Questo è il mio primo messaggio in questo forum, che trovo estremamente interessante (mi sarebbe piaciuto anche esordire in uno spazio eventualmente dedicato alle presentazioni dei nuovi arrivati, ma non sono riuscito a trovarlo, nel caso una presentazione fosse richiesta, chiedo umilmente scusa). Avrei preferito esordire con un topic più sereno, invece risulterà più uno sfogo che comunque spero possa innescare riflessioni stimolanti, al di là del mio caso personale. Mi sto rendendo conto di quanto possa essere mentalmente logorante trovarsi al centro di tensioni familiari in cui risulta difficile riconoscere a una parte o all'altra una ragione netta. Dopo un ricovero di mio padre in ospedale di un mese e mezzo, e a circa un mese dal suo ritorno in casa, lui passa ancora quasi tutta la giornata a letto, pur non avendo, almeno in apparenza, deficit di natura fisica che impediscano di muoversi autonomamente. Oltre i disagi dovuti al bisogno di assistenza continua (viviamo da soli, ma ora abbiamo di necessità dovuto farci aiutare da una badante, che da un lato è un aiuto importante, ma dall'altro per me risulta fattore di ulteriore stress, l'entrata di una figura estranea nello spazio intimo familiare), vivo le tensioni fra gli altri membri della famiglia, giustamente preoccupati per la grande lentezza del processo di recupero, e che pensano sia necessario insistere di più nello stimolarlo a tornare alla sua vita normale, e mio padre che reagisce con sempre più insofferenza a queste espressioni di preoccupazione, e a minimizzare i problemi, ritenendo le preoccupazioni del tutto insensate. Per chi conosce un pò l'enneagramma, mio padre appare un 9 conservativo da manuale, è sempre stato la "roccia" della famiglia che prendeva su di sé i problemi pratici degli altri, ma al tempo stesso caratterizzato dalla tendenza a tranquillizzare sempre tutti, a rimuovere i problemi con la tecnica dello struzzo, esibendo una serenità di facciata per nascondere a se stesso le preoccupazioni interiori, per poi impuntarsi con rabbia e fare resistenza quando messo sotto pressione. Tanto solerte verso i problemi degli altri, tanto orientato a "lasciarsi andare" rispetto ai suoi, non rendendosi conto che indirettamente diventano anche altrui. Io vivo la tensione tra da un lato fare il mio dovere di "stimolatore", ripetendo durante il giorno l'invito a muoversi di più, per non sentirmi in colpa, di fronte a me stesso e agli altri membri della famiglia, di non fare abbastanza, e dall'altro il timore di insistere oltre misura ed innervosire mio padre. Mi sento preso tra più fuochi e l'aria che si respira mi soffoca sempre di più, e mi toglie la serenità a cui ero abituato e a cui spero di tornare al più presto.
Mi trovo tra più fuochi e la tensione mi soffoca
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Qubit
Approved the thread. -
La situazione che descrivi è parecchio complicata e mi rendo conto che non sia nemmeno così semplice da descrivere. Se posso darti un consiglio per facilitare la lettura (e anche l'interesse) dell'eventuale pubblico: la prossima volta separa i paragrafi, in modo che chi legge possa prendere fiato di tanto in tanto.
Consigli dattilografici non richiesti a parte, la tua situazione mi suscita una domanda e una intuizione.
La domanda: è possibile che tutta questa "ansia" in relazione al lento riprendersi di tuo padre sia data dal ruolo di "provider" (passami il termine) di famiglia a livello economico oltre che come ruolo di "roccia"?
Te lo chiedo perché questo sposta (e anche di molto) l'eventuale reale motivo per cui il martello è così pesante.
Poi c'è la questione "incudine", ovvero l'intuizione di cui parlavo sopra; ovvero tuo padre. Il fatto che si comporti in modo così differente rispetto a prima del ricovero ospedaliero è un chiaro indicatore che qualcosa è cambiato.
Di solito quando le persone vivono il "tran tran" quotidiano in una routine, magari anche piena di vizi: non si accorgono di quanto disfunzionale o autodistruttiva sia, perché non hanno il tempo e la capacità di decontestualizzare ed analizzare il loro modo di vivere e la loro situazione. L'abitudine vince su tutto. Succede per via di una caratteristica evolutiva della nostra mente.
