Questione di valori

  • Ciao a tutti, vorrei confrontarmi con voi su un tema che mi sta molto a cuore, che è quello dei valori che abbiamo e che inevitabilmente trasmettiamo.

    In passato sono stata molto rigida su questo, sentivo i miei valori come qualcosa di granitico, intoccabile e immutabile, e questo mi dava una grande sicurezza nel prendere decisioni. Non so se questo sia normale ma da quando sono mamma, e soprattutto con gli anni, accompagnando i miei bambini nella crescita, mi faccio sempre più domande su cosa sia giusto e cosa no, su cosa sia meglio trasmettere e cosa no, e anche su come farlo, visto che inevitabilmente i bambini assorbono i nostri comportamenti che a loro volta sono frutto di quello che siamo e quindi anche dei nostri valori. Ciò mi porta anche a volte a rimettere in discussione i miei di valori, cioè mi chiedo: sarà giusto quello che faccio? Sarà giusto quello che penso? E soprattutto sarà la cosa migliore per i miei bambini? Non sarei io stessa una persona diversa, potenzialmente migliore, se fossi anche solo leggermente diversa? Mi faccio queste domande soprattutto quando mi confronto con altri genitori, e mi rendo effettivamente conto della differenza, a volte veramente profonda, rispetto allo stile genitoriale, e spesso alla base ci sono valori veramente diversi, a volte in contrasto perfino.


    In particolare, questa discussione nasce adesso dal recente confronto con un padre di cui ho molta stima, è una persona brillante, intelligente e un padre protettivo e presente.

    Ecco lui ha le idee molto chiare su come crescere le figlie e su cosa dovranno fare da grandi, su che persone dovranno diventare, su che mestieri potranno o non potranno fare, su chi dovranno frequentare e come. Io su questo non ho le idee così chiare o meglio, non ho ancora elaborato un piano così preciso e sinceramente non ho mai pensato di farlo, forse perchè i miei genitori non l'hanno fatto con me; l'unico piano che ho è di crescere i miei figli felici, e di dargli gli strumenti per scegliere, ma ecco non penso di togliere delle gradi di libertà alle loro decisioni. Ovviamente il mio amico parla nel puro interesse delle sue figli, i suoi progetti sono grandiosi e belli, e di fronte ad essi ammetto che per un attimo i miei "non piani" mi sono sembrati una pecca, una mia debolezza, un mio mancare ai miei doveri di madre. Ho sentito una vocina dirmi "ehi, ma hai dormito finora? Sveglia, sei mamma, devi fare anche tu dei piani! Devi anche tu assicurarti il meglio per i tuoi bambini! Se non lo fai tu chi lo farà?".


    E niente, all'ultima domanda ho sempre dato per scontato, senza aver mai fatto grandi riflessioni, che il meglio l'avrebbero fatto loro, i bambini stessi, magari il loro meglio, quale che sia. Ma ora mi domando: non è assurda la mia idea? Non sarebbe più giusto che usassi la mia quarantennale esperienza, per delineare il percorso migliore per loro? Per garantirgli la vita migliore, e comunque di tenersi al riparo dagli incerti di scelte fallimentari? Arrivando al tema delle frequentazioni, il mio amico mi ha spiegato che lui classifica le persone in 3 cluster, nel primo ci sono quelle assolutamente da frequentare, che sono quelle di successo, socialmente al top ed economicamente agiate; nel secondo ci sono quelle meno brillanti ma comunque valide e "non rischiose", sono persone istruite e di buona famiglia, senza problemi; nel terzo tutti gli altri, potenzialmente "mele bacate", da cui stare in guardia per non mischiarsi e finire a condividerne i problemi. Ovviamente il mio amico intende orientare la figlia alla frequentazione di persone dei primi due cluster escludendo "il resto".


