastanza il mio spazio in queste relazioni, avendo spesso privilegiato l’altra persona e le sue problematiche. O il fatto di trovarmi spesso a rispondere a situazioni critiche o di “bisogno” che mi vengono sottoposte, quindi forse, poi, quando si tratta di condividere invece la sfera del “piacere” gli stessi amici scelgono di rivolgersi ad altre persone che fanno parte della loro vita.

    A me spiace perché davvero mi sembra che le mie amicizie abbiano perso di intensità e non capisco come mai.


    Da fuori, come la vedete?

    Aggiungo che questo aspetto caratteriale di ritrazione, chiusura, ripiegamento sulla dimensione interiore e casalinga è oggettivamente presente in lui, ma si acuisce esponenzialmente nei periodi (come questo) in cui è già sopraffatto da altri elementi fonte di ansia, e quindi anche la più piccola cosa che esce dall'ordinario gli sembra insormontabile. Il problema è che io, invece, quando vivo periodi di stress, reagisco nel modo opposto, pianificando cose per me piacevoli da fare per spostare l'attenzione su altro e vivere quel senso di "anticipazione" di qualcosa di bello. Ecco che (torno all'esempio del weekend via) in un periodo "difficile" in cui ci sono in circolo preoccupazioni etc, per me l'idea di partire diventa una fonte di energia vitale, mentre per lui diventa un ulteriore motivo di ansia che si aggiunge a quella che già ha.

    Fortunatamente ci sono periodi in cui non si vive ogni cosa così male, altrimenti saremmo stati proprio incompatibili. Però quando siamo entrambi sottoposti a stress, sentirsi un team o quantomeno una coppia che guarda nella stessa direzione diventa difficile.