Accade però che dopo un stop forzato e solitamente improvviso il soggetto esca dalla routine e dal vizio. Alcuni dicono che l'interruzione della routine deve durare almeno 21 giorni per poter avere questo effetto, ma ho certezza su questo. Fatto sta che tuo padre forse ha subito un trauma che ne ha compromesso l'umore, ma quasi certamente è uscito dalla routine e ha avuto modo di riconsiderare il suo stile di vita. Questa presa di coscienza può essere ancor più traumatica del motivo per cui si finisce in ospedale e può "cambiare tutto", veramente.
E' accaduto anche durante la pandemia con lo stop forzato dei lavoratori del settore turistico che si sono resi conto, dopo anni e anni di schiavitù... di essere schiavi.
Se accade qualcosa di questo tipo è possibile che il soggetto abbia bisogno di tutto, tranne che di tornare a fare esattamente quello che faceva prima. Il tuo essere tra l'incudine e il martello è tutt'altro che una posizione comoda.
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La situazione che descrivi è parecchio complicata e mi rendo conto che non sia nemmeno così semplice da descrivere. Se posso darti un consiglio per facilitare la lettura (e anche l'interesse) dell'eventuale pubblico: la prossima volta separa i paragrafi, in modo che chi legge possa prendere fiato di tanto in tanto.
Consigli dattilografici non richiesti a parte, la tua situazione mi suscita una domanda e una intuizione.
La domanda: è possibile che tutta questa "ansia" in relazione al lento riprendersi di tuo padre sia data dal ruolo di "provider" (passami il termine) di famiglia a livello economico oltre che come ruolo di "roccia"?
Te lo chiedo perché questo sposta (e anche di molto) l'eventuale reale motivo per cui il martello è così pesante.
Poi c'è la questione "incudine", ovvero l'intuizione di cui parlavo sopra; ovvero tuo padre. Il fatto che si comporti in modo così differente rispetto a prima del ricovero ospedaliero è un chiaro indicatore che qualcosa è cambiato.
Di solito quando le persone vivono il "tran tran" quotidiano in una routine, magari anche piena di vizi: non si accorgono di quanto disfunzionale o autodistruttiva sia, perché non hanno il tempo e la capacità di decontestualizzare ed analizzare il loro modo di vivere e la loro situazione. L'abitudine vince su tutto. Succede per via di una caratteristica evolutiva della nostra mente.
Accade però che dopo un stop forzato e solitamente improvviso il soggetto esca dalla routine e dal vizio. Alcuni dicono che l'interruzione della routine deve durare almeno 21 giorni per poter avere questo effetto, ma ho certezza su questo. Fatto sta che tuo padre forse ha subito un trauma che ne ha compromesso l'umore, ma quasi certamente è uscito dalla routine e ha avuto modo di riconsiderare il suo stile di vita. Questa presa di coscienza può essere ancor più traumatica del motivo per cui si finisce in ospedale e può "cambiare tutto", veramente.
E' accaduto anche durante la pandemia con lo stop forzato dei lavoratori del settore turistico che si sono resi conto, dopo anni e anni di schiavitù... di essere schiavi.
Se accade qualcosa di questo tipo è possibile che il soggetto abbia bisogno di tutto, tranne che di tornare a fare esattamente quello che faceva prima. Il tuo essere tra l'incudine e il martello è tutt'altro che una posizione comoda.
Intanto ti ringrazio per la risposta e chiedo scusa a tutto il forum per la mia impostazione nello scritto. La tendenza a "compattare", periodare lungo, ecc è sempre stata una mia caratteristica che tanti mi fan notare, anche se ultimamente cerco di smussarla un pochino. Credo dipende dalla tendenza mia a vedere le cose e i concetti sempre nell'insieme dei loro collegamenti, come un tutt'uno interconnesso logicamente al suo interno, un modo di pensare "centri-peto", ma capisco la scomodità per chi legge.