    Questo approccio non è la prima volta che lo sento e anzi anche se il mio amico me l'ha descritto in modo molto strutturato, io l'ho già sentito e visto applicare da moltissimi genitori, a volte con successo, altre meno. Sono moltissimi i genitori che conosco che nello scegliere una scuola valutano chi la frequenterà, non solo perchè il gruppo dei pari avrà poi un'influenza sul livello dell'insegnamento (cosa che mi sento di condividere, almeno in certa misura) ma anche perchè "è bene che stringano subito i rapporti giusti, che poi se li ritrovano nella vita". Ecco di fronte a questi discorsi io mi sento come qualcuno che sta entrando in una casa ma qualcosa lo respinge, sente che non deve entrare, e resta sulla soglia, fermo, in un istante interminabile, con lo stomaco in mano, a chiedersi se è giusto o meno superare la ritrosia, l'imbarazzo, ed entrare, o se è meglio chiudere la porta e andare dritti da un'altra parte. Non penso di essere una stupida, e so benissimo che le relazioni nella vita sono importanti, e che a volte avere la conoscenza giusta è dirimente tra un successo e un fallimento, e chiaramente voglio anche io che i miei figli abbiano una vita il più possibile serena e lontana da problemi e preoccupazioni di ogni sorta.


    Non posso tuttavia fare a meno di chiedermi fino a che punto io debba orientare i loro rapporti, ragionando in termini che per loro natura di bambini non possono comprendere assolutamente. A me è stato insegnato che tutti i bambini sono uguali; per capirci, io alle feste dei piccoli invito tutti, dalla figlia del pescivendolo alla figlia del dirigente, mentre ho amici che già fanno selezioni e in certe scuole e classi ci sono interi gruppi di bambini che non vengono mai invitati, o meglio, dove gli inviti circolano "tra pari livello".


    Il mio amico mi definisce una romantica ingenua, io non mi sono mai vista così, e mi dispiace essere vista così per qualcosa che ho sempre pensato fosse la normalità. O no? Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, scusate se mi sono dilungata ma il tema mi sta molto a cuore.

  • Puoi credermi che questo ragionamento lo fanno in moltissimi "figli del popolo".

    Ah ok, ti credo. Per precisare, l'espressione pittoresca "figlio del popolo" la uso per indicare me stesso come appartenente ad un ceto medio, medio/basso. E nella mia esperienza personale/familiare non ho mai avuto modo di incontrare questo tipo di approccio classista da te descritto sopra, per cui mi è venuto spontaneo associarlo a persone appartenenti a ceti più alti e con alti redditi; però il fatto che non l'abbia incontrato potrebbe essere un caso ed hai ragione tu.


    Però vorrei capire, un figlio del popolo che applica i ragionamenti di cui sopra come fa nel concreto? Ad esempio, il proprietario di una piccola pescheria di periferia e l'edicolante fanno in modo che i propri figli frequentino solo figli di professionisti, avvocati e medici? Si può fare?

  • Una volta i bimbi giocavano in strada ed uscivano in bici da soli, quindi i genitori non avevano molto controllo su chi potessero frequentare. Oggi tra cementificazione, traffico, e rimbambimento davanti agli schermi, le relazioni avvengono all'interno delle quattro mura ed e' tutto molto piu' pianificato. Cioe', quando non c'erano i telefoni cellulari gli amici arrivavano senza preavviso e suonavano il campanello. Oggi chi suonerebbe un campanello senza preavviso?

  • Ah ok, ti credo. Per precisare, l'espressione pittoresca "figlio del popolo" la uso per indicare me stesso come appartenente ad un ceto medio, medio/basso. E nella mia esperienza personale/familiare non ho mai avuto modo di incontrare questo tipo di approccio classista da te descritto sopra, per cui mi è venuto spontaneo associarlo a persone appartenenti a ceti più alti e con alti redditi; però il fatto che non l'abbia incontrato potrebbe essere un caso ed hai ragione tu.

    Sei genitore? Se non lo sei è normale che tu non l'abbia incontrato. Anche io prima di diventare mamma ed entrare nel mondo scolastico non l'ho mai incontrato, o almeno non me ne sono resa conto.

    Però vorrei capire, un figlio del popolo che applica i ragionamenti di cui sopra come fa nel concreto? Ad esempio, il proprietario di una piccola pescheria di periferia e l'edicolante fanno in modo che i propri figli frequentino solo figli di professionisti, avvocati e medici? Si può fare?

    Ti descrivo un caso concreto che ho visto ultimamente. Compagnetto del nido di mio figlio, i genitori nello scegliere la scuola materna hanno cercato una scuola rinomata e blasonata (per quanto pubblica), sita in "quartiere bene" della città, perchè "sai lì ci vanno tutti i figli di medici ingegneri ecc..."

