Non so se è la sezione giusta, forse dirò cose che potrebbero appartenere un po' ad altre, e forse servirebbe parlarne più con uno psicologo e psicoterapeuta, ma chi vive situazioni simili alla mia magari può darmi un parere. Cercherò di essere breve ma chiaro.
Ho ricevuto fin da piccolo un'educazione molto rigida, in particolare al liceo, il mio unico compito era studiare tutto il giorno in casa. Non ho mai vissuto a causa di ciò momenti spensierati, un po' più da adolescente. Io dovevo letteralmente stare tutti i giorni a studiare, compresi sabato e domenica, senza neppure uscire la sera, anche perché se anche avessi voluto uscire almeno il sabato sera non avevo nessuno con cui farlo. Anche perché la scuola che facevo era molto rigida, e i miei compagni stessi erano molto improntati solo allo studio. E c'era già all'epoca questa voce interiore che mi diceva "sei infelice, depresso devi cambiare". Successivamente feci l'università, per 5 anni, in una facoltà piatta e noiosa, fatta perchè non avevo all'epoca nessun interesse visto che davvero non ho mai potuto coltivarne nessuno. E c'era sempre questa voce anche all'università "sei infelice, depresso, devi cambiare". Ed è cosi. Ero inconsapevolmente infelice in tutti quegli anni. Sentivo che c'era qualcosa che non andava, ma non ho mai avuto la forza di oppormi ai miei genitori, di impormi nel cambiare scuola, di far uscire fuori il mio vero carattere invece che soffocare la mia personalità per soddisfare le aspettative della mia famiglia, ma anche degli altri. Si. A scuola mi diedero un soprannome, che qui indicherò come "Eddie". "Eddie" era il risultato della mia scarsa autostima, unita alle aspettative sociali e familiari: era il tipo solitario, goffo, timido, sempre a studiare. Eddie era quello con il carattere mite e tranquillo, il "poverino" che veniva difeso se qualcuno magari faceva qualche battuta pesante. Era quello incapace di alzare la voce, di farsi rispettare, era quello "buono". Anche all'università fu cosi, perché purtroppo l'ambiente universitario era frequentato da praticamente la maggior parte delle mie vecchie conoscenze scolastiche. Quindi non potendo ricominciare in un nuovo ambiente, rimasi imprigionato nel personaggio di "Eddie". Ogni volta che provavo a cambiare, o a rivelare il mio potenziale carattere, magari provando a togliermi questo guscio di timidezza provando a partecipare a qualche serata, si diceva "ma no Eddie ti conosciamo tu non faresti mai cosi" "Ma no Eddie tu hai un carattere chiuso, non sei adatto a certe cose". Non riuscivo a reagire. Dovevo cambiare facoltà universitaria per cambiare ambiente anche perché neanche amavo ciò che studiavo, ma non riuscivo. Cosi più passava il tempo, più questa maschera mi si appiccicava addosso, condizionando le relazioni, anche quelle magari nuove.Per un evento particolare troppo lungo da spiegare ora, all'improvviso è come se mi fossi risvegliato dal torpore che mi imprigionava, mi si è rotta la maschera. E ho pensato "ma davvero ero cosi? davvero ho vissuto cosi? Davvero ero senza il coraggio di essere come volevo e fare come volevo? Davvero ho vissuto più per gli altri che per me stesso?".
E questo è il punto dolente: con la fine del personaggio di "Eddie", mi sono reso conto che tutte le pseudo-amicizie che ho coltivato in realtà erano legate a una identità che non voglio mi appartenga più. Il problema è che alcune di queste magari si erano davvero affezionate a Eddie. O meglio, queste pseudo-amicizie avevano trovato un rifugio nel carattere cosi accomodante e mite di eddie, perché loro stessi erano davvero troppo introversi, con scarse abilità sociali, soli, con problemi sociali. Cosi si sono molto appiccicati, e la cosa più disturbante è che non è che sono interessati a farsi altri amici, no, ormai gli bastavo io e basta. Vogliono da me una sorta di relazione sentimentale, che diventi il surrogato di una fidanzata. Hanno una vita talmente vuota e priva di stimoli, priva di qualcuno che gli dia importanza, che non vogliono staccarsi da chi un po' gliene ha data, cioè io, cioè Eddie.
Non vogliono che cambi, che provi magari ad essere felice con una compagna, a creare nel caso nuovi rapporti. No, ormai devo trovare dello spazio nella mia vita anche per loro. Siamo ancora abbastanza giovani, potrebbero provare anche loro a fare nuove conoscenze, invece no, ormai io per loro sono un punto fermo. Per questo voglio tagliare i ponti con amici che appartengono a una identità che non c'è più, che si sentono traditi se mi vedono estroverso con nuove persone. Tuttavia mi fanno sentire in colpa, e io stesso mi sento in colpa: singolarmente non mi hanno fatto nulla di male, ma sono troppo bisognosi di me, bisognosi di come non posso più essere, e il bisogno non è amicizia. L'amicizia non può essere pretesa a oltranza perché è cosi e basta. Ho bisogno di tagliare i ponti per me stesso, per ricominciare in ambienti del tutto nuovi. è mio diritto farlo anche se non lo capiscono? perché come potrebbero mai capire tutto ciò? Posso farlo senza sentirmi in colpa perché loro mi fanno sentire come se fossi un "mostro"? A causa di tutti sti pensieri e ansie, non dormo la notte, ci penso in continuazione, tutto il giorno. Anche perché in passato indirettamente ho vissuto situazioni di persone che sono andate sotto casa di altri stile stalker per chiarire discussioni anche se non c'era nient'altro da aggiungere, perché avevano "paura di perdere un amico".