La tua prospettiva è interessante e decisamente da prendere in considerazione. Quello che mi sento di precisare in merito è che, credo, né io né i miei parenti abbiamo la pretesa di imporre un ritorno totale al suo ruolo di "roccia" che si occupa di ogni cosa al 100%, non sarebbe giusto. Ma si ritiene che 72 anni non sia certo un'età giovanile, ma nemmeno da vecchio decrepito, che non giustifica uno stile di vita in cui si passa il 90% della giornata a letto, costringendo me prima di tutto, e poi gli altri membri della famiglia a dover sacrificare buona parte delle loro energie all'assistenza, togliendola alla loro vita. Provo a contestualizzare meglio la situazione. Non si tratta solo di egoismo da parte nostra (cioè, in parte, certo, c'è anche quella componente, come è normale e giusto che sia), ma anche di ribadire un'esigenza che va, anche e prima di tutto, pro domo sua: mio padre è in pensione da parecchi anni, vedovo da 7 (evento che lo ha molto segnato, indebolendolo dal punto di vista soprattutto psicologico, non ho dubbi che con mia madre in vita, dal carattere molto forte, dopo pochissimi giorni dal rientro a casa lui sarebbe già stato stimolato al punto da tornare pienamente attivo), non ha interessi culturali, non legge libri, non è interessato ad alcuna forma d'arte, pochissimo cinema, i suoi interessi sono molto limitati: giardinaggio, progetta bellissimi presepi natalizi, qualche puzzle, per il resto passa ore davanti alla tv a seguire sport o varietà (non che io con tanti meno anni, sia particolarmente attivo, eh). Nulla di male dal mio punto di vista, ma stimolarlo a tornare a occuparsi, se non completamente in buona parte, delle faccende domestiche, degli affari economici, tornare a uscire di casa, guidare la macchina, serve sia a sgravare noi, permettendo di portare avanti le nostre vite e attività, e soprattutto lui per tenere la mente impegnata, sentirsi utile ed evitare l'insorgere di gravi depressioni.
Per il resto, ho accettato da tempo l'idea che il percorso di ripresa sarà molto lungo, ben più di quello che si poteva aspettare e io stesso mi sono sforzato di sottolineare piccoli progressi che altri miei parenti, più pessimisti e preoccupati di me, stentano a riconoscere. Ma in realtà è lui stesso a mostrarsi almeno all'apparenza motivato a riprendere il corso della sua vita pre-ricovero, tornare a viaggiare ecc. Ieri è stata una giornata discretamente "positiva" con lui che, col nostro aiuto, ha provato dopo mesi a fare le scale, e negli ultimi giorni si sta sforzando a passare più minuti fuori dal letto, oltre a parlare con orgoglio dei suoi piccoli progressi. Solo che ci vorrà ancora molto tempo, e lui si vede che soffre ancora di un blocco psicologico, timore di camminare da solo ecc., e il timore è che continuando a stare per così tanto tempo a letto, l'inerzia e l'apatia di questa nuova "abitudine" finisca col prevalere rispetto alla motivazione, comunque presente, a ristabilirsi appieno.
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Per quanto riguarda la domanda sull'ansia per il mio ruolo di "provider", beh, sicuramente quell'aspetto è presente. Io sono una persona con scarsissimo senso pratico, sempre con la testa fra le nuvole, introverso, con un forte bisogno di preservare la mia solitudine e intimità personale, tempo per poter pensare, leggere, svagarmi, fantasticare, scrivere (mi occupo di saggistica filosofica), e soffro una situazione in cui per forza di cose devo dirottare una certa parte di tempo ed energie ad un un ruolo da "infermiere", lontanissimo dalle mie attitudini. E, come detto, l'entrata in scena della figura estranea di una colf nella nostra intimità familiare per me è fonte di stress, sentirmi giudicato nelle più intime abitudini da una figura (spostamenti, orari e tipologia di pasti ecc.) non abituata ai miei difetti, è qualcosa che soffro particolarmente, pur riconoscendone, almeno in questo momento, la necessità.
Ma questo spiega in modo molto limitato l'ansia generale familiare che si respira, considerato che parenti che vivono lontano e che son molto più adusi di me a fronteggiare situazioni di natura pragmatica, mostrano una preoccupazione e un pessimismo anche peggiore di quello che vivo io. Faccio quello che posso, ma sono convinto che la maggior parte delle persone saprebbe fronteggiare questa situazione meglio di come faccio, e questo mi provoca sensi di colpa che poi entrano in contrasto con la mia esigenza di tenere presente le mie ragioni nel preservare, nei limiti del possibile, il mio modo di vivere, abitudini, spazi personali.
