Esperienze, domande ed opinioni sugli psicofarmaci

  • Io ne ho avute due: una molto disponibile che aveva come orario di chiamata ogni giorno dalle 2 alle 3, quindi non avevo problemi a contattarla.

    Sarebbe l'ideale, considerando le patologie trattate. Soprattutto per i pazienti che non se ne approfittano. Posso chiederti, se non sono indiscreta, in quale città risiede questa psichiatra?

  • Quelli bravi rispondono, brevemente, anche con un messaggino.

    E' essenziale, soprattutto quando siamo rispettosi e non disturbiamo inutilmente.


    Avere un sostegno cadenzato, credo sia molto importante anziché essere lasciati in balia delle onde.

    Hai perfettamente ragione. Mi sto dando da fare per cercarne un altro/a.

  • Accettazione... è una parola suggerita in molti libri e articoli. In tanti dicono di accogliere l'ansia e farla propria. Io ci provo da mesi perché, oltre a una terapia farmacologica, sto facendo anche psicoterapia, ma ancora non ho trovato il modo di fare mio questo concetto. Cioè, quando sono in preda all'ansia, non vedo l'ora che passi; tutto è concentrato su di lei, e il mio cervello e il mio corpo sono un caos di malesseri, tremori e confusione... Tu come fai, Gab69?

    Io ce l'avevo fatta a sviluppare questo concetto e a metterlo in pratica. Però poi non ci sono più riuscito.

  • Io ce l'avevo fatta a sviluppare questo concetto e a metterlo in pratica. Però poi non ci sono più riuscito.

    Anche io ci ho provato a lungo, però alla fine l'unica soluzione per me è stata la paroxetina, e sono contenta di averla presa. Forse è possibile accettare in generale che nella propria vita ci saranno alti e bassi, senza illudersi che l'ansia non tornerà mai a trovarci... ma quando arriva, è tosta "accettarla".

    Forse ci riescono i monaci buddisti, forse neanche loro.

    Leggevo un libretto di Livia Chandra Candiani, che è appunto traduttrice di testi buddisti; scriveva: "Ho praticato meditazione da una vita, non mi ha mai tolto un'oncia di dolore; però ho vissuto tutto intensamente, il dolore e la gioia" (citazione a memoria). È un po' un paradosso.

  • In che modo? Ti va di spiegare meglio?

    Tutto è cominciato leggendo un articolo di uno che dormiva per anni e anni, piccoli minuti in diversi momenti della giornata. Poi mi sono imbattuto in un articolo che spiegava che non è morto nessuno per ansia e insonnia, ecc. ecc. Tutte cavolate. Siccome poi l'ansia non mi lasciava dormire, ho cominciato a impuntarmi... e, anche se vedevo il letto come un incubo, rimanevo anche 4 ore a rigirarmi con ansia e depressione, per magari poi, stremato, riuscire a prendere sonno 10 minuti. Mi concentravo su quei 10 minuti, dicendomi che ce l'avevo fatta, anche se poco, ma ce l'avevo fatta... e mi dava un minimo di sicurezza. Nel frattempo facevo, contro la forza di gravità, tutto quello che facevo prima: running, ecc. ecc. Difficoltoso al massimo, però poi alla sera scrivevo su un foglio cosa avevo fatto e vedevo che avevo fatto tutto quello che facevo prima. Duro, ma ce l'avevo fatta... e mi sono autoconvinto che, anche con l'ansia, soffrendo, farò quello che devo fare... Questa è stata la mia accettazione, cioè ho accettato lo stato in cui ero. Mi ha aiutato molto. Il problema è che se ci riesci e stai meglio, e ti abitui a stare meglio, poi se ritorni in uno stato ansioso o depresso, non hai più la forza di rifare tutto il percorso... e ti butti giù.


    Nel mio caso poi paroxetina anche io... ma controvoglia. Infatti, sottodosata dopo 6 mesi e arrivato a 5 mg, ho provato a toglierla e lì è riscoppiato tutto. E ora ho ricominciato con escitalopram, che per ora non fa nulla.

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