    Loro sono una famiglia semplice, impiegati statali, e più volte ho sentito questo genere di discorso tra loro, anche ad esempio tempo fa parlando di una certa zona dove ambiscono a trasferirsi.... è bella non perchè c'è molto verde, aree gioco, scuole, servizi ma perchè "è ben frequentata, ci vivono molti avvocati notai e sai avendo dei bambini..."

    E' una mentalità...diffusa da quel che vedo in modo flat su tutte le classi sociali.

  • Una volta i bimbi giocavano in strada ed uscivano in bici da soli, quindi i genitori non avevano molto controllo su chi potessero frequentare. Oggi tra cementificazione, traffico, e rimbambimento davanti agli schermi, le relazioni avvengono all'interno delle quattro mura ed e' tutto molto piu' pianificato. Cioe', quando non c'erano i telefoni cellulari gli amici arrivavano senza preavviso e suonavano il campanello. Oggi chi suonerebbe un campanello senza preavviso?

    Non sono molto d'accordo, do una lettura classista del fenomeno descritto da Ipposam. Le classi sociali sono sempre esistite; in passato, forse, i confini di separazione tra le stesse erano anche più rigidi di adesso (forse). E' vero che gli amici arrivavano senza preavviso, ma erano comunque sempre appartenenti al ceto sociale di riferimento.

  • Non sono molto d'accordo, do una lettura classista del fenomeno descritto da Ipposam. Le classi sociali sono sempre esistite; in passato, forse, i confini di separazione tra le stesse erano anche più rigidi di adesso (forse). E' vero che gli amici arrivavano senza preavviso, ma erano comunque sempre appartenenti al ceto sociale di riferimento.

    Io invece mi trovo su quello che dice Diverso; da bambina alla casa al mare avevo una comitiva aperta a chiunque, dentro c'erano persone con lo yacht ma anche i figli dello spazzino locale che non sempre avevano le scarpe e a volte qualcuno gli regalava le sue smesse.

    Ricordo in particolare che quando si giocava a calcio uno valeva uno, non c'erano il ricco e il povero. Ma eravamo bambini; tutto questo si è un po' incrinato in adolescenza, ma alcuni rapporti sono ancora in piedi nonostante l'abissale differenza.

    Ecco io ho questo alle spalle, forse per questo sto ferma su quella soglia.

  • Non sono molto d'accordo, do una lettura classista del fenomeno descritto da Ipposam. Le classi sociali sono sempre esistite; in passato, forse, i confini di separazione tra le stesse erano anche più rigidi di adesso (forse). E' vero che gli amici arrivavano senza preavviso, ma erano comunque sempre appartenenti al ceto sociale di riferimento.

    Ovviamente la causa e' il classismo che e' sempre esistito. Pero' era un esempio per dire che se lasci i figli abbastanza liberi di fare le proprie scelte, i ragazzi tenderebbero ad aggregarsi in base agli interessi e simpatie, e non al ceto sociale. Il classismo entra in gioco quando un genitore ad esempio decide di interferire pesantemente con la vita del figlio finanziandolo e magari pagandogli una vacanza con gli amici da 2000 euro. A quel punto il ragazzo leghera' solo con gli altri ragazzi che avranno la stessa possibilita' di spesa da parte dei genitori. Ovviamente il classismo e' inevitabile perche' ogni genitore spendera' piu' che puo' per il proprio figlio, quindi il ricco andra' in una scuola diversa, il ricco avra' il motorino mentre gli altri avranno la bicicletta, il ricco fara' il compleanno da Cracco mentre il povero no, e le amicizie dipenderanno da queste abitudini.

  • Forse andrebbe distinto l'aspetto sociologico (questioni classi sociali) da quello psicopedagogico (trasmettere determinati valori).


    Quello che a me non piace è la programmazione di queste persone ovvero "programmare al successo" un figlio in base ad una propria idea di successo, definendo tutti i contenuti.


    Credo che sia il contrario dello sviluppo della personalità. Mi vengono in mente grandi carriere nello sport o nella musica, dove dietro ci sono genitori spietati che mettono pressioni insostenibili.

    namasté

    Love all, trust a few, do wrong to none

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