E poi, uno che fa scrivere sulla sua tomba "See you later", cioè... che capo!!!
Un grande.
Le tradizioni esoteriche offrono affascinanti prospettive sulla morte e sull'esistenza di un sé oltre l'io. La distinzione tra sé e io è un concetto complesso e affascinante che merita di essere approfondito. Tuttavia, mi chiedo se questa visione non richieda un atto di fede e se sia possibile verificarla empiricamente.
Empiricamente in molte cose si, ma comunque per essere certi se un fenomeno è reale serve una verifica scientifica.
Una verifica scientifica nella mia ignoranza, penso potrebbe partire quando una teoria ipotetica retrostante sia per lo meno estremamente chiara e molto dettagliata.
Il problema che io osservo in certe discipline è una loro facile "romanticizzazione", ovvero le persone su certi temi hanno tendenzialmente una visione di tipo emotivo e non di tipo razionale, e questo porta facilmente a voli pindarici soggettivi basati su desideri, impressioni emotive e inclinazioni di gusti personali.
Sarebbe interessante approfondire come queste teorie si relazionano con le nostre esperienze di vita e come possono offrire conforto o significato di fronte alla morte.
La distinzione tra sé e io, così come l'idea di un'evoluzione spirituale, sono concetti che hanno affascinato l'umanità da secoli.
Eggià.
Concordo sul fatto che l'io, legato all'ego e ai condizionamenti, sia destinato a svanire con la morte.
Il sé, invece, potrebbe essere inteso come una parte più profonda e duratura della nostra essenza. Tuttavia, come possiamo conciliare questa idea con la nostra esperienza soggettiva di identità e continuità?
Se in vita hai lavorato a "staccare" il sé dall'io, teoricamente avrai una sorta di percezione di continuità, come nei sogni lucidi che possono essere più o meno auto-coscienti; se invece eri pressoché completamente identificato nell'io, non avrai percezione di continuità, ovvero ti reincarnerai nella totale incoscienza.
E d'altronde il gioco della percezione di esistere sta proprio nella differenza tra uno stato di coscienza e uno di incoscienza.
Il livello di coscienza aumenta disidentificando il sé dall'io al quale era sovrapposto; il sé disidentificato forma quello che è detto da alcuni (S. Brizzi) nucleo d'oro, il quale in teoria permette appunto un senso di continuità.
Che non significa che la continuità non ci sia comunque, ma si differenzia nel fatto se tu ne hai oppure non ne hai una percezione cosciente, e quanto cosciente: ovvero gradi di coscienza, o gradi di disidentificazione, o presenza di sé.
L'idea di un'evoluzione del sé attraverso successive reincarnazioni è affascinante, ma solleva molti interrogativi. Come possiamo misurare questo progresso spirituale?
In base al potenziale potere creativo del soggetto, ma è un discorso un po' "tecnico" e preferirei sorvolare.
E quali prove empiriche potremmo trovare a sostegno di questa teoria?
L'efficacia della tecnica dell'attenzione divisa (e probabilmente di altre tecniche che conosco meno) nell'aumentare il gradino di autocoscienza e il potere che poi tale coscienza è in grado potenzialmente di esercitare sulle probabilità, ma anche qui scendiamo un po' nel "tecnico", e mi fermo qui.
Le sensazioni, essendo più legate al corpo e all'esperienza immediata, potrebbero essere più difficili da collocare nel tempo e nello spazio. Ma in che modo queste sensazioni si trasmettono da una vita all'altra?
Altro "tecnicismo", dirò genericamente che, essendo il sé "vuoto", è in grado di introiettare esistenza al suo interno, anche se non è del tutto corretto quello che ho scritto, più o meno.
Comunque la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto è: 42.