La società italiana in genere è sempre stata incentrata sul nucleo familiare, anche troppo. Una conseguenza nefasta è il "familismo amorale" e tutta la corruzione che ne deriva. Si parla poi spesso dei "mammoni", fenomeno esploso negli anni 60-70 e poi evoluitosi fino a oggi con l'estensione anche al genere femminile.
In periodi di crisi come questo (che ormai dura da decine di anni) il problema si acuisce. Raggiungere una indipendenza economica è sempre più difficile e l'aiuto economico dei genitori diventa sempre più spesso indispensabile. Quando si dipende economicamente da qualcun altro è assai più complesso opporsi alle sue decisioni o uscire dall'ombra della sua autorità. Ci si ritrova quindi ancora "figli" nonostante si siano passati i 30-40, talvolta persino i 50 anni.
Cosa significa "essere figli"?
Nello specifico significa non avere una reale indipendenza psichica dalla figura genitoriale (la dipendenza economica può dipendere da causa di forza maggiore).
Chi è ancora figlio agisce e pensa con più leggerezza, in virtù di quella consapevolezza inconscia che qualcuno passa prima a preparare e/o passa dopo a ripulire, se serve. Si ragiona in modo tale per cui vi è una abitudine ad appellarsi al parere o all'intervento del genitore che eventualmente "aggiusterà" le cose "che" o "se" sono andate male.
Chi è ancora figlio ha difficoltà a prendere decisioni importanti senza il consiglio di un adulto, anche se lui stesso dovrebbe essere un adulto. Spesso i figli di 40 anni si ritrovano a chieder consiglio (o più spesso "chieder soluzione") di problemi moderni a genitori che non hanno nemmeno la possibilità di comprendere tali attuali contesti.
Chi è ancora figlio di solito non ne ha propriamente coscienza. Crede che vivere da solo sia abbastanza per considerarsi emancipato. Spesso la "brutta sorpresa" di riscoprirsi ancora figli si svela solo alla morte dei genitori o quando si incontra un/una partner che fa emergere il problema.
Quando come e perché "emanciparsi" quantomeno psichicamente dai genitori?
Recentemente mi è capitato di assistere al caso di un ragazzi di 30 anni che avendo problemi economici dovuti a problemi psichici (ansia, attacchi di panico) non ha potuto andare a vivere da solo.
In terapia è emerso che gran parte di queste ansie erano causate proprio dal suo essere ancora quasi completamente "figlio", ovvero dal contrasto tra la sua crescente volontà di indipendenza che però si concretizzava in una convivenza con i genitori pregna di schemi di assistenza e interdipendenza. Tanto per fare un esempio: Lui non sapeva dov'era il detersivo per la lavatrice o come si usasse la lavatrice, come/dove lavare i piatti, come/dove cambiare le lenzuola dei letti, ma neanche come pagare una multa o richiedere un certificato in un ufficio pubblico. Ogni decisione importante passava dal consenso dei genitori che ovviamente appartenendo a una generazione del passato non comprendono alcuni moderni paradigmi e hanno consegnato la vita del figlio a un sempre più crescente isolamento dai coetanei.
La soluzione (maturata dallo stesso figlio) a margine della terapia è stata quella di prendere in mano la propria vita, accettare un lavoro imperfetto e non gradito o non compreso dai genitori e iniziare a mettere da parte i soldi per andare a vivere da solo. In contemporanea si è preso carico di ogni faccenda che lo riguardasse, dal pulire i pavimenti al preparare il pranzo o le le camicie per il lavoro al prendere decisioni importanti senza chiedere permesso (anche sbagliando).
Insomma: si forza di essere adulto nonostante sia ancora in casa con i genitori. Ciò ha prodotto inevitabilmente attriti con i genitori che si sentono "espropriati" del loro ruolo e inficiati nella loro autorità.
Secondo voi ha fatto bene? Cosa poteva fare meglio?
Ma soprattutto, secondo voi: Quando, come e perché è giusto emanciparsi psichicamente dai genitori?