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Ciao, comprendo la difficoltà della situazione, e anche il tuo stato d'animo; non ho invece capito chi è la controparte, se vivete soli. La badante non la considero proprio perché deve essere di aiuto e basta, non certo creare altri problemi; in che modo gli altri parenti possono intervenire così pesantemente nel vostro menage?
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Ciao! Potrebbe tuo padre essere caduto in depressione a causa di questi problemi e quindi lasciarsi andare?
Un infortunio o una malattia più o meno invalidante può avere effetti devastanti quando mette la persona davanti alla prospettiva vecchiaia-malattia-morte. Questo vale per tuo padre ma anche per te, perché quella roccia che tu eri abituato a vivere probabilmente non esiste più. In questi grandi cambiamenti ci vuole pazienza, condivisione e dialogo e non sempre basta. Ci sono persone che si lasciano andare e semplicemente non provano più a rimettersi in piedi.
Lo squilibrio che si è creato viene ulteriormente influenzato dalla badante che è un'estranea a tutti gli effetti. Per come ho osservato famiglie in situazioni paragonabili, accettare l'aiuto di una badante non è facilissimo.
Perché non provi a parlare con tuo padre, comprendere il suo stato d'animo e cercare di costruire un'alleanza padre-figlio in cui gli permetti di esternare (semmai vorrà) le sue fragilità.
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Ciao, comprendo la difficoltà della situazione, e anche il tuo stato d'animo; non ho invece capito chi è la controparte, se vivete soli. La badante non la considero proprio perché deve essere di aiuto e basta, non certo creare altri problemi; in che modo gli altri parenti possono intervenire così pesantemente nel vostro menage?
Mio fratello, mia cognata, mia zia (sorella di mio padre) sono i nostri parenti più prossimi, non vivono con noi, ma sono comunque molto presenti, sia tramite visite in casa che telefonate. Obiettivamente non avrei nulla da rimproverare loro, tutt'altro, sono sempre estremamente disponibili a intervenire, preoccuparsi ecc per aiutarci. Senza di loro, per noi sarebbe tutto ancora più difficile. Anzi, il problema, paradossalmente, è che lo sono anche "troppo". Raffronto la mia imbranataggine al loro spirito di iniziativa e senso pratico e mi sento inferiore, inadeguato. Poi loro conoscono le mie insicurezze, fragilità, stanno attenti a non farmi sentire in colpa, ma io sento comunque il loro sguardo su di me, il loro giudizio anche silenzioso, e qualche rimprovero su miei errori o mancanze nella gestione di cose di casa ogni tanto scappa, e io resto in silenzio, perché odio litigare ed entrare in conflitto, anche se tante volte dentro fantastico di trovare il coraggio di tirare fuori le mie giustificazioni (cosa che ogni tanto faccio pure, ma in modo molto goffo), magari facendo notare che la mia situazione è la più difficile dato che mi trovo ad affrontare lo stress della quotidianità 7 giorni su 7, e non 1 su 7.
La badante è certamente un aiuto importante, ma, al di là del fatto che mi ha preso in antipatia e pure stasera ci siamo scontrati, io mi sento in imbarazzo nel dover render conto delle mie abitudini, orari, spostamenti a una estranea che di me, della mia vita, delle mie passioni, del mio lavoro sa poco o nulla. Per scrivere libri, articoli c'è bisogno di serenità mentale, solitudine, necessito di passare gran parte del mio tempo in solitudine in camera e per quanto sia sempre pronto a intervenire ad ogni richiesta, questa cosa può essere etichettata come egoismo, specie da persone estranee. Già c'è un sacco di persone al mondo, anche di buona cultura, che ritiene la scrittura non un lavoro, ma più un hobby o un passatempo da fannulloni, perché è un lavoro senza vincoli orari e che puoi portare avanti in casa, figuriamoci farlo capire a una persona che viene da un contesto sociale così diverso come una badante straniera.
Rispondendo anche a la husuera, io accetto, come è normale che sia, l'invecchiamento di un genitore e il fatto di dover gradualmente assumere impegni (anche se non al punto da deviare dalle priorità della mia vita che è lo studio e la ricerca), e riconosco che un lato positivo di tutta questa brutta situazione è che mi renderà un pò più pronto a gestire la cosa nel momento in cui, speriamo il più tardi possibile, dovrò affrontare il suo declino psico-fisico definitivo. Ma tra la pretesa che ritorni la roccia di una volta che si occupa di tutto e rassegnarsi che a 72 (non 92) anni una persona senza, perlomeno apparenti deficit psico-fisici perda completamente la sua autosufficienza, ci passano tantissime sfumature di grigio, e sono queste sfumature l'obiettivo che per il bene di tutti, prima di tutti il suo, penso debba essere l'aspettativa. Certo, con il tempo che sarà necessario.
Per quanto riguarda l'aprirsi alle sue fragilità, non è una cosa facile perché il nostro rapporto non è mai stato quello di una confidenza emotiva. Entrambi non amiamo parlare apertamente di cose emotive, fare discorsi retorici, sentimentali (considera che in vita mia non ho mai detto ai miei familiari "ti voglio bene", mi imbarazza enormemente, preferisco dimostrarlo coi fatti, e la stessa cosa è per lui). Ma a parte questo, non ha particolari blocchi nell'esprimere i suoi disagi, riesco ad accorgermi da cose come il tono della voce del suo umore, per cui tutto sommato credo che, a modo nostro, un'intesa ci sia. Poi non posso escludere che lui abbia dei timori inconsci, ma credo che se lo sono per lui, a maggior ragione lo sarebbero per me. Io cerco di stargli vicino per quel che posso, ma è lui stesso a mostrarsi infastidito nel ricevere troppe attenzioni, e sarebbe il primo a non volere che io sacrifichi del tutto i miei spazi personali, il mio tempo per stare solo, per coltivare le mie passioni, per diventare il suo confidente a tempo pieno.
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Cambia la badante, già è fastidioso avere un’estranea in casa, se poi non andate d’accordo...
P.S. Hai preso in considerazione un assistente familiare maschile? Gli uomini, in generale, sono meno invadenti delle donne e possono svolgere le stesse attività (cucina, pulizie ecc).
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Dici che passa il 90% del suo tempo a letto, pur non avendone necessità. Il medico curante cosa dice in merito?
Voglio dire, stare a letto comporta problemi di circolazione, di digestione, deambulazione etc. Il medico di famiglia dovrebbe imporgli di alzarsi.
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Dici che passa il 90% del suo tempo a letto, pur non avendone necessità. Il medico curante cosa dice in merito?
Voglio dire, stare a letto comporta problemi di circolazione, di digestione, deambulazione etc. Il medico di famiglia dovrebbe imporgli di alzarsi.
Devo dire che negli ultimi giorni ci sono stati piccoli ma significativi progressi, ora mio padre passa più tempo alzato, anche diverse ore, ha lasciato il de-ambulatore e per pochi metri riesce a camminare da solo (per le scale o tragitti più lunghi serve ancora che gli stiamo dietro), sembra più ottimista e motivato al pensiero del recupero, pensa da qui a poche settimane di tornare a guidare, uscire ecc. Potrebbe anche essere solo un fuoco fatuo, per cui meglio non farsi troppe illusioni e riconoscere che si tratta di un percorso ancora molto lungo, ma diciamo che forse riesco a essere, al momento, un pochino meno pessimista rispetto a qualche tempo fa.
Per Molecolare, idea interessante, non ci avevo pensato. Il problema è che attualmente mio padre, pur riconoscendo chiaramente i difetti della badante, penso che non abbia il coraggio di mandarla via per evitare di offenderla o entrare in conflitto. Conosciamo altre badanti decisamente più brave ed esperte, e quando proviamo a citargliele come possibili subentri al posto dell'attuale, reagisce innervosendosi, dicendo che gli rompiamo le scatole e vuole pensare da solo alle cose. Forse vuole solo arrivare a capirlo coi suoi tempi, oppure da buon abitudinario (come in fondo sono io) si sta a poco a poco affezionando alla presenza della badante e preferisce tenerla... personalmente spero nella prima opzione.
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